TaccolaPisani-Ferry, la mente dietro Macron: «Vi spiego perché rivoluzionerà davvero l’Europa»

L’economista francese, responsabile del programma del presidente: «Macron ha investito il suo capitale politico sull’Europa. Sarà ambizioso, esigente, preciso. Ma è illusorio partire dai risultati più semplici da ottenere. O affrontiamo i temi globalmente o non otterremo nulla»

ALAIN JOCARD / AFP

Macron? «Sarà esigente, sarà ambizioso, sarà preciso nelle richieste, perché sa che ha investito il suo capitale politico sull’Europa». Sarà insomma, un rivoluzionario, per quanto questa parola sia difficile da applicare alle istituzioni europee, nate grigie per scelta. A parlare di quello che sarà l’impatto del nuovo presidente francese sul Vecchio continente è qualcuno che a dir poco lo conosce bene: Jean Pisani-Ferry, ossia colui che è stato responsabile del programma di Macron ed è da anni uno dei suoi più ascoltati consiglieri. Pisani-Ferry è molto altro: professore alla Hertie School of Governance di Berlino e alla Sciences Po di Paris, è stato fondatore dell’autorevole think thank Bruegel di Bruxelles. Chi lo conosce lo definisce un europeista di ferro. Di certo rappresenta un link nei rapporti tra Parigi e Berlino e ha ben chiaro dove vuole andare Macron e quali siano le tappe della sua roadmap europea. Linkiesta lo ha incontrato in occasione del Festival dell’Economia di Trento. Dove ha messo in guardia soprattutto su un punto: sulle grandi sfide europee l’idea di ottenere qualche risultato cogliendo “il frutto più a portata di mano” non sarebbe solo poco utile. Sarebbe controproducente perché determinerebbe solo una levata di scudi da chi si vedrà perdente nelle singole battaglie. Ora, e in particolare dopo le elezioni in Germania di settembre, è arrivato il momento di alzare lo sguardo e pensare più in grande.

Professore, posso chiederle intanto quali siano i suoi attuali sentimenti? Lei ha accompagnato dall’inizio Emmanuel Macron nella sua avventura verso l’Eliseo. Fino a qualche mese fa pochissimi pensavano che ce l’avrebbe fatta.

Premetto che parlo come ex responsabile del programma di Emmanuel Macron, non ho alcuna posizione ufficiale ora. Il principale sentimento è quello della responsabilità. Abbiamo davanti una sfida enorme perché la parte difficile comincia ora. Una cosa è creare una coalizione di elettori a favore di un cambiamento e un’altra è portare a compimento i propri obiettivi. Noi non possiamo ignorare il fatto che il popolo francese rimanga molto diviso. Solo una frazione della popolazione è ottimista per il proprio futuro. La sfida è quindi ottenere risultati migliori e un senso migliore di protezione per i cittadini.

Il libro-manifesto di Emmanuel Macron si intitola “Rivoluzione”. Le parole del neo presidente francese sull’Europa hanno effettivamente qualcosa di rivoluzionario. Pensa che davvero potrà conseguire i suoi obiettivi?

“Rivoluzione” non è una parola facile da usare riguardo all’Europa, perché è una parola che commuove ed emoziona. Dobbiamo però essere coscienti che il “business as usual” non è un’opzione per l’Europa. Paragonate il mondo di oggi a quello di dieci anni fa: allora avevamo una crescita incrementale all’interno di un contesto globale stabile. Oggi ci sono diverse minacce alla sicurezza e al sistema globale e c’è una richiesta di azione a livello globale, ben illustrata dal tema del problema climatico. C’è un’economia europea che è stata insoddisfacente troppo a lungo, per la prima volta dal Dopoguerra c’è stato un “decennio perduto” e l’Italia rappresenta un buon esempio di questo fenomeno. E c’è la questione dei rifugiati, che deve essere affrontata. Per tutte queste ragioni noi dobbiamo essere ambiziosi. Trattare i problemi di oggi come quelli del passato non è credibile e non può essere accettato. È straordinario che nel mio Paese il candidato che senza alcuna ambiguità ha parlato a favore dell’Europa e ha messo l’Europa al centro della sua campagna sia stato eletto. Ma lui è il primo a sapere che non può essere compiaciuto dell’Europa di oggi, che deve ottenere qualcosa. Sarà molto esigente, sarà ambizioso, sarà molto preciso nelle richieste, perché ha investito il suo capitale politico sull’Europa. Vuole che le cose si muovano, vuole essere in grado di ottenere i risultati.

«È straordinario che nel mio Paese il candidato che senza alcuna ambiguità ha parlato a favore dell’Europa. Ma lui è il primo a sapere che non può essere compiaciuto dell’Europa di oggi. Sarà molto esigente, sarà ambizioso, sarà molto preciso nelle richieste, perché ha investito il suo capitale politico sull’Europa. Vuole che le cose si muovano»

Macron ha annunciato molti obiettivi relativi all’Europa: il completamento dell’unione bancaria, il ministro delle finanze europeo, un fondo monetario europeo, gli eurobond, un sussidio di disoccupazione comune. Quale può essere la roadmap? Da dove inizierà?

Per limitarci agli aspetti economici, ci sono temi che vanno affrontati nel breve termine, come la Direttiva sul “Posted Labour” (distacco dei lavoratori all’interno dell’Unione, ndr). Non è una questione di principi ma di applicazione e di miglioramento delle regole, perché c’è il pericolo che venga percepita come qualcosa che farà crescere la concorrenza sleale.

E a parte il brevissimo termine?

Per quanto riguarda le questioni di politica monetaria e bancaria, il completamento dell’unione bancaria è chiaramente una delle componenti a cui mirare. L’unione bancaria è stata un passo audace che mirava ad affrontare una debolezza sistemica dell’euro. Tuttavia dev’essere completata in modo che la relativa vulnerabilità venga eliminata.

Sarà la prima misura a essere ottenuta, visto che sembra la più semplice?

Non penso che dovremmo iniziare dalla cosa più semplice, dal frutto più a portata di mano. La discussione deve essere onnicomprensiva, deve partire da quello che non funziona, dalle opzioni disponibili che dovremmo considerare. Non si può cercare di avere l’unione bancaria e un programma di garanzia dei depositi senza affrontare gli altri aspetti della questione: qual è il rischio bancario, come trattiamo i rischi, come trattiamo il circolo vizioso tra titoli di Stato e banche (tema che riguarda soprattutto le banche italiane, ndr), che succede se ci sono difficoltà con i titoli di Stato. Tutti questi problemi sono collegati, quindi bisogna affrontarli tutti contemporaneamente. Partire dai frutti più a portata di mano ha un’attrazione superficiale, per il fatto di poter dire che si è ottenuto qualcosa. Ma se ci si muove velocemente su un solo fronte, ci sono anche dei contro.

Quali?

Un Paese si può vedere in difesa su una certa questione. Ci sarebbero tensioni tra chi paga e chi riceve benefici. Invece se si allarga la discussione, questo circolo vizioso viene bloccato immediatamente. Non dimenticamolo: i problemi tra i creditori e i debitori sono tra i più difficili da affrontare nei sistemi internazionali. Non dobbiamo focalizzarci su questi aspetti ma guardare alle soluzioni nel medio termine. Una volta individuate queste, possiamo tornare indietro e affrontare quelle più urgenti.

Per cambiamenti così onnicomprensivi dovremo cambiare i trattati europei?

Non dobbiamo neanche concentrarci sui trattati. Lo ha detto la Cancelliera Merkel, quando Emmanuel Macron è andato a trovarla: «I trattati possono essere riaperti». Ma noi conosciamo le difficoltà nel farlo, quindi non dovremmo aprire la questione dei trattati solo per il fascino di farlo. Dovremmo iniziare dalla trattazione della sostanza dei problemi.

Durante il dibattito televisivo tra Macron e Marine Le Pen, la candidata del Front National se ne è uscita con una battutaccia: “Comunque vada, la Francia sarà guidata da una donna: o da me o dalla Merkel”. Al di là della battuta, possiamo dire che c’è già un’agenda comune franco-tedesca dopo la visita di Macron a Berlino e dopo le forti parole pro-Europa dette da Angela Merkel alla “Faz” dopo il fallimentare G7 di Taormina?

Penso che ci sia un’intesa ampia sull’approccio onnicomprensivo di cui parlavo prima e su molti punti. Ci sono sicuramente dei temi internazionali che dobbiamo trattare, come quello del cambiamento climatico, del commercio internazionale, degli investimenti in ricerca e sviluppo. Sappiamo che alcuni leader che sono stati dei “guardiani” del sistema internazionale sono spariti (gli Stati Uniti, ndr). Molti temi che non erano previsti nell’agenda sono diventati prioritari, come i rifugiati e la sicurezza interna ed esterna. Nel medio termine c’è la questione della capacità di difesa comune. E poi c’è tutta l’agenda economica, che non riguarda solo l’unione monetaria. Per esempio, se si guarda alla congiuntura in Europa, si vede che il mercato unico non è più un driver di crescita come lo era prima, perché parte dell’economia non è più basata sul Single Market. Pensiamo all’economia digitale: si va dalla dimensione nazionale a quella globale senza passare dalla dimensione europea. E poi ci sono le questioni politiche, come la necessità di una maggiore democratizzazione dell’Unione europea. Tutti questi sono già stati identificati (da Merkel e Macron, ndr) come i principali problemi. La discussione deve andare alle basi ed essere compatibile con il fatto che i sistemi elettorali non sono sincronizzati. Insostanza bisognerà aspettare le elezioni in Germania.

«Tutti i problemi dell’economia europea sono collegati, quindi bisogna affrontarli tutti contemporaneamente. Partire dai frutti più a portata di mano ha un’attrazione superficiale, per il fatto di poter dire che si è ottenuto qualcosa. Ma porta solo all’alzata di barriere da parte di chi si sente penalizzato dai singoli interventi»

Una delle proposte di Macron è quella della creazione di un ministro delle Finanze dell’eurozona. Sappiamo che in passato la visione tedesca e francese sono state diverse, con la prima che si concentra sul concetto di “condivisione di sovranità” (ossia più controlli) e la seconda su quello di “condivisione del rischio”. Le due visioni si stanno avvicinando?

Ci sono differenze non fondamentali. È vero sia che l’Unione monetaria soffre di mancanza di democrazia sia che soffre di mancanza di capacità esecutiva. Sono entrambi temi da affrontare e ci sono molti modi per farlo. Come farlo dipende molto dalle priorità che vengono affrontate e dal funzionamento dei sistemi politici. Ma sono temi che non si possono evitare.

In Italia sono state molto discusse le parole di Macron sulla necessità di rivedere l’accordo con cui Fincantieri ha comprato un’ampia quota azionaria di Stx France. C’è un Macron che non conosciamo e che si dimostrerà più protezionista e difensore degli interessi delle aziende francesi di quanto non appaia?

È una questione che non conosco abbastanza. Preferiscono non commentarla.

Ma se si analizzano altri punti del programma di Macron, come il “Buy European Act”, che prevede condizioni di favore negli appalti pubblici in Europa alle aziende continentali, o l’invocazione di regole più stringenti sul dumping (soprattutto dalla Cina), possiamo concludere che Macron abbia una visione nuova dell’Europa nel mondo globale? Ossia che intenda rafforzare i mercati europei e che al di fuori dei confini dell’Ue voglia rivedere i rapporti di forza, in particolare verso Cina e Stati Uniti?

Sì, c’è una visione, che non è insolita per un francese, secondo la quale un partner commerciale è un partner che è capace di difendere i propri interessi. Questa visione riguarda l’approccio al commercio internazionale e il “Buy European Act” e le politiche anti-dumping sono solo alcuni degli strumenti pensati in questo contesto.

Macron diventerà una guida morale globale? «La posta in gioco è talmente alta che fondamentalmente non c’è scelta. La sorpresa è avere visto la trasformazione dell’uomo in un tempo brevissimo. Ma quando la responsabilità del potere ricade sulle tue spalle, sei destinato a trasformarti e a reinventarti»

A Trento ha avuto modo di scambiare qualche parola con il ministro dell’Economia e finanze italiano, Pier Carlo Padoan. Sappiamo che Macron ha annunciato l’intenzione di rispettare il rispetto del rapporto deficit/Pil al 3%, mentre qualche giorno fa il governo italiano ha chiesto a Bruxelles più flessibilità. Qual è la sua opinione sull’atteggiamento del governo italiano?

Penso che ci siano flessibilità nel sistema. Noi, nel caso francese, abbiamo dichiarato l’intenzione di portare il disavanzo al di sotto della soglia del 3% già nel 2017. Ciò significa che non ci saranno ulteriori misure di spesa o di tagli alle tasse quest’anno. E sappiamo che anche l’Italia è al di sotto della soglia del 3%. È importante mantenere questo impegno per raggiungere il 3% nel 2017. Ora, lo stato delle finanze pubbliche sarà valutato dalla Corte dei conti europea, vedremo cosa dirà quando pubblicherà la sua relazione all’inizio di luglio e il governo esaminerà le opzioni dopo che avrà capito quale è la situazione esatta.

È stupito del piglio così deciso in cui Macron si sta ponendo sugli scenari internazionali? Prima ha criticato davanti a Putin i media russi come RT, poi ha diffuso un videomessaggio in inglese contro il ritiro degli Usa dall’accordo di Parigi, concludendo con un “Make our planet great again”.

Be’, è quello che ha fatto anche nella campagna elettorale. La posta in gioco è alta.

Potrà diventare un’icona mondiale, una sorta di guida morale come per qualche anno è stato Barack Obama?

Mi asterrei dal fare un simile confronto. Ma essere eletto presidente è certamente una grande responsabilità. Il Paese ha una responsabilità globale, i francesi vogliono che il presidente francese si faccia sentire. La posta in gioco è talmente alta che fondamentalmente non c’è scelta. La sorpresa è avere visto la trasformazione dell’uomo, da consigliere a ministro a candidato e ora a presidente, in un tempo brevissimo. Nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo. Ma quando la responsabilità del potere ricade sulle tue spalle, sei destinato a trasformarti e a reinventarti.

X