Roma, zona popolare della Montagnola, ore 13. L’autobus 160 che collega la periferia Sud della Capitale al centro storico, si ferma al capolinea. La sosta in Via Francesco Acri 40 è di circa 15 minuti. Il conducente spegne il motore, scende dal mezzo, tira fuori dal borsello un panino che mangia seduto su uno dei nove scalini di un vetusto edificio adiacente alla fermata dell’autobus. Quella struttura che cade a pezzi è una delle 97 sedi distaccate dell’Ama, l’azienda romana che si occupa della raccolta e gestione dei rifiuti capitolini. E questa è l’istantanea da cui partiamo: l’autobus dell’Atac – l’azienda municipale dei trasporti – fermo sotto il vecchio ufficio dell’Ama. Il costo storico di quel bus supera i 100mila euro, più o meno la stessa cifra che ogni anno Ama spende per affittare la decadente sede di Via Francesco Acri (104.250 euro).
Il Comune di Roma è come una grandissima famiglia. Sotto lo stesso tetto convivono figli e figliasti: tra Spa controllate, società partecipate con quote di minoranza e fondazioni sono ben 27 le aziende gestite dal Campidoglio. Il neoassessore alle Partecipate Massimo Colomban è pronto a tagliare almeno il 50 per cento di queste. Non verranno toccate Ama e Atac, società che dagli ultimi bilanci disponibili (approvati nell’estate 2016, ma relativi all’esercizio 2015) presentano conti drammatici.
Le due società capitoline si occupano di settori differenti (trasporti e rifiuti) ma con una logica di gestione che le accomuna. D’altronde, l’azionista di riferimento è sempre il Comune di Roma e non è un caso che quando una società opti per lo sciopero, l’altra si accodi nell’astensione dal lavoro
Le due sorelle romane succhiano dalla lupa capitolina 2 miliardi di euro all’anno (602 milioni Atac e quasi 1,4 miliardi Ama) e danno lavoro a circa 20mila persone (11.857 dipendenti in Atac, 7.924 in Ama). Un bacino elettorale che fa gola a ogni sindaco o candidato alla guida capitolina. Lo sapeva bene l’ex primo cittadino Gianni Alemanno che non si era accorto della “parentopoli” che aveva portato sotto il suo mandato all’assunzione diretta in Ama e in Atac di centinaia di lavoratori senza i requisiti necessari. Lo sa anche l’attuale sindaco Virginia Raggi che ha deciso di pagare il conto elettorale e concedere premi ai dipendenti delle due sorelle: lo scorso mese sono stati distribuiti 1,8 milioni di euro tra i 52 dirigenti Atac ed è diventato operativo l’aumento salariale da 120 euro al mese per i quasi 8mila lavoratori Ama. Il tutto, in barba ai conti da brivido delle due municipalizzate che presentano debiti monstre: 1,35 miliardi di euro per Atac e 1,18 miliardi per Ama.
Le due società capitoline si occupano di settori differenti (trasporti e rifiuti) ma con una logica di gestione che le accomuna. D’altronde, l’azionista di riferimento è sempre il Comune di Roma e non è un caso che quando una società opti per lo sciopero, l’altra si accodi nell’astensione dal lavoro. Così è stato l’ultima volta (lo scorso 8 marzo), quella precedente (il 25 novembre), stesso copione dieci giorni prima (15 novembre). Mamma Roma non dà ad Ama e Atac quello che chiedono? Ecco che le due sorelle incrociano le braccia. Insieme.
Parenti serpenti. Quando in famiglia girano troppi soldi arrivano però puntuali i primi problemi. Tra Ama e Atac infatti non fila tutto liscio. L’azienda del trasporto romano ha in pancia anche la gestione di tutti i parcheggi pubblici della Capitale. Le aree parking a pagamento (quelle, per intenderci, delimitate dalle strisce blu) producono utili e pertanto Atac ci deve pagare le tasse di superficie e rifiuti. Ed è proprio il mancato versamento della Tari (la Tassa Rifiuti) che viene contestato da Ama ad Atac. Il 18 dicembre 2013 l’azienda dei rifiuti ha inviato alla sorella dei trasporti un avviso di accertamento chiedendo il pagamento di oltre 12 milioni di euro di Tari non versata. Il 2 settembre 2014 Ama invia un’altra notifica: questa volta la cifra sale a quasi 13 milioni. L’anno successivo un nuovo avviso da 14 milioni e mezzo. In tutti e tre i casi Atac ha fatto ricorso.
Le querelle legali tra le due municipalizzate sono tantissime. Una su tutte: una causa che rappresenta l’emblema delle storiche inefficienze romane. Dobbiamo fare un salto indietro nel tempo. È il 9 maggio 2000, l’anno del grande Giubileo di Papa Wojtyla. Al campidoglio siede il sindaco Francesco Rutelli. Ama e Atac stipulavano una convenzione per “l’affidamento del servizio di pulitura delle superfici esterne delle vetture delle metropolitane”. Ma il contratto non viene ottemperato in pieno e Ama cita in giudizio Atac. Nove anni dopo, è il 27 febbraio 2009, il giudice rigetta tutte le istanze avanzate da Ama. Ma l’azienda dei rifiuti non è stata a guardare e ha impugnato la sentenza del tribunale dinanzi alla Corte di Appello di Roma. Intanto passano gli anni, le udienze e i rinvii. L’ultimo il 14 ottobre 2014: la Corte d’Appello di Roma ha rimandato la causa all’udienza del 27 febbraio 2018. Un contenzioso che va avanti da quasi venti anni. Nel frattempo Roma si è lasciata alle spalle un altro Giubileo (quello della Misericordia di Papa Francesco) e ha cambiato cinque sindaci e tre commissari straordinari.
I soldi e gli sprechi, comunque vada, rientrano sempre nel perimetro di Roma Capitale: l’azionista è il Campidoglio che ripiana le perdite, si accolla i debiti e stanzia i fondi. In pratica, i contenziosi legali tra ama e Atac diventano una sorta di partita di giro che fa semplicemente lievitare le spese legali delle sorelle capitoline. Nel periodo 2013-2015 Atac ha speso per avvocati 7 milioni di euro (6.977.109), oltre 2 e mezzo solo nel 2015. Ama non mette a bilancio le spese legali, che risultano però tra le consulenze esterne: nel 2015 ha speso in legali 2 milioni e 300mila euro. Sorelle anche nelle spese per avvocati.
Via Francesco Acri 40, si sono fatte le 13 e un quarto. L’autista Atac della linea 160 ha finito il suo panino. Scende per i nove scalini del vecchio ufficio Ama. Mette in moto l’autobus fermo al capolinea e riparte per una nuova corsa.