Morgan: «David Bowie è un cadavere, e mi accompagna sempre»

Intervista a Marco Castoldi in arte Morgan in occasione del Festival della Bellezza di Verona: «Non esiste suono senza visione perciò, per come la vedo io, non può esserci una performance vera senza che il musicista si metta a correre sul palco, a sudare, a inventarsi bravate»

Artista, giullare, polemista di professione, personaggio – forse – suo malgrado. A Marco Castoldi in arte Morgan le etichette stanno strette, strettissime. “L’istrione, patologicamente, ha bisogno di essere amato” racconta al termine di un concerto tributo a David Bowie nell’ambito del Festival della Bellezza, a Verona, dove non pioveva da due mesi, si dice. Ma quella sera, sì, pioveva. Parecchio. All’entrata, la Croce Rossa vendeva cuscini per le sedie fradice fino all’inizio del live, al Teatro Romano. Un live che è stato uno show, un cabaret, un insieme di suoni, immagini e filosofia platonica. Un live che è stato sudore e pioggia. Poco Bowie, molto Morgan, anzi forse, verrebbe da dire, molto Marco. A giudicare dalle facce di chi usciva, al termine dello spettacolo, un’esperienza di difficile decodificazione, per usare un eufemismo. Quindi Morgan, l’istrione, vive e suona tuttora in disordine, senza scaletta, su e giù dal palco. Ma tra una cover di Heroes, un’imitazione parodica di Battisti e dopo qualche tapiro, avrà ancora, davvero, qualcosa da dire? Gliel’abbiamo chiesto. Perché questo giullare, questo polemista di professione, questo personaggio suo malgrado, Amici o no, convive da sempre con la croce e la delizia di destabilizzare. E quindi incuriosire. Questa la sua forza. E la sua fragilità.

Hai fatto una serata in omaggio a David Bowie in cui a un certo punto ti sei messo a suonare “Pippo non lo sa”. Nel complesso, questo live, quanto è stato un tributo e quanto una supercazzola?

Partiamo da un presupposto: il rock’n’roll non è frivolo ma di sicuro è un po’ cazzone. Non esiste suono senza visione perciò, per come la vedo io, non può esserci una performance vera senza che il musicista si metta a correre sul palco, a sudare, a inventarsi bravate, magari pure pagliacciate. Per fare uno show bisogna aderire a più registri diversi, dal drammatico al comico, per un unico fine: creare un rapporto, un’interazione, col pubblico perché senza pubblico non può esistere uno spettacolo. Non ho una scaletta non perché non abbia voglia di farla ma perché improvviso in base alle vibrazioni che mi rimanda chi è venuto a vedermi. L’improvvisazione, però, non è sinonimo di approssimazione: nel jazz esistono manuali di improvvisazione, mentre nel rock l’improvvisazione non è ancora stata codificata, probabilmente dovrò farlo io. Molti miei colleghi non lo capiscono e infatti non mi invitano ai loro show, hanno paura di me, in un certo senso, vogliono prove, certezze, prima di salire su un palco. Non capiscono quanto l’improvvisazione sia fondamentale perché rende ogni spettacolo irripetibile. Altrimenti tanto varrebbe andare a vedere una mostra di quadri. Durante il live era tutto perfettamente sotto controllo, nonostante il caos apparente.

E in questo caos non pensi che Bowie sia passato in secondo piano?
Bowie non può passare in secondo piano perché è un cadavere.

Cioè?
Ho una visione molto romantica della morte. Secondo Coleridge e Wordsworth quando un essere muore non finisce in paradiso o all’inferno ma va a far parte del terreno su cui camminiamo, dei fiori, degli alberi. Questo significa essere un cadavere: diventare spirito presente in ogni luogo. Perciò dico che Bowie, oltretutto mio spirito guida da sempre, non può essere passato in secondo piano durante lo show. Era lì, sopra di me, per tutto il tempo. “Le mie ossa regalano ancora alla vita erba fiorita”, cantava De André in Un Matto. Bowie oggi regala ancora di più quello che è ovvero il più grande musicista e pensatore del 900.

E tu, invece, cosa regali?
Io regalo performance che non sono state né saranno mai deludenti, non vendo flop, non mi è mai capitato di farne. Poi passerò alla storia per le cazzate che dico e che faccio, anzi, per le cazzate che i giornalisti scrivono che io dica e faccia.

Pensi che il pubblico non ti comprenda?
Io sono fiero del mio pubblico perché è sempre diverso e non etichettabile, un po’ come quello che faccio sul palco. Di solito vengono a vedermi un migliaio di persone ma non sono tutti ragazzini, tutti vecchi, o tutte famiglie. È gente che in genere viene ai miei concerti da sola, per i cazzi propri. Gente disposta all’ascolto. Poi mi rendo conto che sia difficile farsi un’idea di me leggendo ciò che si scrive sul mio conto ma questo non è un problema mio.

Probabilmente una buona fetta del tuo pubblico vorrebbe sapere cosa diavolo sia andato storto coi Bluvertigo. C’era stata una reunion sanremese, l’annuncio di un disco…E poi?
E poi io non ho più una band perché credo che i componenti di quella band siano stati completamente privi di rispetto nei miei confronti. Fui io ad avere l’idea della reunion, ho scritto il disco, un disco che c’è tuttora. Loro hanno perso la stima verso di me. Forse per rabbia e frustrazione. Questi mi odiano, non posso far altro che prenderne atto. Anche se da parte mia non è così, non puoi stare con gente che ti odia. Si sono comportati davvero da pezzi di merda.

Perché?
Non ne ho idea.

Alla luce di tutto ciò che stai dicendo finora, una buona soluzione potrebbe essere parlare meno e suonare di più.
Sei tu che mi stai facendo parlare, io sto preparando un live e sono presissimo dalla mia musica.

In tv ci sono degli aspetti che mi affascinano, molte volte ci ritorno perché sono incuriosito da quegli ambienti, intravedo prosettive sempre molto belle e interessanti dal punto di vista creativo anche se sono tutti un po’ troppo ansiogeni e io sono più frikketone

Ti stiamo facendo parlare appunto perché crediamo che molte persone vogliano saperne di più della tua musica, a prescindere dalle polemiche e dai tapiri. A proposito, c’è ancora, la tua musica?
Quando usciranno le mie cose cambierà tutto. Si tratta della visione del musicista più libero che c’è. È musica esplosiva, a chi vorrà ascoltarla potrebbe esplodere la testa come succede al protagonista di Videodrome. Per adesso posso dirti che sto lavorando a un doppio disco.

Nel 2016 eri arrivato a postare su Facebook la tracklist di un nuovo album di cui poi non si è saputo più nulla. E non è la prima volta che annunci novità discografiche che poi non vedono mai luce. Ora dobbiamo fidarci?
Sì.

Cosa direbbe il Morgan degli esordi al Morgan di oggi?
Smettila di farti crescere il naso!

Ovvero “Smettila di raccontare balle”?
No, non in quel senso. Collodi non c’entra. È che davvero sto invecchiando male, è evidente se guardi il mio naso. Praticamente ho la caduta di Varsavia sulla faccia, da un paio d’anni non mi riconosco più nelle foto. Mio padre aveva il naso più lungo di quello di Battiato e diceva sempre che le belle chiese hanno il campanile alto. Ma a me non me ne frega niente, io voglio il naso di James Dean, mica quello di Lando Buzzanca! Piuttosto resto povero ma devo assolutamente contattare un chirurgo, uno bravo. Anche perché oltretutto fa malissimo: si sfalda la cartilagine, sembra che il naso ti cada, un’agonia…

Bene, ora si staranno sprecando doppi sensi nella mente di chi sta leggendo…
No, ecco, precisiamolo: non mi sta cadendo il naso perché pippo cocaina. È solo per via di un processo di invecchiamento che capita a tutti, anche a voi che state leggendo. Godetevi il vostro naso perfetto dai 16 ai 25 anni poi non potrà che andare sempre peggio. Però, davvero, io non pippo cocaina. Ho solo il nasone. Ma a quanto pare il nasone in tv funziona.

E ti interessa ancora la tv? A parte la mera questione economica, sembra davvero ai limiti del masochismo il fatto che tu ci torni ogni volta. Finisce sempre allo stesso modo…
In tv ci sono degli aspetti che mi affascinano, molte volte ci ritorno perché sono incuriosito da quegli ambienti, intravedo prosettive sempre molto belle e interessanti dal punto di vista creativo anche se sono tutti un po’ troppo ansiogeni e io sono più frikketone. Se io avessi la possibilità di essere un po’ più autonomo, di fare delle scelte, credo che le persone potrebbero vedere qualcosa in equilibrio tra arte alta e l’arte popolare. Il problema è un cortocircuito di base, a livello di comprensione: il pubblico è lì che aspetta di vedere delle belle cose, mentre chi fa tv pensa che i telespettatori siano di basse pretese. Personalmente mi scontro con questa idea perché è sbagliata e perché io stesso sono parte del pubblico e vado rispettato in quanto tale. Quando mi metto davanti alla tv e vedo solo schifezze mi incazzo perché non me lo merito. In televisione bisogna smettere di dare perle ai porci. No, ho sbagliato. Bisogna smetterla di dare porci alle perle.

E questo tu lo credevi davvero possibile in un programma come Amici?
Sì.

Perché?
Perché ritengo Maria De Filippi una persona davvero illuminata, colta e assetata di cultura. Umanamente, mi spiace molto per come è andata a finire. Le premesse erano davvero ottime tanto che, a giudicare da quanto mi era stato promesso sulla carta dal punto di vista creativo, rifirmerei al volo anche oggi. Poi però quelle condizioni non si sono verificate, non potevo saperlo prima. Tra le altre cose, avevo pure il pubblico contro in studio.

Sì, un pubblico di ragazzine, però.
Va bene, sarà pur stato un pubblico di ragazzine. Ma allora perché non insultavano Saviano? Io parlavo di Endrigo, lui di Anna Achmatova. Almeno Endrigo ha scritto Per fare un albero ci vuole un fiore che chiunque ha sentito fin dall’asilo. Anna Achmatova è una poetessa che conosciamo in quattro, figurati quanto gliene potesse fregare alla ragazzine. Però quando parlava Saviano lì era cultura, quindi tutti zitti ad ascoltare. Io non facevo in tempo ad aprir bocca che subito mi fischiavano. Senza contare che questo Saviano parla col gobbo. Io dentro di me dicevo, volevo gridargli: “Levategli il gobbo! Levategli il gobbo!”. Chissà che cavolo avrebbe detto senza gobbo. Io non ho mai avuto il gobbo perché so sempre di cosa parlo. Al massimo ho la gobba, quella sì. Ma il gobbo almeno no.

Il nasone e pure la gobba, un mostro, praticamente. Se questo mostro fosse rimasto ad Amici, la finale l’avrebbe vinta un ballerino?
No, l’avrei vinta io. Con Thomas. Ma non dico che l’avrei vinta. Dico che l’avrei stravinta.

Però…
Però non sono mainstream, come mi è stato rinfacciato da un ragazzo di Amici. Quando me l’ha detto, in senso squisitamente dispregiativo, io ho osservato un secondo di silenzio e poi sono scoppiato a ridere.

Se non sei mainstream, Morgan, non sei nulla. Arrenditi.
Non mi arrendo perché so di non essere nulla. Sono un nonnulla. Quindi, alla fine, qualcosa.

X