A voler individuare il momento in cui il racconto della realtà, in Italia, è uscito dai binari dell’informazione per finire su quelli dell’emozione, probabilmente dovremmo tornare alla fine degli anni Ottanta, quando piano piano la tendenza alla drammatizzazione retorica e morbosa iniziò a farsi largo anche in tv, a partire dalle reti commerciali, rendendo in breve tempo la tipica informazione algida e priva di emozione dei telegiornali RAI roba vecchia.
Il modo in cui ci venivano raccontate le notizie, soprattutto di cronaca nera, in quegli anni cambiò abbastanza radicalmente. Il linguaggio da rotocalco e il voyeurismo da settimanali gossippari sostituirono il rigore dell’informazione e il rispetto delle vittime che aveva caratterizzato per decenni il racconto targato Rai. Da lì ai plastici di Bruno Vespa fu un attimo. Ora, se possibile, il racconto della realtà è ancora più viziato dalle emozioni, come d’altronde tutta la nostra vita, che dai social ha imparato a oggettivizzare la soggettività, portandoci direttamente in questo calderone che alcuni chiamano, con grottesca serietà, Epoca della post verità.
E in questo contesto che Sky, ormai da qualche mese, ha tentato di proporre una via alternativa, un nuovo storytelling che faccia completamente a meno della dimensione morbosa, retorica e voyeuristica degli ultimi anni di racconto del reale. È così che è nata la serie battezzata Il racconto del reale, in onda su Sky Atlantic e SkyTg24 ogni domenica da novembre.
L’ultimo prodotto mandato in onda da Sky, in particolare, si intitola Ignoto 1 – Yara, DNA di un’indagine, è un film diviso in 4 parti che nasce da un’idea della BBC, è una coproduzione italoinglese (si tratta di una produzione nata all’estero da un’idea della BBC, prodotta poi dall’inglese Amber TV e l’italiana Run to Me in collaborazione con Sky e BBC) e, oltre che per questa sua volontà di provare a raccontare uno dei casi più allucinanti e morbosi della cronaca giudiziaria italiana degli ultimi anni con rigore e intelligenza, ci interessa per altri due motivi che possono sembrare laterali, ma che, almeno per noi, non lo sono.
Il primo motivo c’entra con la produzione, e dimostra quello che ci raccontava un anno fa Matteo Scanni, direttore del DIG Festival di Riccione, ovvero che l’Italia è un paese pieno di storie da raccontare, ma in cui è paradossalmente molto difficile raccontarle. La colpa? Soprattutto di un ecosistema che fatica a sostenere adeguatamente i progetti con budget capaci di garantire la sopravvivenza, oltre che il lavoro. Il secondo motivo c’entra invece con la storia di come Ignoto 1 è arrivato ad essere trasmesso su Sky e, anche qui, c’entra DIG, il festival del giornalismo investigativo di Riccione di cui Linkiesta è partner da due anni.
È stato proprio lì a Riccione, infatti, che Ignoto 1 ha trovato la quadra. È proprio grazie al pitch del DIG Awards — possibilità unica in Italia, che mette in palio 20mila euro per lo sviluppo di videoinchieste giornalistiche — che ora siamo qui a parlarne e che, ogni domenica da qui a inizio aprile, potremo vedere i quattro episodi del progetto su Sky. A proposito, c’è ancora qualche settimana per partecipare alla nuova edizione dei pitch di DIG.