La svolta a quanto pare non c’è. Anche le ultime previsioni della Commissione Europea sulla crescita nella Uunione Europea sembrano una litania di dati conosciuti, quelli che non fanno neanche più notizia: i Paesi dell’Est, in particolare Bulgaria e Romania, galoppano. La Spagna è in decisa ripresa, ora affiancata anche dalla Grecia. L’Italia come sempre arranca, in ultima posizione, con una crescita stimata tra lo 0,9 e l’1%.
Ed è una storia vecchia: è da quasi 30 anni che il nostro Pil cresce meno di quello della media dell’Unione Europea e della zona euro. I rari momenti di controtendenza sono stati dovuti al ritardo della nostra economia nel subire i contraccolpi delle crisi. Ma è un vantaggio che ci è toccato ripagare con gli interessi.
Il differenziale di crescita ha toccato il suo picco nel 2012, che è stato anche il nostro anno peggiore dopo il 2009, poi a quanto sembra le cose sono andate un po’ meglio, anche se il nostro ritardo rispetto agli altri paesi è una costante.
Fino alla fine 2018 le cose non andranno peggio di come sono andate negli ultimi sei anni: il ritardo, sempre sentire la Commissione Europea, oscilla tra lo 0,7 e lo 0,8%.
Possiamo consolarci per questo piccolo risultato? Mah. In realtà è da altri dati che possiamo vedere l’inizio di un cambiamento. Che potrebbe essere positivo per noi.
Come si sa il PIL è in realtà composto da varie componenti: i consumi prima di tutto, sia pubblici che privati, gli investimenti, di vario tipo, la spesa pubblica, e il saldo di bilancia commerciale: ovvero l’andamento delle esportazioni e delle importazioni.
Nei consumi per esempio la differenza nella crescita tra Italia e area Euro è sempre stata inferiore a quella generale presente nel PIL, e così sarà anche nel 2017 e 2018. A dispetto di quel che spesso si ritiene non è stato questo il driver del ritardo italiano, piuttosto ne è stato una conseguenza.
In realtà si deve guardare alle altre componenti per poter dire qualcosa su ciò che è accaduto e accade alla nostra economia.
Per esempio si può notare che a partire del 2003 era stato il gap nell’aumento degli investimenti a minare la nostra crescita. Dal 2013 però il gap si sta riducendo. Dovrebbe contrarsi ulteriormente nel 2017, quando in Italia gli investimenti cresceranno più che nel resto dell’eurozona. Sarà vicino a zero nel 2018.
La cosa è dovuta in parte al super ammortamento per gli acquisti di macchinari per il 2017 e gli anni successivi fino al 2020, specie dopo l’introduzione di un un iper ammortamento al 250% per alcuni acquisti legati alla cosiddetta industria 4.0. Probabilmente uno dei provvedimenti migliori tra quelli approvati negli ultimi anni.
Dal 2015 in poi, infatti, per la prima volta la differenza nella crescita negli investimenti in macchinari rispetto all’eurozona è stata non solo positiva, ma superiore a quella presente nel settore delle costruzioni.
Qualche buona notizia quindi c’è, a quanto pare. E non solo: a questa si aggiunge l’andamento del nostro gap nella crescita delle esportazioni. Sappiamo che parte della nostra positiva bilancia commerciale è dovuta a un calo delle importazioni negli anni della crisi, e che la crescita del nostro export è stata inferiore a quella di altri Paesi dell’euro, come la Spagna per esempio, e tuttavia questa differenza è andata man mano a calare fino quasi ad azzerarsi. Dal 2016 in poi sarà nettamente inferiore a quella di 10 o 20 anni fa, che tanto contribuiva allora al gap nell’aumento del nostro PIL.
Perché allora l’Italia cresce così poco rispetto ai propri vicini?
In buona misura la colpa è l’aumento della spesa pubblica. Se guardiamo agli anni a cavallo del nuovo millennio quest’ultima saliva più che negli altri Paesi dell’euro, poi il divario è stato sempre maggiore, con una tendenza a una crescita lenta.
Quello che emerge è che se confrontiamo per esempio il periodo 1998-2002 agli anni compresi tra il 2017 e il 2018, a parità degli altri fattori (consumi e investimenti), allora l’Italia pareva crescere meno a causa del gap nell’export. Adesso siamo frenati dalla spesa pubblica.
Se invece il paragone è con gli anni 2003-2007, a fronte di dati simili sulle differenze di crescita del PIL rispetto all’eurozona, il ritardo italiano era nella crescita degli investimenti, che ora si sta indubbiamente riducendo.
Insomma, c’è crescita del PIL e crescita del PIL. Se vogliamo una volta tanto fare esercizio di ottimismo dobbiamo riconoscere che pur rimanendo un gap nei numeri, qualitativamente potremmo essere messi meglio che in passato. Diminuisce il ritardo negli investimenti e nell’export, aumenta solo quello nella spesa pubblica, di cui abbiamo abusato troppo nei decenni passati.
Naturalmente tutto questo non basta, non possiamo solo consolarci del fatto che la differenza nella velocità a cui corriamo è un po’ minore. Dovremmo superare i nostri vicini per recuperare il terreno perduto, come sta facendo la Spagna e si accinge a fare la Grecia.
Tuttavia alcuni segni positivi ci sono, sperando non siano fragili come dei germogli, così fragili che basterebbero folate di cattiva politica e di populismo economico a spazzarli via.