La Cura dal Benessere, il megaflop che non è un film, è un sequestro di persona

Come sentirsi sequestrati per due ore e mezzo al cinema. Basta andare a guardare l'ultimo lavoro di Gore Verbinski. Una versione della Montagna Incantata di Thomas Mann mischiata col blockbuster style che vi farà venire voglia di scappare. Esattamente come al protagonista della pellicola

Sedetevi, fate un bel respiro, bevetevi un bicchiere d’acqua. Andrà tutto bene, avete solo perso due ore e mezza del vostro tempo davanti al film più imbarazzante del 2017. Capita. È successo a voi, come alla sottoscritta. Ma nel caso in cui non vi siate ancora avventurati nel vostro cinema di fiducia prendendo un biglietto per La Cura dal Benessere, sedetevi, fate un bel respiro, bevetevi un bicchiere d’acqua. Andrà tutto bene. Perché siamo qui a spiegarvi, nello specifico, i motivi per cui sarebbe più utile prendere la macchina per contare i segnalatori di curva sulla Milano-Venezia rispetto all’idea idea di affidarvi alla “cura” di Gore Verbinski.

Gore Verbinski, partiamo proprio da lui, il regista. Il suo battesimo sul grande schermo risale al 1997 ed è intitolato Un Topolino Sotto Sfratto, per poi arrivare alla fama col primo The Ring, e tornare alla fame con due risparmiabilissimi capitoli della saga dei Pirati dei Caraibi, comunque forti al botteghino, fino all’inevitabile flop tombale che fu The Lone Ranger, film in cui Johnny Depp aveva lo stesso make up di Capitan Jack Sparrow ma, niente, non era Capitan Jack Sparrow. Correva l’anno 2013 e, dopo quest’ultima prova non esaltante, un, ipotizziamo, affranto Verbinski prospettava davanti a sé un glorioso futuro nel campo dell’ippica.

La Cura dal Benessere fa esattamente ciò che promette: riesce a far sentire lo spettatore imprigionato contro la propria la volontà in una sala buia, circondato da gente nel medesimo stato d’animo, tanto che nessuno si stupirebbe se qualcuno si alzasse in piedi, davanti all’ennesima inquadratura estetizzante del nulla cosmico, gridando, come il giovane protagonista del film: “I’m not a f*cking patient!”

Fino al giorno in cui non si ritrovò tra le mani La Montagna Incantata di Thomas Mann e lo lesse, tutto, immaginiamo, tra la visione di un film di Sorrentino e l’altro, Youthin testa deve essere tra i suoi preferiti. Da questa incomprensione di fondo, però, nacque l’idea a qualche produttore per della 20th Century Fox, La Cura dal Benessere (A Cure for Wellness).

La trama è presto detta: una Spa per ricconi sulle Alpi svizzere apparentemente fa del proprio meglio per riportare in salute i suoi facoltosi ospiti, nascondendo però ben più loschi e letali fini. Un giovane Wolf of Wall Street, tale Lockhart (Dane DeHaan) viene spedito lì dai propri boss con lo scopo di riportare a New York il vertice di un’importante società finanziaria, ritrovandosi poi, per via di un brutto incidente stradale, a sua volta paziente (o prigioniero?) della struttura.

Per mesi la campagna di promozione di questa pellicola è stata tra le più invasive della storia. In America, dove il sedicente film è uscito dalla gabbia il 17 febbraio scorso, un team di geniacci incompresi del marketing aveva messo su dalla sera alla mattina un sito di fake news, correlato ad una catena di altri sitarelli pronti a rimbalzare qualunque notizia che quotidianamente lanciava in rete fatti mai accaduti ma in qualche modo legati alle atmosfere della pellicola, come un presunto e segretissimo incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin in una Spa europea e l’imminente conversione di Lady Gaga all’Islam (nel secondo caso, davvero, non riusciamo a scorgere un nesso logico). Il sito esiste ancora, healthandwellness.co, ma oggi contiene solo immagini e informazioni legate al film.

Dopo il sonoro fiasco, sia di pubblico che di critica, oltreoceano, in Italia ci siamo risparmiati tale operazione di marketing, ma possiamo vantare una pagina Facebook sponsorizzata e attivissima che invita ogni commentatore del web ad “accettare la cura”, andando al cinema.
Un certo imbarazzo, però, anche qui, è palpabile. Di solito quando si promuove un film, si prende una citazione, magari anche l’unica riga a favore all’interno di una recensione negativa, e la si piazza su un’inquadratura del film, per testimoniare che perfino *tal testata* ha sottolineato la bontà della pellicola. Cosa succede, però, quando nessuno, ma proprio nessuno, nemmeno l’Eco di Topolinia, si è sentito di spendere due parole buone su quanto tu, o social media manager, hai da strombazzare sui social? Succede che ci si affida al parere di un certo Giovanni che avrebbe scritto, entusiasta, su Facebook, questo:

Per la prima parte dell’analisi compiuta dal nostro nuovo amico Giovanni, ovvero su quel “disturbante” non abbiamo davvero nulla da ridire. La Cura dal Benessere fa esattamente ciò che promette: riesce a far sentire lo spettatore imprigionato contro la propria la volontà in una sala buia, circondato da gente nel medesimo stato d’animo, tanto che nessuno si stupirebbe se qualcuno si alzasse in piedi, davanti all’ennesima inquadratura estetizzante del nulla cosmico, gridando, come il giovane protagonista del film: “I’m not a f*cking patient!“. Perché è questo che succede nel corso della trama: niente. I ricconi in villeggiatura nella Spa svizzera, avvolti nei loro accappatoi bianchi, bevono acqua, poi ancora un po’ d’acqua, si immergono nelle piscine, muoiono, anzi no, sono felici, continuano imperterriti a bere acqua e si chiedono perché mai qualcuno vorrebbe abbandonare quel paradiso di quiete e serenità.

Il nostro amico Gore Verbinski crediamo avesse intenzione di mettere in piedi un thriller-horror psicologico alla Shutter Island, pieno di riferimenti ad altri (quelli sì) capolavori, qualcosa di “disturbante” appunto, in merito al male che serpeggia nella nostra sciagurata società. I riferimenti, però, sono sbattuti in faccia allo spettatore, non c’è nulla da capire, è tutto lì chiaro e tondo e questo alla lunga snerva, ma anche alla corta.

Incesti, anguille – tantissime anguille, davvero -, segreti custoditi per secoli e che sarebbe stato meglio lasciare dove stavano, ovvero nel dimenticatoio, invece di trasformarli in aspiranti plot twist. La trama stessa è una fitta maglia di buchi di trama

L’urgenza di disturbare psicologicamente chi guarda, però, si dev’essere scontrata con la necessità della 20th Century Fox di tirar fuori un blockbuster. Piovono rimandi a tutto ciò che potrebbe fare gola allo spettatore medio, dall’immortale storia di Frankenstein, i freak piacciono sempre come ben sa il già indirettamente citato Ryan Murphy di American Horror Story, fino alle Cinquanta Sfumature di Grigio passando per Il nome della Rosa.

Incesti, anguille – tantissime anguille, davvero -, segreti custoditi per secoli e che sarebbe stato meglio lasciare dove stavano, ovvero nel dimenticatoio, invece di trasformarli in aspiranti plot twist. La trama stessa è una fitta maglia di buchi di trama. Probabilmente per farci passare più agevolmente tutte quelle anguille. Perché adesso, a quanto pare, le anguille fanno paura, non lo sapevate? Bene, sappiatelo. E spaventatevi, grazie.

Il tutto raggiunge l’apice nei venti minuti finali. “Un’impepata di cozze” (cit. da Boris), qualcosa di davvero incredibile se si prendono in considerazione le potenzialità del cast sceso in campo per mettere in piedi codesto film. Su tutti il protagonista, Dane DeHaan, recuperatevelo in Life, dove interpreta magistralmente James Dean, in Kill your Darlings, in concorso a Venezia qualche anno fa, o perfino in l’iperpop di Chronicle, suo secondo film in carriera, prima di pensare, come La Cura Dal Benessere vi indurrebbe a credere, che sia solo un Leonardo DiCaprio che non ce l’ha fatta e mai ce la farà.

Ora, se siete rimasti seduti fino a questo momento, come vi avevamo consigliato, rimanete lì, non muovetevi, non accettate la cura. Bevetevi un bicchiere d’acqua. Non è successo niente. Andrà tutto bene.

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