Il bastone. L’endecasillabo, per la Parrella, è bello come un Casanova. Il suo ultimo romanzo è fitto di endecasillabi, più o meno spuri. Ad esempio, “sentì gli alberi stormire forte e i/ vetri vibrare un po’ contro il vento” pare un verso doppio del Pascoli. Quando Alba, l’amica dell’alter ego della Parrella, che si chiama Amanda, “soppesò una papera di plastica, che vibrava e a cui si allungava il collo” – trattasi di un simpatico gadget per il godimento vaginale – Valeria scrive che “con una certa alterigia lo fece”, che neanche il Manzoni del Conte di Carmagnola. Gli endecasillabi più simpatici, però, vengono dopo. Dopo aver vagato per macchinose metafore (tipo: “se sia davvero il ferro a fare il mastro”; “il pesce è una cosa, l’amicizia un’altra”), la Parrella tocca finalmente il punto G della vicenda. Il romanzo si riassume nell’endecasillabo esplicito, “Solo che ho ’sta voglia di scopare”. Che nella variante maschile suona come, “la voglia di farsi toccare il cazzo”. La morale della storia, in effetti, è poco più che questo: “Bisogna scopare appena si può”. Che è poi l’happy end di Eyes Wide Shut, con la Kidman in canotta che sussurra, “c’è una cosa molto importante che dobbiamo fare il prima possibile…”. “Cosa?”, risponde quel tonto di Tom Cruise. “Scopare”, fa lei, ed è davvero meglio stordirsi pensando a Nicole che spremersi le meningi leggendo Valeria. Detto questo, in assenza di sostanza estetica, ci resta da sapere questo di Amanda, l’eroina femminile della Parrella:
a) che di maschioni “non mi ricordo se me ne sono scopata più o meno di cento”;
b) che aborre la nerchia di un intellettuale, meglio i camerieri, meglio ancora gli operai, perché “il senso di lotta di classe affina l’animo lasciando la virulenza dell’azione”, ma va bene anche il fruttivendolo sotto casa, “un grandissimo bel pezzo di uomo”, che ammirando le tette da neomamma di due gemelli di Amanda esplode in un “Ah, come vorrei essere uno di questi due angioletti, quando la mamma gli cambia il pannolino”;
c) che si masturba dopo che ha portato i figli a scuola, smanettando sui siti porno, perché “il mattino ha l’oro in bocca”;
d) che non sopporta il maschio che mentre scopa dice ti amo, “si capisce bene come l’eccitazione mi sia calata di colpo”;
e) che a un tizio che non voleva più scoparsi, gli propone “se ti vuoi fare fatti, mi puoi guardare, te ne puoi andare in bagno, se vuoi ti carico un porno”, avercene di donne così.
Per carità, il libro della Parrella si legge in un lampo, dura meno di una modesta scopata. Soltanto che lei è meno intelligente di Franca Valeri e meno intrigante di una Edwige Fenech qualunque. E contravviene al lodevole endecasillabo di partenza – “bisogna scopare appena si può” – perché più che eccitarci, ci sfratta dal turgore, ammoscia tutte le voglie. Insomma, questo sarà pure un libro sulla fica – lo denuncia lei, Valeria, a pagina 9 – ma è scritto davvero col cazzo, avesse almeno i coglioni di scrivere come Jun’ichiro Tanizaki (leggetevi almeno La chiave), ma appunto, quanto a capolavori la Parrella è ancora vergine.
Valeria Parrella, Enciclopedia della donna. Aggiornamento, Einaudi, pp.128, euro 14,00
La carota. Francesca Serragnoli grosso modo ha gli stessi anni della Parrella, è di Bologna, la conosce solo chi legge roba buona. Francesca Serragnoli è, facendo una sintesi brutale – d’altronde, la poesia, pochi cazzi, o c’è o fa schifo – uno dei rari poeti degni di essere letti oggi in questo Belpaese di analfabeti lirici. Francesca pubblica in accorata clandestinità libri bellissimi, già ‘classici’: dopo Il fianco dove appoggiare un figlio (2003) e Il rubino del martedì (2010), editi da Raffaelli, l’anno scorso è uscita con Aprile di là per la ‘collana gialla’ di Pordenonelegge, sotto gli auspici di Gian Mario Villalta. Francesca non ce lo mena elencandoci la lista delle sue voglie e dei suoi amanti, eppure la sua poesia, lucidissima, feroce, piena di draghi di vetro, è altamente eccitante. “Ho il corpo pieno di lampi/ salgono in gola come animali/ ingoio pastiglie come ciondoli/ ricamo fiori per calmare le api”, scrive, oppure, “Apro le cerniere/ l’anima scivola la notte/ magra lupa delle costole contate per dormire”, visionaria e nottambula. Francesca allinea parole semplici come il pane modificando per sempre il nostro modo di vedere le cose, il nostro affarismo nel catalogare inquietudini e implicazioni. Lo fa così, ad esempio, “Non è ridere incidere col coltello/ una bocca morta./ Destro questo vietnam girato a spalla/ lascio all’abatjour indicare/ un fioco pallore di luna/ attendere bambina piegata sul prato/ i grilli uscire dal buco del cuore”. Ha la vertigine di una Marina Cvetaeva – ma chi la legge, oggi? Leggete lei e abbandonate le Parrella di cui abbonda il mercato editoriale – e ne dovrebbero parlare, ogni giorno, i quotidiani d’Italia, se non fossero impantanati in un valzer di recensioni perbeniste.
Francesca Serragnoli, Aprile di là, Lieto Colle-Pordenonelegge, pp.120, euro 13,00