C’è un modo molto semplice per fregare un cittadino: scrivere leggi complicate, e scriverle male. In Italia, quella del traduttore del gergo burocratico, è diventata una professione. Dal prossimo autunno, all’università di Pavia, dove da più di dieci anni si insegna la lingua del diritto come materia, inizierà anche un master di primo livello che formerà professionisti della scrittura giuridica. Saranno ammessi 14 studenti, che avranno la possibilità di svolgere tirocini formativi presso il Senato e la Regione Lombardia, le due istituzioni partner dell’iniziativa. L’invito è principalmente ai neo-laureati, ma si tratta anche di una possibilità di formazione per chi lavora nella pubblica amministrazione o in Parlamento, per chi fa l’avvocato, il notaio, il giurista o il consulente. L’iper-specializzazione del corso di studi parla in realtà a tutti. Perché pensare in modo chiaro e scrivere in maniera comprensibile aiuta tutti i cittadini a vivere meglio. Non solo avendo leggi meno criptiche perché scritte con chiarezza, ma anche regolamenti amministrativi, circolari, bilanci, persino libri di testo in materie giuridiche.
Quando il progetto Parole giuste è stato presentato, l’anno scorso, al Senato, il coordinatore Dario Mantovani ha spiegato che ridare vita al linguaggio della giustizia e delle regole della convivenza civile non richiede solo una buona tecnica, altrimenti lo sforzo rischierebbe di non raggiungere il suo obiettivo. “Il nostro progetto – ha spiegato il docente dell’università di Pavia – è di reimmergere la lingua del diritto nell’italiano, di cui è parte. E la rinnova nel momento stesso in cui ne riscopre la storia e le possibilità espressive. Di solito, invece, per la manutenzione delle leggi si segue la strada dei suggerimenti tecnici redazionali. Ma avere bisogno di una guida equivale ad ammettere che manca talvolta negli estensori delle norme la capacità di adoperare autonomamente gli strumenti linguistici della comunicazione”. Quest’ultima strada prende il nome di legal drafting. Per il professor Mantovani “l’inflazione normativa e l’oscurità delle disposizioni sono direttamente proporzionali all’estendersi delle materie su cui interviene il diritto”. E l’obiettivo finale del master deve essere quello di “colmare lo spazio che si apre fra il testo e l’interprete: come interferisce, per esempio, l’emotività nella comprensione di testi che spesso incidono pesantemente nella vita di una persona? E come scrivere un buon libro di testo per gli studenti?”.
L’iper-specializzazione del corso di studi parla in realtà a tutti. Perché pensare in modo chiaro e scrivere in maniera comprensibile aiuta tutti i cittadini a vivere meglio. Non solo avendo leggi meno criptiche perché scritte con chiarezza, ma anche regolamenti amministrativi, circolari, bilanci, persino libri di testo in materie giuridiche
In Italia si è intervenuti sempre più spesso negli ultimi anni per alleggerire il peso del linguaggio burocratico, ma lo si è fatto quasi sempre con atti burocratici che aggiungono prescrizioni ad altre prescrizioni. E’ accaduto soprattutto a partire dagli anni Ottanta, quando anche i mezzi di comunicazione hanno iniziato a utilizzare codici meno formali. La prima circolare della presidenza del Consiglio è datata 24 febbraio 1986, governo guidato da Bettino Craxi. Nel 1994 sotto il ministro Sabino Cassese è stato eleborato un Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche. Il 20 aprile 2001 è ancora un socialista a guidare Palazzo Chigi, Giuliano Amato, quando le prime norme vengono aggiornate con un nuova circolare. “La prima ha dato i suoi frutti – scriveva Amato – e ha stimolato l’attenzione al valore della qualità nella redazione dei testi normativi. Valore che consiste nella stessa intelligibilità di tali testi e, quindi, nella complessiva trasparenza del procedimento formativo delle norme”.
Evitare la doppia negazione è uno dei suggerimenti più semplici che vennero forniti ai legislatori. Come anche evitare l’abuso della forma passiva o degli aut aut. L’anno successivo il governo di Silvio Berlusconi ha emanato una direttiva sulla semplificazione del linguaggio amministrativo. “Anche gli atti amministrativi in senso stretto, che producono effetti giuridici diretti e immediati per i destinatari – si legge nella presentazione della direttiva -, devono essere progettati e scritti pensando a chi li legge. Oltre ad avere valore giuridico, gli atti amministrativi hanno un valore di comunicazione e come tali devono essere pensati. Devono perciò essere sia legittimi ed efficaci dal punto di vista giuridico sia compresibili, cioè di fatto efficaci dal punto di vista comunicativo”. Prescrizioni: scrivere frasi brevi, usare parole del inguaggio comune e pochissime sigle o abbreviazioni, non eccedere in congiuntivi ed inglesismi.
Gli italiani sanno da sempre che esiste un mondo linguisitico parallelo. Lo chiamano il burocratese, che è un po’ quello che ha reso digeribile un altro vizio molto familiare. Il politichese. Italo Calvino parlava del linguaggio astruso della legge come di un’antilingua. “Chi la parla – scriveva – ha sempre paura di mostrare familiarità e interesse per le cose di cui parla”. Ma forse i tempi sono davvero cambiati.
@ilbrontolo