Le ferrovie? Assorbono un fiume di soldi pubblici in sussidi, mentre la strada genera moltissime risorse per lo Stato. Il mondo accademico? È fatto di yes-man pronti ad affiancare una politica che non fa passi avanti ma al contrario è stata fonte di delusioni anche con gli ultimi governi. Il Sud? Non ha bisogno di nuovo cemento. Se siete in cerca di conferme al senso comune e di rassicurazioni sui progressi della razionalità e dell’accortezza nella spesa della politica italiana, il consiglio è di lasciare perdere l’ultimo libro del professor Marco Ponti, “Sola Andata” (Università Bocconi Editore). Se però allargare la mente non vi spaventa, preparatevi alle conclusioni spiazzanti che il decano italiano dell’Economia e pianificazione dei trasporti, insegnata al Politecnico di Milano prima del recente pensionamento, ha potuto conseguire in anni di esperienza diretta. Ci è arrivato con la teoria, con le analisi numeriche, con le consulenze sul campo e con le mille porte in faccia che gli sono state sbattute. Precisamente, ogni volta che un’analisi non spalleggiava quello che i politici volevano sentire. È successo che una sua consulenza per il Tesoro fosse annullata dopo la contestazione della riservatezza degli accordi tra Anas e concessionario autostradali. Che la stessa fine facesse una consulenza per le Ferrovie la quale metteva in dubbio che allo Stato sarebbe toccato solo il 40% dei costi dell’Alta Velocità Torino-Venezia e Milano-Napoli. Che gli studi sulla linea Torino-Lione fossero completamente ignorati dagli organismi competenti, salvo ripensamenti ex post che hanno portato a un drastico ridimensionamento del progetto.
L’elenco che si produce nelle 128 paginette del saggio è però più lungo e conta 12 progetti. Uno snocciolamento di dati che ha soprattutto un bersaglio: la rete ferroviaria italiana. Ponti non ha peli sulla lingua nel denunciare cosa non funziona: in Italia, sono le sue conclusioni, abbiamo tracciati vecchi, colpevolmente ricostruiti su quelli ottocenteschi nel Dopoguerra; abbiamo linee poco efficienti, che rappresentano tra passeggeri e merci meno del 10% del traffico. Abbiamo nuovi progetti che sono stati estremamente costosi per la collettività, che poco se ne è accorta. E, questa la conclusione più sorprendente, abbiamo dal ferro benefici ambientali molto minori di quanto si pensi. Né la situazione è andata migliorando, ci spiega nelle pagine Ponti, con il passare degli anni, perché tra un progetto economico e uno molto più costoso con benefici solo marginalmente superiori si è sempre scelta la seconda strada.
La denuncia di Ponti va però oltre quella dei decisori politici e si estende alla categoria dei giornalisti e, scandalo ancora maggiore, a quella degli accademici che a suo dire hanno prodotto studi accomodanti pagati profumatamente. Una considerazione di parte, come riconosce l’autore nelle conclusioni, e che è difficile da avvalorare senza entrare nei dettagli delle singole questioni. Il professore del Politecnico, però, si affida ai numeri e di contro-analisi in contro-analisi (soprattutto su Lavoce.info), è diventato un punto di riferimento per chi si oppone alle grandi opere, spesso in nome di un ambientalismo di bandiera e di un’idea economica di “decrescita felice”. Posizione, va detto, vissuta con disagio, dato che altre conclusioni non farebbero grande piacere agli ambientalisti. Un esempio? La difesa appassionata delle autostrade e della loro convenienza economica per la collettività a dispetto delle apparenze. Perfino per la BreBemi, autostrada lombarda deserta e cara, l’investimento, conti alla mano, ha generato benefici netti per la collettività, a causa soprattutto del decongestionamento delle altre strade. Il favore per la “gomma” è poi confermato nelle conclusioni, dove la pars construens si basa su due aspetti: migliorare la accountability delle opere e attrezzarsi per la rivoluzione delle auto elettriche e a guida autonoma, che dovrebbero sostanzialmente annullare il vantaggio ecologico delle ferrovie sulle auto e camion. Di tutto questo abbiamo parlato con lo stesso Marco Ponti.
Professore, lei traccia un bilancio molto negativo del modo in cui si decide se fare un’opera e come realizzarla. Il caso italiano è molto più grave di quello degli altri Paesi che ha avuto modo di osservare nelle sue posizioni in organismi internazionali come la Banca Mondiale?
La malattia è molto diffusa: questi tipo di spreco di risorse pubbliche crea consenso, soddisfa l’orgoglio dei politici, e ha un forte impatto mediatico. Poi qualcuno pagherà, ma non lo saprà, diventerà indistinto debito pubblico. La situazione tuttavia tende ad essere meno grave nei Paesi di cultura anglosassone, in genere molto più critici ed attenti alla spesa pubblica: percepiscono meglio che si tratta dei soldi dei cittadini. Questo ha anche a che vedere con una maggior presenza di una cultura liberale, da noi quasi assente per ragioni storiche: lo Stato è una mucca da mungere.
Nel libro racconta di diversi episodi in cui lei stesso ha visto ignorate le sue consulenze o è stato allontanato da incarichi consulenziali per aver esposto critiche o valutazioni non favorevoli, in particolare sull’Alta Velocità. Si è sentito isolato nel mondo accademico? C’è un mondo opaco nel mondo dell’accademia per quel che riguarda le analisi costi-benefici?
La cultura accademica italiana in campo economico è molto meno indipendente di quella anglosassone. I docenti italiani si sentono dipendenti pubblici, la cui carriera spesso è legata ad appartenenze politiche, per cui si è più restii ad opporsi a tale potere. In particolare poi riguardo alle tecniche di valutazione si preferiscono quelle che dicono sempre “sì”, anche perché la politica non si sogna nemmeno di creare una domanda di valutatori indipendenti. La situazione va benissimo così. O non si valuta affatto, o lo si fa “chiedendo all’oste se il vino è buono”: i progetti ferroviari sono valutati dalle ferrovie, quelli autostradali dai concessionari etc.
«La cultura accademica italiana in campo economico è molto meno indipendente di quella anglosassone. I docenti italiani si sentono dipendenti pubblici, la cui carriera spesso è legata ad appartenenze politiche, per cui si è più restii ad opporsi a tale potere. In particolare poi riguardo alle tecniche di valutazione si preferiscono quelle che dicono sempre “sì”»
L’altro grande responsabile è la politica, locale e nazionale. Possiamo dire che le cose sono andate migliorando o peggiorando da questo punto di vista, dai tempi del pennarello di Berlusconi a Porta a Porta?
Ci sono state forti speranze di miglioramento, come vedremo, ma sono state amaramente deluse. Una volta al potere, la tentazione della “grande opera di regime” sembra irresistibile ed è “bipartisan”. Ma la cosa è tanto più grave per uno Stato con gravi problemi di bilancio ed occupazionali, ricordando che le grandi opere civili occupano pochissimo per euro pubblica speso, e l’occupazione che creano è temporanea. Poi si tratta di tecnologie con scarso contenuto innovativo, il settore è poco aperto alla concorrenza ma molto alla malavita organizzata, ed infine spesso interessato dalle cronache giudiziarie: non si può dimenticare che siamo, tra i paesi sviluppati, uno dei più corrotti.
Lei racconta di una metamorfosi di Matteo Renzi: prima ha ascoltato i suoi consiglieri Perotti e Gutgeld e le analisi che lei stesso aveva proposto, volte a privilegiare opere di minori dimensioni e più certo impatto economico positivo. Poi ha finito per promettere il Ponte di Messina. Come ha vissuto questo cambio di atteggiamento?
Molto male. In realtà il problema sono le valutazioni, non le dimensioni delle opere: ci sono anche grandi opere utili, la linea AV Milano-Roma per esempio. Ma l’operazione messa su dal ministro Delrio (nota come Struttura Tecnica di Missione, STM) per valutare tutto, dopo due anni di lavoro e rilevanti costi, non ha valutato nulla, probabilmente quando si sono accorti che i megaprogetti ferroviari cari al ministro mai avrebbero superato analisi costi-benefici fatte con tecniche accettate internazionalmente.
Come immagina potrebbe operare un governo M5s su infrastrutture o grandi opere? Prevarrebbero le posizioni ideologiche (tipo “decrescita felice”) o l’attenzione per le specificità tecniche di ciascun progetto?
L’ostilita del M5s alle grandi opere non deve preoccupare (molte sono davvero poco difendibili). Deve preoccupare invece un ambientalismo estremo e acritico: si propongono di “togliere ogni sussidio ai combustibili fossili”, dimenticando che abbiamo le tasse sulla benzina più alte d’Europa, le tariffe dei trasporti più basse e un’infinita di treni e bus che ciononostante viaggiano vuoti.
Nel libro traspare un certo disagio nel vedere la sua opposizione a certe opere, motivata da analisi economiche, affiancata da motivazioni di tipo ambientale o ideologico di tipo anti-capitalistico. La qualità delle ragioni di chi si oppone alle grandi opere “a prescindere” ha indebolito la capacità di opporsi a tali opere?
Certamente sì, ed in modo drammatico. L’opposizione localistica è a volte violenta fa ovviamente il gioco della controparte. Ma certo lo Stato non ha brillato: per esempio all’osservatorio costituito per il progetto Torino-Lione hanno potuto partecipare solo i comuni che non vi si opponevano, e l’analisi economica del progetto è stata fatta (in modo abbastanza grottesco), dichiarando a priori che la decisione era comunque irreversibile.
Chi si oppone alle grandi opere “a prescindere” ha indebolito la capacità di opporsi a tali opere? «Certamente sì, ed in modo drammatico. L’opposizione localistica e a volte violenta fa ovviamente il gioco della controparte. Ma certo lo Stato non ha brillato: per esempio all’osservatorio costituito per il progetto Torino-Lione hanno potuto partecipare solo i comuni che non vi si opponevano»
Perché la “cura del ferro” di cui parla il ministro dell’Infrastrutture e Trasporti Graziano Delrio a suo parere è un concetto sbagliato?
Le ferrovie assorbono un fiume di soldi pubblici in sussidi, mentre la strada tra tasse sui carburanti e pedaggi genera moltissime risorse per lo Stato. Inoltre anche nel caso questa costosissima politica avesse successo, gli sbandierati ma mai misurati benefici ambientali sarebbero minimi, dell’ordine dell’1% delle emissioni climalteranti totali italiane. Infine, tutto il dirompente progresso tecnico che si annuncia nei trasporti (guida automatica, veicoli sicuri e non inquinanti) avverrà per il modo stradale. Stiamo spendendo una montagna di preziosi soldi pubblici in ferrovie, mente il progresso tecnico mondiale va in direzione opposta.
Non c’è una discontinuità tra Delrio e l’ex ministro Lupi? Pensiamo ai rapporti con i concessionari autostradali, ma anche all’orientamento alla pianificazione integrata delle infrastrutture del piano “Connettere l’Italia” presentato nel Def 2017.
Delrio aveva suscitato grandi speranze, ma sulle autostrade ha prolungato e vuole prolungare ancora le concessioni senza gare; il documento “Connettere l’Italia” doveva essere tutto basato, per la prima volta, su valutazioni. Non c’è ne è nemmeno una, solo un blablabla pieno di megaprogetti ferroviari messi come “prioritari” proprio per sottrarli ad ogni obbligo di valutazione. L’unico che risultava dubbio era l’AV Brescia-Padova, ma alla fine hanno deciso di non valutare nemmeno quella. Io ho fatto una valutazione a mie spese, che presenterò a Roma in autunno. Ovviamente i risultati sono atroci.
Nel libro spiega che le ferrovie sono costose e muovono meno del 10% del traffico di merci e passeggeri, perché inefficienti. Quanta consapevolezza c’è di questo stato di cose nell’opinione pubblica?
Non tanto in quanto sono gestite in modo inefficiente, quanto rispondono poco alle esigenze di mobilità di un paese sviluppato, e per questo devono vivere di sussidi pubblici crescenti. La strada per merci e passeggeri fa un servizio “porta a porta”, e questo è il motivo del suo storico successo. Muoviamo merci ad elevato valore per unità di peso, che soffrono molto a cambiar modo di trasporto, e i nostri movimenti come passeggeri sono molto differenziati nello spazio e nel tempo, mente la ferrovia è un sistema rigido. Anzi, non si può definire un sistema: ha quasi sempre bisogno della strada, ma non viceversa.
L’Alta Velocità, lei argomenta, si sarebbe potuta fare con costi minori e su tratte minori, in particolare sull’asse Milano-Roma. Si è voluto procedere sulla strada di una linea a T (Torino-Venezia e Milano Napoli), con alto voltaggio e potenzialità per il trasporto merci. In breve, quale sarebbe stata un’alternativa migliore?
Questo è un discorso da “senno di poi”, ma utile: se ci si fosse accontentati di velocità di punta di 250KMh, per i quali i 3.000 volt non danno problemi, e avessimo raddoppiate le linee man mano che la domanda lo avesse richiesto, avremmo avuto un sistema ferroviario veloce ed integrato dieci anni prima ed ad un decimo dei costi. Ma avendo cercato di dimostrare che spendere di più crea più consenso ecc., forse la soluzione AV non era bloccabile. Curioso osservare che molte linee europee AV hanno ridotto le velocità di punta da 300 a 250 km/h, perchè i risparmi di tempo non giustificano i maggiori costi di manutenzione…
«Le ferrovie assorbono un fiume di soldi pubblici in sussidi, mentre la strada tra tasse sui carburanti e pedaggi genera moltissime risorse per lo Stato. Inoltre anche nel caso questa costosissima politica avesse successo, gli sbandierati ma mai misurati benefici ambientali sarebbero minimi, dell’ordine dell’1% delle emissioni climalteranti totali italiane. Stiamo spendendo una montagna di preziosi soldi pubblici in ferrovie, mente il progresso tecnico mondiale va in direzione opposta»
C’è poi il caso specifico della Torino-Lione. In lei prevale più l‘amarezza per il fatto che le sue analisi sfavorevoli all’opera a lungo siano state ignorate o la soddisfazione nel vedere i cambiamenti all’opera e le probabili perdite ridotte?
La soddisfazione c’è, ma irrita molto che i responsabili non abbiano mai riconosciuto che il progetto iniziale era uno spreco folle dei nostri soldi. Tra l’altro del progetto non è mai stata fatta nemmeno un’analisi finanziaria, che è molto più semplice di una costi-benefici. Di nuovo, si teme che i risultati siano catastrofici.
Si realizzerà mai, la AV/AC Torino-Lione?
Nonostante la dura presa di posizione del governo di Macron contro le grandi opere, può darsi purtroppo che non si riesca più a tornare indietro. Tra l’altro, c’è da ricordare che i “soldi europei” che arriveranno all’opera sono sempre nostri: glieli versiamo, e loro ce li rendono secondo i nostri desiderata. E questo gioco è usato anche per bloccare l’opposizione, che anche in Francia è stata vivacissima, basta ricordare che la loro Corte dei Conti ha bocciato il progetto come inutile, ma invano. Ovviamente da noi è stata data pochissima pubblicità alla notizia.
Il Sud ha bisogno di nuove ferrovie, come quelle da anni promesse in Sicilia e l’Alta Capacità Napoli-Bari?
Il Sud ha bisogno di tecnologie, non certo di cemento! Inoltre il settore è notoriamente presidiato, certo in forme moderne, dalla criminalità organizzata. Non occorrono più coppole e lupare, bastano bravi finanzieri ed avvocati.
Lei argomenta che è stato sopravvalutato il beneficio ambientale delle ferrovie e che bisogna guardare all’evoluzione tecnologica. Quella dei prossimi anni parla di auto ibride ed elettriche e poi di auto a guida autonoma. Il futuro è la gomma?
Abbiamo già visto questo punto, che non è certo una mia opinione, ma oggetto di enormi investimenti pubblici e privati in altri Paesi con una cultura meno fossile e meno legata ai monopoli storici.
Nell’analizzare un caso critico come la Brebemi una vostra analisi giunge alla conclusione che si tratta di un investimento che genera benefici netti per la collettività. Per la Pedemontana lombarda invece la conclusione è il problema è soprattutto nel tracciato sbagliato. Perché si sottovalutano i benefici delle autostrade?
Non sempre li si sottovaluta. A volte li si sopravaluta clamorosamente, ma meno spesso di quelli ferroviari, perchè gran parte dei costi nelle autostrade sono a carico degli utenti, non dei contribuenti, e se gli utenti non ci sono il progetto non parte.
Nel mondo le ferrovie però si continuano a costruire, dalla Francia alla Cina. Qual è un Paese che si può considerare virtuoso a cui dovremmo ispirarci?
Macron ha bloccato tutto il bloccabile (la malattia dello spreco è diffusa), i soldi pubblici cinesi sono infiniti, c’è uno studio della banca mondiale che dichiara che moltissime sono “opere di regime” prive di senso economico. Mal comune…
«Il Sud ha bisogno di tecnologie, non certo di cemento! Inoltre il settore è notoriamente presidiato, certo in forme moderne, dalla criminalità organizzata. Non occorrono più coppole e lupare, bastano bravi finanzieri ed avvocati»