Sono 108 le bare bianche seminate dalle mafie da Nord a Sud. La regola secondo la quale i bambini non vanno toccati è solo un falso mito. Ci sono anche neonati, bambini e ragazzini tra i 950 nomi che saranno elencati da Libera a Locri nel corso della ventiduesima Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie del 21 marzo. Uccisi a freddo con un colpo di pistola, colpiti da esplosioni e proiettili per la sola colpa di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma anche sequestrati, dati in pasto ai maiali, sciolti nell’acido e bruciati.
La vittima più piccola si chiama Caterina Nencioni, di soli 53 giorni, uccisa con la sorella Nadia, di otto anni, nell’esplosione di via dei Georgofili a Firenze del 1993. Valentina Guarino, invece, aveva solo sei mesi quando è stata colpita da una raffica di proiettili, a Taranto, nel 1991, in braccio alla sua mamma. Giuseppe Bruno di mesi ne aveva 18 mesi l’11 settembre del 1974. A Seminara, nella piana di Gioia Tauro, si sta consumando la guerra sanguinosa tra i Gioffré e i Pellegrino. Dopo cena, il papà Alfonso porta Giuseppe a letto a cavalcioni sulle spalle, passando per una scala esterna. Dietro a una siepe lo aspetta un killer che gli spara un solo colpo di lupara. Il padre viene colpito solo di striscio, per Giuseppe non c’è niente da fare. Un mese e mezzo dopo i killer portano a termine il compito, a Bagnara, scaricando addosso al papà di Giuseppe un intero caricatore di pistola.
Ci sono anche neonati, bambini e ragazzini tra i nomi che saranno elencati da Libera a Locri nel corso della ventiduesima Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie del 21 marzo
Le mafie hanno sempre ucciso i bambini. Il libro Al posto sbagliato di Bruno Palermo (Rubbettino) raccoglie le loro storie in ordine cronologico. La prima è Emanuela Sansone, uccisa nel 1896 a 17 anni a Palermo mentre si trova nel negozio di famiglia. Nel tragico elenco si trovano anche Giuseppe Letizia, 13 anni, probabilmente avvelenato in ospedale dopo aver assistito all’omicidio di Placido Rizzotto, ed Emanuele Riboli, di 17 anni, figlio di un imprenditore del varesotto, sequestrato nel 1974, avvelenato e dato in pasto ai maiali. E poi ancora Pinuccia Utano, 3 anni, raggiunta da un proiettile mentre dorme sul sedile posteriore dell’auto del suo papà. Freddata nella notte, proprio come Annalisa Angotti, 4 anni, uccisa dall’esplosione di un’auto parcheggiata davanti alla sua casa delle vacanze di Siculiana, Agrigento.
Figli innocenti di uomini di giustizia o famiglie mafiose. Protagonisti inconsapevoli della battaglia tra il bene e il male. Come Simonetta Lamberti, 10 anni, figlia di Alfonso, procuratore di Sala Consilina, uccisa nel 1982 in un agguato camorristico che aveva come obiettivo il padre. Lo scorso maggio, dopo 34 anni, la Cassazione ha condannato per l’omicidio il killer della nuova camorra organizzata Antonio Pignataro. E in auto si trovava anche il piccolo Cocò Campolongo, di Cassano allo Ionio, in provincia di Cosenza. Nel gennaio del 2014, mentre la madre è in carcere, il suo corpo viene trovato carbonizzato in una Fiat Punto insieme a quello del nonno e della sua compagna. Secondo gli investigatori, il nonno, coinvolto nello spaccio di sostanze stupefacenti, lo avrebbe usato come scudo umano. Ma i sicari non ci hanno pensato due volte a uccidere anche il bambino.
Nessuno viene risparmiato. Sui piccoli si scatena la stessa ferocia usata sui grandi. Come è accaduto con Giuseppe Di Matteo, figlio di un uomo di mafia, Santino Di Matteo detto “mezzanasca”, che dopo essere stato arrestato decide di collaborare con la giustizia. Il 23 novembre del 1993 Giuseppe, 12 anni, va a cavalcare e poi svanisce nel nulla a bordo di un’auto. A distanza di anni, si scopre che, dopo più di due anni di prigionia, era stato strangolato e il suo corpo sciolto nell’acido. Tra i mandanti c’erano Giovanni Brusca e Matteo Messina Denaro.
Nessuno viene risparmiato. Sui piccoli si scatena la stessa ferocia usata sui grandi. Come è accaduto con Giuseppe Di Matteo, tenuto prigioniero per più di due anni, strangolato e poi sciolto nell’acido
E sono tanti anche i bambini che per caso si sono sono trovati al centro della violenza mafiosa. Nella strage di Pizzolungo, a Trapani, nel 1985, l’obiettivo dell’autobomba era il giudice Carlo Palermo. Ma una macchina che passava da lì fa involontariamente da scudo. A bordo ci sono Barbara Rizzo Asta e i suoi due figli gemelli, Giuseppe e Salvatore. Raffaella Campagna, invece, aveva 17 anni e lavorava in una lavanderia di Villafranca Tirrena, in provincia di Messina. La sua colpa: aver letto dei fogli “riservati” dimenticati nella tasca della camicia di un boss. Nicholas Green, in vacanza in Italia dalla California, aveva sette anni quando è stato ucciso mentre era in auto con la sua famiglia sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Annalisa Durante invece abitava a Forcella, periferia di Napoli con una alta presenza criminale. Il 27 marzo del 2004 viene uccisa in una sparatoria tra camorristi davanti al portone di casa. Proprio come Dodò Gabriele, 10 anni, di Crotone. La sera 25 giugno del 2009 il padre lo porta con lui a una partita di calcetto. All’improvviso da dietro la recinzione parte una raffica di pistola indirizzata al portiere. Ma i proiettili colpiscono al volto Dodò e lo uccidono all’istante. A salutare quella bara bianca accorsero così tante persone che non bastò la basilica di Crotone a contenerle tutte. Da allora i suoi genitori girano l’Italia per raccontare la storia di Dodò e dei bambini uccisi dalle mafie. Per dire a tutti che i mafiosi non risparmiano nessuno e non seguono nessun codice d’onore, se non quello dei propri interessi.