La prossima volta che riceverete una chiamata di un call center che propone di sottoscrivere un’offerta sull’energia a prezzo bloccato, ricordate questo dato: +59 per cento. È il cosiddetto “differenziale per le offerte a prezzo fisso”, calcolato dall’Autorità dell’energia e riferito all’energia elettrica nell’ottobre 2015, ultimo dato disponibile. In parole povere, è la differenza tra il costo dell’energia che i venditori fanno pagare ai consumatori e il prezzo “forward” che i venditori pagano nei mercati all’ingrosso. Attenzione, però: questo +59% è un dato che vale solo per i canali alternativi all’online, che in genere coincidono con le offerte telefoniche. Se si acquista online il differenziale scende a un misero 2,1 per cento (i risultati per il gas sono rispettivamente +43% e +8%). Basta questo dato per capire alcuni dei problemi del mercato libero dell’energia in Italia: la scarsa trasparenza di fronte a cui sono messi i consumatori che ricevono le chiamate promozionali è uno dei principali. Poi c’è il problema che di risparmi, per chi abbandona il servizio a maggior tutela, se ne vedono ben pochi. È a causa di queste dinamiche che poco più di due terzi delle famiglie italiane ha scelto di rimanere, a dieci anni dalla liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, sotto il servizio a maggiore tutela. Ed è a causa di questi dati che, nella recente discussione in Parlamento del ddl Concorrenza, la data di morte presunta del servizio a maggiore tutela è stata spostata dal 1° giugno 2018 al 1° giugno 2019, in quello che è un ennesimo slittamento del termine.
Mercato libero, risparmi fantasma
Due anni fa l’Autorità dell’energia era stata netta: i prezzi medi nel mercato libero dell’energia elettrica rilevati nl 2013 erano superiori del 15-20% rispetto al servizio di maggior tutela. Si parlava solo di consumi domestici e della quota relativa ai costi di approvvigionamento, vendita e margine di commercializzazione, ossia alle componenti non fisse della bolletta. Ma il messaggio era inequivocabile. Lo scorso marzo, nell’aggiornamento del Monitoraggio Retail l’Aeegsi è stata più sfumata. Nel rapporto non c’è più un confronto diretto tra mercato libero e tutela, perché non è semplice fare paragoni con offerte che presentano servizi aggiuntivi anche complicati: a volte lo sconto scatta dopo 12 mesi, a volte si mette nell’offerta l’arrivo di un tecnico in caso di guasti. Il concetto si ritrova però in un comunicato stampa di presentazione del monitoraggio. «Per il biennio 2014‐2015 si evidenzia come le rilevazioni relative alla spesa sostenuta dai clienti domestici sul mercato libero sembrano attestarsi su valori mediamente più elevati rispetto a quelli nei regimi di tutela», si legge.
In assenza di dati ufficiali, ci sono le rilevazioni di Federconsumatori, raccolte nella 13° Indagine a campione sulle offerte dei venditori di energia nel libero mercato, per uso domestico. Uno dei dati più interessanti è che dei consumatori che hanno scelto di passare al mercato libero, il 35% ha finito per pagare di più. Una tabella dello studio, riferita al mercato elettrico, mostra come ci siano molte opportunità ma anche molti rischi, non facili da cogliere in una chiacchiareta al telefono.
Due anni fa l’Autorità dell’energia era stata netta: i prezzi medi nel mercato libero dell’energia elettrica rilevati nl 2013 erano superiori del 15-20% rispetto al servizio di maggior tutela
Come si vede, un cliente medio, con un consumo annuo di 2.700 kWh, può arrivare a pagare 77 euro in più o 57 euro in meno rispetto alla tariffa tutelata, che, sulla base delle proiezioni fatte allo scorso 23 gennaio, era pari a 501 euro all’anno. I risparmi sono inferiori (non più di 28 euro all’anno) per le offerte a prezzo variabile (curiosamente è il contrario di quel che sostiene l’Autorità dell’energia), ma sono comunque poca cosa. Per le offerte a prezzo variabile stiamo parlando di un risparmio del 5,7% (nel 2010 era il 10,7%) e per quelle a prezzo bloccato dell’11,4%, uguale a quello del 2010. Un po’ meglio le cose vanno nel gas, dove si arriva a risparmi del 13% e soprattutto di oltre 140 euro in diverse città italiane.
Se ci venisse la tentazione di essere ottimisti, Federconsumatori ci ricorda un dato da nulla: «Rispetto al 2010 la bolletta è aumentata del +16,5 per cento. Le bollette non sono mai state così alte dal dopoguerra e negli ultimi cinque anni la spesa è aumentata di circa 2,5 volte rispetto al tasso di inflazione registrato nel medesimo periodo».
Se i risparmi sono così esigui è per una serie di fattori. Il più evidente è che la componente dell’energia nelle bollette, quella variabile e quindi soggetta a sconti, è limitata. Nel gas è pari al 41% del prezzo finale, nell’energia è pari al 47 per cento, in entrambi i casi comprensivi delle spese per la commercializzazione. Il resto è composto da imposte, oneri di sistema, spese per il trasporto e la gestione del contatore.
Secondo Federconsumaotri, degli utenti che hanno scelto di passare al mercato libero, il 35% ha finito per pagare di più
Ma c’è molto altro. Intanto, sul lato dell’offerta, stiamo parlando di un settore ancora molto concentrato. Se si guarda all’energia elettrica, Enel nel 2015 aveva una quota di mecato del 73,5%, sommando quelli del servizio a maggior tutela e quelli del mercato libero. L’anno prima la quota era solo di poco superiore, 74,3 per cento. Guardando solo al mercato libero, il primo operatore (Enel) deteneva nel 2015 una quota di mercato leggermente al di sotto del 50% (diminuito di 0,3 punti percentuali tra il 2012 e il 2015) e i principali tre operatori detengono complessivamente una quota superiore al 70 per cento. La crescita di operatori concorrenti, poi, ha riguardato soprattutto piccolissimi operatori, non troppo capaci di essere competitivi.
Ci sono però problemi anche sul fronte della domanda. Se i prezzi nei servizi elettrici a media tensione o bassa tensione per le aziende sono scesi di più, è il ragionamento che fa l’Autorità dell’energia, è perché le Pmi hanno imparato a premiare le offerte migliori. Non è successo la stessa cosa per i clienti domestici. Dove, come abbiamo visto, basterebbe selezionare le offerte online per avere dei vantaggi rilevanti in termini di costo. Il modo più semplice di comparare le offerte è il servizio Trova Offerte della stessa Aeegsi, dove si possono inserire i dati della propria bolletta e capire quanto pagare con i diversi operatori. Non si può però parlare di “colpa” dei consumatori. Il tema è quello di rendere più trasparenti le informazioni sulle condizioni offerte, nonché potenziare gli strumenti di comparazione.
Ci sarebbe già ora un modo per gli utenti per risparmiare: lo strumento della Tutela Simile, creato dall’Aeegsi per traghettare il consumatore al mercato libero. È un contratto per la fornitura di energia elettrica che si può stipulare solo via web, dura 12 mesi e non è rinnovabile. Il prezzo applicato è quello del servizio di maggior tutela, con uno sconto una tantum. Non piccolo, spiegano da Federconsumatori: la forbice del bonus è ampia, si va dai 115 euro di Engie ai 10 euro di Sinergas. Eppure l’adesione finora è scarsa. Engie, spiega Federconsumatori, ha ricevuto sinora solo 792 adesioni a fronte di quasi 100mila disponibilità, Eni 907 adesioni su quasi 500mila posti offerti e alcuni altri venditori sono a quota zero.
C’è poi il tema dei ritardi per chi, alla fine, decide di cambiare fornitore. Il 2015 ha visto schizzare dal 2 al 9% l’indicatore sull’indisponibilità delle misure di “switching“ nell’energia elettrica (pare per responsabilità di un singolo fornitore e per un periodo limitato). Nel gas, dove questo indicatore è più limitato, il peso degli switching non completati rispetto al totale delle richieste è alto: si attesta, spiega l’Autorità, a un livello pari, nel 2015, a circa l’8,5 per cento.
Con lo strumento della Tutela Simile il prezzo applicato è quello del servizio di maggior tutela, con uno sconto una tantum. Non piccolo, spiegano da Federconsumatori: la forbice del bonus è ampia, si va dai 115 euro di Engie ai 10 euro di Sinergas. Eppure l’adesione è scarsa