Il candidato nell’ombra: Maroni è l’uomo giusto per il centrodestra

Uomo di governo, ponte tra la Lega e Berlusconi, potrebbe spuntarla quando, dopo le elezioni, si cercherà un candidato che piaccia a tutti. Per il momento, però, Maroni non si espone e pensa a risolvere le grane giudiziarie

Chiamatele pure le conseguenze del proporzionale. Già, perché con il fallimento dell’Italicum, annegato tra il referendum e la Consulta, commentatori e sondaggisti si danno un gran da fare per trovare la quadra di un parlamento che, con ogni probabilità, non avrà una maggioranza omogenea dopo le prossime elezioni.

Ecco che allora a spuntarla saranno gli insospettabili, i più sgamati, quelli che oggi lavorano dietro le quinte e che saranno in grado di metter d’accordo il bianco e il nero. Roberto Maroni, classe ’55, che di mestiere fa il Governatore della Lombardia, sembra avere le carte in regola per essere l’uomo di governo del centrodestra, anche se nessuno, per il momento, lo dice.

I toni accesi di Salvini, è noto, non sono mai piaciuti troppo a Berlusconi, pur abituato a gestire le uscite sopra le righe dell’alleato storico Bossi. Maroni, invece, è sempre stato l’uomo di governo della Lega, il ponte tra i foulard verdi di Pontida e i completi gessati di Palazzo Chigi. D’altra parte lo era già negli anni d’oro del centrodestra, quando Berlusconi gli affidò il Ministero degli Interni – due volte, nel ’94 e nel 2008- e quello del Welfare, ai tempi delle ronde e del decreto sicurezza. Pensioni, immigrazione, lavoro: scusate se è poco, direbbe qualcuno.

Un profilo istituzionale, navigato, con l’età giusta per governare e la pelle dura di chi ha saputo schierarsi contro i propri leader e uscirne indenne (qualcuno, nel centrodestra, dovrebbe prendere lezioni). Erano gli ultimi giorni del ’94 quando Maroni, per altro primo Ministro degli Interni della Repubblica a non provenire dalla Dc, criticò duramente Bossi per aver staccato la spina al governo Berlusconi. “E’ attaccato alla cadrega”, disse di lui il Senatur. Con Salvini, in tempi più recenti, i battibecchi sono continui. Non poteva essere diversamente, vista la vocazione nazionalista del rampante Matteo e il forte radicamento sul territorio (nordico) di Maroni. Sembra secoli fa, eppure era soltanto il 2012 quando Maroni raccolse la segretaria di una Lega Nord uscita a pezzi dallo scandalo Belsito. Maroni scelse lo slogan “Prima il nord” e Bossi, in uno dei comizi di addio prima del congresso, parlò ancora di “complottismo del centralismo romano che vuole dividere la Lega”.

Maroni si prende il merito di aver salvato il partito nel momento più complicato della sua storia, galleggiando sul 4% alle elezioni del 2013 e conquistando la Regione Lombardia nello stesso anno, tenendo unito il centrodestra. Basi fondamentali per l’ascesa di Salvini, che viaggia su alte percentuali ma non ha la stessa capacità di Bobo di mettere assieme un fronte di governo.

Il giudizio impietoso di Andrea Camilleri, che una volta lo definì “un paio di baffi sul nulla”, appare più calzante nei confronti di qualche suo ex compagno di coalizione, magari uno dei tanti che in questi anni hanno provato a raccogliere l’eredità di Berlusconi con esiti fallimentari.

Maroni potrebbe andare bene a tutti, da Berlusconi alla Meloni, passando per Lupi e parte dei centristi, in attesa di vedere cosa sarà del centrosinistra. Nel novembre scorso Maroni accolse entusiasta l’ex premier Renzi in Regione per la firma del Patto per la Lombardia, suscitando le ire di Salvini che bollò l’accordo come una bufala e dimostrò di non gradire l’animo conciliante del governatore.

E’ proprio questa propensione al dialogo, però, che fa gioco a Maroni. In ogni caso è probabile che il suo nome difficilmente verrà fuori prima del voto. Il sistema proporzionale e la frammentazione dell’elettorato consentiranno lunghe trattative post-scrutinio e solo allora il nome di Maroni potrebbe tornar buono. Temporeggiare può essere utile un po’ per evitare di bruciarlo di fronte all’opinione pubblica e un po’ perché parlare di intese (più o meno larghe) prima del voto non sarebbe una mossa felice.

Attenzione, però, perché Maroni ha una grana processuale da risolvere. In una vicenda legata ad Expo, il governatore deve rispondere di turbata libertà nella scelta del contraente e induzione indebita. Secondo l’accusa, Maroni avrebbe fatto pressioni per far ottenere un lavoro ad una sua collaboratrice e per far pagare un viaggio a Tokyo, poi non effettuato, ad un’altra persona. “Una buffonata”, ha commentato Maroni, che però rischia di vincolare le chance di governo all’esito del processo.

Se dovesse uscirne indenne, Maroni godrebbe di tempistiche perfette per tornare alla ribalta nazionale, dopo un periodo lontano dalla bagarre romana, e potrebbe approfittare di un momento storico in cui i governatori locali sono particolarmente apprezzati.

Il giudizio impietoso di Andrea Camilleri, che una volta lo definì “un paio di baffi sul nulla”, appare più calzante nei confronti di qualche suo ex compagno di coalizione, magari uno dei tanti che in questi anni hanno provato a raccogliere l’eredità di Berlusconi con esiti fallimentari. Adesso, forse, i tempi sono maturi e l’uomo è quello giusto.