Tutti sanno che in inglese “Pasqua” si dice “Easter”. Molti meno sanno perché. La ragione è antica, anzi antichissima. Easter è parola imparentata con il tedesco Oster e in entrambi i casi il significato è lo stesso. Deriverebbe, secondo i filologi, da un proto-germanico *austrōn, che a sua volta significa “alba”. E appunto l’alba, la primavera, l’Est (che appunto avrebbe la stessa radice) sarebbe tutto collegato con la Pasqua. O meglio, con una festività che, in tempi lontani, onorava una divinità femminile, chiamata Eostre, e si celebrava in primavera.
Lo testimonia Beda il Venerabile nel suo De temporum ratione, testo dell’ottavo secolo d.C., quando si sofferma a discutere il modo in cui gli inglesi chiamano i mesi (De mensibus Anglorum):
“Eostur-monath, qui nunc Paschalis mensis interpretatur, quondam a Dea illorum quæ Eostre vocabatur, et cui in illo festa celebrabant nomen habuit: a cujus nomine nunc Paschale tempus cognominant, consueto antiquæ observationis vocabulo gaudia novæ solemnitatis vocante”.
Per chi non ciancica la lingua di Cicerone, più o meno spiega che gli Angli chiamavano “Eostur monath”, cioè il mese di Eostre, quello che ora è il mese della Pasqua. E lo facevano perché nel passato celebravano una festività a una divinità chiamata Eostre. E ora utilizzano la stessa parola, cambiate le circostanze, per riferirsi alla Pasqua.
Eostre (sempre se sia esistita davvero, dal momento che alcuni ritengono che sia un’invenzione di Beda) doveva essere una divinità della rinascita, collegata alla luce e alla fertilità. Si sovrapponeva, nella ritualità, alle novità introdotte dal cristianesimo e per questo fu più o meno facile mantenere il nome. Ora in Inghilterra si dice Easter, in Germania Oster, mentre tutti gli altri parlano di Pasqua. Differenze trascurabili: l’importante è che le uova siano uguali ovunque.