TaccolaSud, ultima chiamata: o si cresce ora, o mai più

Ricapitolando: più fondi ordinari per investimenti, decontribuzione per le assunzioni, credito di imposta sui macchinari esteso, Banca del Mezzogiorno sotto Invitalia. Con l’incognita dei Fondi europei. Per il Sud c’è un’inversione di tendenza dopo anni di tagli. È un treno che non va perso

Sarebbe facile fare un quadro disastroso della situazione economica e sociale del Mezzogiorno. La povertà è a livelli allarmanti, la disoccupazione è altissima, la fuga di cervelli inarrestabile, la natalità in picchiata. Soprattutto, al di là di questa fotografia purtroppo nota, ci sono altri dati meno conosciuti ma altrettanto gravi: la spesa ordinaria conto capitale (leggi investimenti) nel giro di sei anni è scesa dagli 11,7 miliardi del 2009 ai 5,1 miliardi del 2015. Quella del fondo di sviluppo e coesione nel 2014-2015 ha toccato il minimo storico (1,35 miliardi, contro i 4,2 del 2009 e i 2,7 del 2013). I Fondi europei non solo sono stati usati in extremis e dispersi in mille rivoli (per la verità quasi un milione), per lo più infruttuosi. Ma sono stati utilizzati, attraverso la rendicontazione, come spesa sostitutiva dei trasferimenti ordinari e non per il suo scopo originario: una spesa aggiuntiva per investimenti produttivi. Per fare una scuola, insomma, non si sono usati i fondi statali ma quelli europei. L’elenco degli orrori del passato, recente o meno, è lungo. Di patti e accordi di programma territoriali son piene le fosse. Di agevolazioni specifiche se ne sono contate decine, dalla Legge 488 su turismo, industria e artigianato (l’11esimo bando da solo ha finanziato 3.100 imprese) alla Legge 341 su crediti di imposta, passando per normative regionali che non di rado si sono sovrapposte a quelle nazionali.

Sarebbe facile fermarsi a questo quadro desolante. Tuttavia il 2017 è segnato da alcune novità, che stanno dando luogo quantomeno un cambio di clima. L’Italia è tornata ad avere un Ministero per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno. L’aveva avuto con i governi Berlusconi (ministro Fitto), Monti (ministro Barca) e Letta (ministro Trigilia). In seguito era diventato un sottosegretariato della presidenza del Consiglio, prima nelle mani di Graziano Delrio e poi di fatto di Claudio De Vincenti. Ora il ministero è tornato e il ministro è proprio Claudio De Vincenti, che negli anni precedenti si era dedicato alle crisi aziendali e ora si occupa di un’area che si può quasi considerare una grande crisi.

Il ritorno del ministero è però solo un pezzo del discorso. Nella legge di bilancio 2018 è stata decisa la decontribuzione per le assunzioni nelle regioni del Meridione. C’è stata la stipula di Patti per il Sud, per otto regioni e sette città metropolitane più Taranto. È avvenuto il passaggio della Banca del Mezzogiorno (creazione di Giulio Tremonti) da Poste Italiane a Invitalia, che promette di dirottare le risorse verso investimenti più produttivi. È in corso una negoziazione con la Commissione Europea per la creazione di “zone economiche speciali” su cui concentrare gli incentivi fiscali. Il Decreto Sud, approvato a febbraio, ha poi messo altri tasselli. C’è stata l’estensione del credito di imposta per le imprese che investono in macchinari. Sono aumentate sia le aliquote di esenzione sia i tetti di spesa detraibili per le piccole e per le medie imprese. E, soprattutto, il Decreto Sud ha compiuto un passo poco pubblicizzato ma significativo: a partire dall’anno prossimo la spesa ordinaria in conto capitale dovrebbe cambiare distribuzione, a vantaggio del Meridione: sarà infatti distribuita per legge in misura proporzionale alla popolazione. Il Mezzogiorno, che negli ultimi anni l’ha vista decrescere, dovrebbe vedere un aumento che si può stimare in circa 6 miliardi all’anno, secondo i calcoli de Il Mattino. Il condizionale è d’obbligo perché mancano i decreti attuativi e quindi prima di giugno si parla solo di dichiarazioni di intenti.

A partire dall’anno prossimo i la spesa ordinaria in conto capitale dovrebbe cambiare distribuzione, a vantaggio del Sud: saranno infatti distribuiti per legge in misura proporzionale alla popolazione. Il Meridione, che negli ultimi anni li ha visti decrescere, dovrebbe avere un aumento che si può stimare in circa 6 miliardi all’anno

Se nuove risorse ora quindi ci sono (per quanto i Patti per il Sud siano sostanzialmente una messa in ordine di progetti già previsti e spesso finanziati), basteranno per segnare anche un cambiamento di Pil? Il 2017 sarà davvero, come promesso da Claudio De Vincenti, l’anno della svolta per il Sud? La risposta di chi segue queste vincende da vicino è prudente. «La storia delle agevolazioni al Sud degli ultimi anni ci lascia alcune lezioni: la prima è che troppi strumenti fanno male, perché creano molta confusione. La seconda è che la frammentarietà delle agevolazioni non porta sviluppo: dare 100 euro a 100 persone non porta gli stessi benefici che comporterebbe dare 50 euro a testa a due aziende che poi crescono», spiega Alessandro Panaro, Head of Maritime & Mediterranean Economy Department di Srm, centro studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo. Sono limiti che oggi non sembrano superati. Le priorità, continua Panaro, dovrebbero essere almeno tre: avere il coraggio di fare delle scelte su grandi progetti su cui investire; proteggere il percorso delle opere, per esempio comminando sanzioni in caso di ricorsi al Tar che risultassero puramente strumentali; e affrontare l’impantanamento a cui vanno incontro i progetti in caso di “cambio della guardia” nei posti di responsabilità, magari per logiche di spoil system.

Secondo Gianfranco Viesti, professore ordinario di economia applicata nel Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Bari, «non si vede un cambiamento sostanziale, non è certo un Piano Marshall per il Sud». Tuttavia il discorso si può articolare. «La parte più positiva» del pacchetto di interventi, spiega, è quella che riguarda l’incentivazione degli investimenti, con il credito di imposta e il superammortamento. «L’intervento sulla parte dei costi è copiscuo e i tassi bassi danno un’altra spinta. I costi sono però sola una componente nelle decisioni di investimento. Il resto è dato dalle prospettive di mercato, che rimangono molto deboli». I patti per il Sud, a cui è stato destinato un terzo del Fondo di Coesione Sociale per il periodo 2014-2020, aggiunge, hanno il merito di mettere ordine e di essere visibili su fogli Excel, quindi in maniera trasparente. Il limite è che il grosso della dotazione sarà spendibile dopo il 2018. Positivo, secondo Viesti, è l’aver indirizzato un altro terzo dei fondi dell’Fondo di coesione sulle infrastrutture, tramite una recente delibera del Cipe. «Il ministro Delrio sta mettendo ordine e sta facendo bene, ma ancora non sappiamo quali opere saranno finanziate».

Il punto più critico riguarda i fondi comunitari. Nelle scorse settimane un articolo di Sergio Rizzo, sul Corriere della Sera, ha denunciato il grave ritardo che le regioni stanno accumulando sui progetti finanziati dai vari programmi del periodo 2014-2020. «Quello che più mi colpisce è stata la assoluta mancanza di una risposta da parte del ministero», nota Viesti. Una risposta è arrivata solo dalla Regione Puglia (record negativo secondo Rizzo con zero euro attivati) attraverso le pagine della Gazzetta del Mezzogiorno. La tesi difensiva è che fino a tutto il 2016 sono stati usati i fondi del periodo 2007-2013, che il primo termine per la rendicontazione della spesa è fissato al 31 dicembre del 2018 e che ci sarebbe stato tempo per spendere i soldi del programma fino al 2023. Rimane però un fatto: l’Italia è in ritardo e uno dei motivi principali si chiama “autorità di gestione. Sono delle nuove strutture nazionali che dovrebbero semplificare l’iter dei fondi, facendo un filtro italiano sulla validità dei progetti. Il problema è che queste strutture sono state avviate con enorme ritardo. Lo scorso autunno la situazione era in alto mare. Ancora a febbraio la Commissaria Ue per la Coesione sociale, Corina Cretu, dichiarava che mancavano sei designazioni di queste autorità. E finché le autorità di gestione non si avviano, tutto rimane bloccato. L’accelerazione è quindi una priorità assoluta. Su questi aspetti Linkiesta ha avuto un aggiornamento dal ministero dell’Economia e Finanze: al 5 maggio 2017 non sono state ancora designate cinque autorità: Puglia, Abruzzo, Bolzano e Valle d’Aosta (queste ultime non solo per i programmi Fesr ma anche per quelli Fse), oltre al programma nazionale Pon-Ricerca e Innovazione. Sono in fase di chiusura le designazioni per Abruzzo e Puglia (entrambe entro giugno), mentre Bolzano e Valle d’Aosta «hanno deciso scientemente di spostare la decisione a poco prima dell’estate perché sono ancora alle prese con la chiusura dei programmi precedenti. Solo per il Pon-Ricerca e Innovazione si rischia di andare a dopo l’estate», fanno sapere dal Mef. Perché si è arrivati solo ora a queste designazioni? A quanto pare perché i due anni precedenti sono stati dedicati alle designazioni per le autorità di audit. «A dicembre 2016 erano parecchi i Paesi con le designazioni ferme», dicono dal Mef. Fonti della Commissione europea hanno confermato a Linkiesta che, tra i Paesi con un numero di programmi comparabili a quelli italiani (che ne ha 30), la media di attivazione un mese fa era di circa il 60% (l’Italia era all’80%). I ritardi, dunque, non sono solo italiani.

Il punto più critico riguarda i fondi comunitari. L’Italia è in ritardo e uno dei motivi principali si chiama “autorità di gestione”: devono essere approvati per far partire i programmi 2014-2020 ma la situazione fino a qualche mese fa era in alto mare

Il fatto è che quando i soldi europei sono stati effettivamente spesi, come nel 2015, gli effetti sul Pil si sono fatti sentire positivamente (il Sud in quell’anno è cresciuto poco più della media nazionale), come ha sottolineato anche l’ultimo rapporto dello Svimez. Per contro, se ci sono anni di buco, si sentirà l’effetto contrario. A riequilibrare il tutto, come detto, potrebbero esserci le risorse aggiuntive ordinarie, decise dal decreto Sud. Sarebbe un cambio di passo rispetto al recente passato. Viesti, in ogni caso, sottolinea come queste spese riguardino le amministrazioni pubbliche, mentre rimangono fuori quelle di società pubbliche, come Ferrovie dello Stato e Anas. «Sappiamo che negli ultimi anni la spesa del gruppo Ferrovie dello Stato si è concentrato sull’Alta velocità e questo ha significato risorse quasi nulle per il Sud. Possiamo discutere dell’opportunità politica o meno, ma non che si considerino queste delle decisioni solo aziendali».

C’è poi da capire se i soldi e gli investimenti saranno reali. L’ultimo documento dell’Ufficio parlamentare del Bilancio ha mostrato come per il 2016 il governo avesse promesso alla Commissione Ue più investimenti, in cambio della flessibilità ottenuta sui conti. Invece, gli investimenti a conti fatti sono scesi del 4,5 per cento.

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