Trainspotting 2, un film da reduci degli anni ’90 (e poco altro)

21 anni dopo il primo episodio, Danny Boyle ha rimesso insieme la vecchia banda di scappati di casa ed è tornato a Edimburgo: il risultato è un'overdose di nostalgia che farà piacere a chi era ragazzo 20 anni fa, ma che rischia di essere poco più di una commedia inglese agrodolce per tutti gli altri

Un amico condannato al gabbio per trent’anni, uno condannato dietro il bancone del pub di famiglia a vivere di coca e espedienti e un altro con macigno sulla coscienza e, in un armadietto, 4mila sterline da spendere in eroina. Li aveva lasciati così, Mark Renton, prima di sparire con il malloppo per chissà dove, e da qui riparte: con i baffi di Beg Pie imbiancati e visibilmente più piccoli sul viso nel frattempo imbolsito di quel campione di Robert Carlye; con i capelli di Sick Boy, ancora perfettamente ossigenati e per niente fuori luogo; con la faccia da pirla di Spud sempre identica a se stessa, ma un po’ più arresa di quello sbiadito ma bellissimo 1996.

Ci sono tanti modi di fare i conti con questo sequel di Trainspotting, modi di vederlo, ma anche di giudicarlo. Mai come in questo caso è vero che il valore e il significato del film non sono nel film in sé, ma, come la bellezza delle cose, è negli occhi di chi guarda. E, negli occhi di chi guarda Trainspotting ci sono almeno quattro reazioni, a seconda di quante rughe e occhiaie hanno intorno, a seconda di quando (e se) hanno guardato il primo film, e corrispondono a un numero identico di reazioni.

La prima è l’indifferenza, potentissima; la seconda è il divertimento, magari accompagnato da qualche risata complice; la terza è un viaggio vero, un terribile tuffo nell’adolescenza e ritorno, un ritorno che ricorda i ritorni al paesello dopo 15 anni di vita adulta e che ha insieme un senso pauroso di panico per il tempo che è passato, ma anche la bellissima e malinconica vertigine che hanno i bei ricordi.

Il primo modo è quello il cui sguardo è sempre stato dalla parte dei padri e delle madri di questa banda di scappati di casa. È quello dello spettatore che, nel 1996, aveva già abbastanza lune sulle spalle da osservare quella banda di fattoni scuotendo la testa e pensando, “Che schifo, ma guardatevi, come diavolo siete conciati?”. Il secondo modo è quello di chi, in quella lontanissima seconda metà degli anni Novanta, ancora non era nato ed è arrivato solo da poco all’età in cui viene naturale ridere davanti alla nuotata di Mark nella merda del cesso del più lurido negozio di scommesse della Scozia, perso dietro a due supposte appena cagate di oppio.

È la nostalgia la forza che tiene insieme tutto, è inutile girarci attorno. Senza quella forza centripeta che riporta tutto a quei fantastici anni Novanta e alla tragica leggerezza del primo episodio, questo Trainspotting 2 rasenterebbe il ridicolo

Il terzo, invece, è quello di chi Trainspotting se l’è preso in piena faccia al momento giusto. Di chi in quella fine degli anni Novanta aveva tra i 15 e i 25 anni e guardava le fughe della banda per le strade di Edimburgo con il sorrisino complice di chi tifa per loro. sparato in vena durante l’adolescenza. Quella generazione, nata tra i Settanta e gli Ottanta, che l’eroina la conosceva per sentito dire, di quelli che da piccoli non potevano andare a giocare nei parchi e nemmeno nelle aiuole dalla paura che provavano i loro genitori. È ai loro occhi che questo film ha un senso. È nella loro testa che questo film funziona molto più che per gli altri.

Funziona perché Danny Boyle non risparmia i richiamini ai tempi che furono e, probabilmente spinto dal fatto che una buna parte di spettatori a questo T2 ci arriva vergine del T1, non ha affatto lesinato in giustapposizioni di scene vecchie e nuove, di facce vecchie e nuove, inserendo addirittura il remake di una scena, quel bellissimo e insieme tragico sorriso che si apre sul volto di Ewan McGregor ventenne mentre scappa e finisce sul cofano di una macchina. Sono quelli i punti in cui il film colpisce dove è più tenero e fa più male, ma, contemporaneamente, sono anche i momenti migliori.

È la nostalgia la forza che tiene insieme tutto, è inutile girarci attorno. Senza quella forza centripeta che riporta tutto a quei fantastici anni Novanta e alla tragica leggerezza del primo episodio, questo Trainspotting 2 rasenterebbe il ridicolo. E il rischio è proprio che agli occhi di chi i suoi vent’anni li ha adesso potrebbe essere proprio così, un film ridicolo, una commedietta inglese agrodolce per bambini cresciuti. Oppure, chissà, magari a veder il mondo come era una volta, senza cellulari, senza social e senza internet, questo popolo di ventenni che di quei tempi probabilmente conoscono soltanto, e a sprazzi, la colonna sonora, proverà uno spaesamento positivo, un po’ come quelli che provavamo noi, da piccoli, a leggere le storie dei pirati.

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