Ciao Alessandro che fai il rapper,
vieni qui, siediti con me al tavolo della birreria. Facciamo due chiacchiere. Su, bravo, qui.
Ieri è successa una cosa. Hai postato su Facebook un video che mi ha fatto sentire l’esigenza di spiegarti due cose. Te la spiego, zio, te la spiego bene.
Nel video difendi Calcutta e i TheGiornalisti dalle “accuse” di Manuel Agnelli che, intervistato dalla sottoscritta, sosteneva qualcosa di scabroso, scomodo, orribile: non gli piacciono. Anzi, peggio, lui proprio non li ascolta Calcutta e i The Giornalisti. La macchina del fango.
È un gesto quasi nobile, da parte tua, questo inserirti a muso di giaguaro all’interno di una questione emersa una trentina di giorni di fa. E intervenire, appunto, puntuale, al solo scopo di difendere, “quelli che stanno iniziando a fare successo”. Solo che, a ben guardare, ti stai inserendo in una questione in cui tu Ale, non so come dirtelo, non c’entri una cippa.
Perché, davvero, in quelle righe Agnelli aveva parlato male di qualunque artista di rilievo sulla scena musicale passata e presente. Dai Queen ai Duran Duran, senza sconti. E senza citarti mai. Molto indelicato da parte sua ma sono certa che tu abbia un cuore grande, visto come ti poni in difesa dei più deboli, degli emergenti. Te la caverai e ti stimo per questo impegno, seriamente.
Ti stimo un po’ meno quando, ad esempio, invece di rispedire le pesantissime accuse al mittente dicendo qualcosa tipo: “Gli Afterhours bleah, caccapupù” te la prendi, senza nominare mai mai mai Manuel Agnelli, con i giornalisti. Dico quelli che scrivono, non il gruppo. Dico ad esempio che mi sono ritrovata a riportare delle dichiarazioni cercando di farlo in modo coerente, insomma, di farlo bene.
Invece adesso salta fuori che io, in quanto giornalaia che ha scritto quell’intervista lì, e di conseguenza tutti quelli che scrivono in quanto sottocategoria della lobby dei taxisti massoni, imbrattano il web o le colonne dei cartacei per “fare hating”. Che dev’essere un modo supergiovane per dire: “diffondere odio”.
Ora, Ale, siamo sempre seduti qua, abbiamo le nostre birre. Fai un sorso, vai, che questa sarà difficile. Bravo, ecco, vedi, succede una cosa semplicissima: le persone hanno delle opinioni. Puoi essere d’accordo o meno ma non puoi impedire che loro, le persone, ne abbiano. Come tu hai le tue e quando le dici la gente ti risponde sempre e solo “Bella, zio”. Un po’ perché a volte ti capita di avere indiscutibilmente ragione, un po’ perché, cosa vuoi fare, abbiamo invitato lo zio anche a sto pranzo di Natale, attaccherà con le storie di quando era giovane e saltava i fossi per il lungo, lo sappiamo, è fatto così.
I giornalisti, poi, nello specifico, guardano, ascoltano, recensiscono.
A volte bene, altre male. In questo specifico caso, non lo fanno per fare un dispettuccio a te o alla gente di cui scrivono, ma proprio perché è il loro lavoro esprimere un parere su ciò che vedono, sentono, percepiscono. Un lavoro, sai, tipo quando il tuo era quello di farci muovere il culo in disco sulle note skretchate di Tranqi Funky. Quella roba lì. Solo che a volte loro, i giornalisti, vengono pagati, addirittura più di due centesimi lordi per scrivere. Altre no, lo fanno proprio per passione. Un po’ come quando avevi la scimmia per il rap, ecco.
Anche tu hai le tue opinioni, Ale, ad esempio una volta a The Voice, sì hai fatto il coach pure lì perché i tempi in cui andavi a Domenica In a cantare a tradimento Ohi Maria sono lontani lontanissimi, hai detto che quando senti una canzone dei Queen ti fai la doccia e bruci i vestiti che avevi addosso. Nemmeno a Manuel piace molto Freddie Mercury, a quanto sostiene nella sopracitata intervista misteriosa che non vuoi fare diventare virale perché nulla diventa virale, si sa, a meno che tu non lo voglia. Quindi, vedi, qualche punto in comune c’è. Potete farvi una telefonata, parlarne, diventare amichetti e scrivere insieme la nuova Pamplona.
Oppure no, sarai troppo impegnato a buttar giù la prossima hit sulla Maria (De Filippi o no, poco cambia) quindi lasciamo stare.
Torniamo al punto: io posso ascoltarti mentre sostiene che Fabio Volo sia letteratura perché non sono Michela Murgia e non credo che gli alberi si vendicheranno su di te, per questo. Perché “questo” è un tuo “pensiero”. Mi fa piacere, anzi, che tu legga. Fa bene alle sinapsi, rilassa. Un po’ come il fumo.
Però vedi, Ale, se dici che i giornalisti sono una schiera di rancorosi solo perché stroncano qualcosa che piace a te, a me viene da abbracciarti.
Un po’ perché il tuo ultimo disco – ti prego, non quello dei Rolex, dico Il Bello d’esser Brutti – m’era pure piaciuto – un po’ perché, già che sta birretta la stiamo finendo ti saluterei commemorando i bei tempi andati. Quando avevi scelto un nome per la band che avevi tirato in piedi dal nulla, dalla periferia milanese, e questo nome era Articolo 31. In un pezzo, Senza Regole, dicevi di non ricordarti perché aveste stabilito di farvi chiamare così, tu e il tuo ex socio.
Visto che sono qui per aiutarti a capire un po’ di cose base, ti rinfresco volentieri la memoria: parrebbe che Articolo 31 sia (o fosse) un articolo della Costituzione irlandese che prevede(va) la libertà di espressione nei media.
Vedi, Ale, praticamente ti sei risposto da solo.
Mi togli pure il gusto, la soddisfazione.
E adesso vai, esprimiti come diavolo ti pare sui media che più ritieni opportuni. Il resto dell’umanità farà lo stesso con o senza la tua approvazione.
Però, in linea generale, rilassati, guarda che bel sole che c’è.
Peccato solo tutte queste scie chimiche.
Ecco l’audio originale dell’intervista di Grazia Sambruna a Manuel Agnelli.