Mercoledì 15 febbraio è stato presentato al Senato un disegno di legge promosso dai senatori Gambaro, Mazzoni, Divina e Giro che vorrebbe ergersi a difesa della verità e contro la diffusione delle bufale online. Inutile dire che sono scoppiate subito le polemiche. Da una parte, i firmatari si appellano alla battaglia di civiltà. Dall’altra, la quasi totalità degli addetti ai lavori, giornalisti, esperti di verifica delle fonti e attivisti anti bufale, lo hanno attaccato molto duramente. L’accusa è più o meno sempre la stessa: è un disegno di legge inapplicabile e, se diventasse legge, sarebbe una legge antidemocratica.
Il primo passo falso, infatti, questo disegno di legge lo fa addirittura nel titolo, “Disposizioni per prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica”, e risiede nell’unica parola posta in corsivo: online. Cosa significa quell’online? Semplice, che il disegno di legge in questione circoscrive la propria giurisdizione nel solo territorio online, affermando così indirettamente ma molto potentemente che il problema delle fake news riguarda soltanto il mondo di internet.
E non è nemmeno l’unica limitazione che gli estensori di queste tredici deliranti pagine hanno inserito. Ce n’è un’altra, e rigurda le testate registrate. In pratica significa che questo testo, compreso degli articoli del codice penale freschi di ideazione che propone e che mirano a punire i diffusori di bufale online con fino a 5000 euro di multa e in qualche caso anche qualche anno di carcere, non è applicabile a nessun sito che sia registrato al tribunale come testata giornalistica.
Ma c’è un altro gigantesco elefante imbottito di tritolo pronto ad esplodere nel corridoio di questo disegno di legge. È un elefante doppio. È quello del Chi, ovvero del chi diavolo lo decide che cos’è una notizia “falsa, esagerata o tendenziosa”? Ma è anche l’elefante del Cosa, ovvero, che cos’è una notizia falsa? Che cos’è una notizia tendenziosa? Che cos’è una notizia esagerata? È già difficile mettersi d’accordo su cosa significhi “tendenzioso” figuriamoci se è possibile determinare una griglia o addirittura permettere, come sembrano augurarsi i firmatari, “ai colossi della rete l’uso di selettori software per rimuovere i contenuti falsi”.
Lasciando da parte la questione dell’affidare la rimozione o i controllo ai “colossi della rete”, una speranza che lascia trasparire una inquietante leggerezza nel lasciare in mano a privati una questione così delicata legata a triplo filo alla libertà di espressione, resta il fatto che la risposta a quelle domande, che forse a qualcuno può parere scontata, non lo è affatto. Esattamente come non è affatto scontato che il problema fake news riguardi esclusivamente il web, anzi, è proprio falso. È una fake news e basta essere dei lettori abbastanza assidui dei quotidiani o spettatori dei telegiornali per sapere quante volte le notizie false fanno capolino anche nella realtà della carta o in quella del video.
Il mondo è pieno di fake news. Lo è sempre stato. Le abbiamo scritte per secoli sulla carta, ci abbiamo girato miliardi di ore di trasmissioni politiche e telegiornali, ci abbiamo perfino costruito delle religioni. Il problema non è l’esistenza della menzogna e la possibilità di usarla a fin di male. Il problema è molto più vasto e riguarda tutti: a cominciare dai giornalisti, che indipendentemente da dove scrivano, se su carta o su web, molto raramente si pongono il problema di verificare le cose che scrivono. Ma il problema riguarda anche i lettori comuni. E la soluzione non può essere una legge bavaglio, men che meno una legge bavaglio così stupida e senza senso come quella proposta ieri al Senato. La soluzione è nell’unico punto che questa legge abbozza senza minimamente andare a fondo: l’educazione.
Se un punto interessante in questo disegno c’è è certamente l’articolo 6, quello riferito all’alfabetizzazione mediatica, un articolo che però si limita a indicare direttive generali di assoluto buon senso come quella di inserire tra gli obiettivi formativi delle istituzioni scolastiche “l’alfabetizzazione mediatica e il sostegno ai progetti di sensibilizzazione e ai programmi di formazione volti a promuovere l’uso critico dei media online, con particolare riferimento alle norme e ai meccanismi necessari a prevenire il rischio di distorsione delle informazioni o di manipolazione dell’opinione pubblica”. Che figata, vien da pensare, esattamente quello che ci vorrebbe, vien da dire. Salvo poi trovare anche stavolta la solita frasetta, quella che certifica l’impossibilità di fare le cose in questo paese: “nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente”.