Palombelli, impara un po’ di coraggio dai giovani giornalisti

La giornalista e conduttrice televisiva Barbara Palombelli ha attaccato in una intervista estiva tutta una generazione di "giovani giornalisti" accusandoli di mancare di coraggio e di essere dei falliti, ma forse la conduttrice di Forum non ha idea di che cosa significhi vivere di scrittura nel 2017

Che cos’è il coraggio? A leggere l’intervista rilasciata da Barbara Palombelli a Io Donna forse bisogna aggiornare la definizione nei dizionari, perché a quanto pare non è più la «forza d’animo nel sopportare con serenità e rassegnazione dolori fisici o morali, nell’affrontare con decisione un pericolo, nel dire o fare cosa che importi rischio o sacrificio», come scrive diligentemente la Treccani.

«Non c’è un solo giornalista famoso venuto fuori dalla grandiosa narrazione del web», rincara Barbara Palombelli che non si trattiene: «Se ci pensi, è clamoroso. I nomi sono sempre gli stessi: Ferrara, Mieli, Scalfari, Vespa, Feltri, Mentana…». In pochi paragrafi la conduttrice di Forum, con come spalla un quasi invisibile di Fabrizio Roncone, sfodera col ghigno della prima della classe un astio fuori misura per questo torrido e stanco agosto.

L’eleganza richiederebbe il lasciar perdere, il passare ad altro, ma, come dice la stessa Palombelli nell’attacco dell’intervista, «il nostro mestiere ha una regola precisa: non bisogna avere paura di raccontare la verità», e quindi, già che si parla di coraggio e di verità, perché aver paura di dirla, questa verità? Che sia questo il coraggio di cui parla la Palombelli?

Siamo nipoti di una generazione che ha fatto la guerra, sangue del sangue di imparagonabili e imparagonati nonni eroi le cui gesta ci raccontiamo ancora tra amici. Magari è per quello che non ci rendiamo conto che anche noi, nel nostro piccolo, viviamo sulla nostra pelle elementi che formeranno un’epica, e di sicuro quelli tra noi che arriveranno ad avere dei nipoti a cui raccontare questi anni, anche se non avranno sul corpo i segni della guerra da mostrare, ai loro occhi un po’ eroi lo saranno lo stesso.

Sì, perché di coraggio la generazione dei “giovani” giornalisti ne sta avendo parecchio. Evidentemente è troppo comune e non abbastanza sanguinolento per rientrare nei radar della generazione delle Palombelli, la generazione di quelli famosi, per usare la loro metrica, che poi sono, come riconoscono anche loro, «sempre gli stessi»: i Ferrara, i Mieli, gli Scalfari, i Vespa, i Feltri, i Mentana, e le Palombelli.

La definizione della Treccani è abbastanza lineare e condivisibile. E leggendola è difficile non pensare che la vita quotidiana di un giovane giornalista precario non sia permeata di quella “forza d’animo nel sopportare con serenità e rassegnazione dolori fisici o morali” che passa sotto l’etichetta di coraggio. D’altronde non è “forza d’animo” lavorare sapendo che non si riceverà mai una pensione? Non sono dolori morali l’imposizione di una posizione eternamente subalterna e la privazione di ogni diritto? Non è “forza d’animo” mantenere la calma quando vecchi giornalisti miliardari ti accusano di pavidità?

Per non parlare della “serenità e rassegnazione” di cui parla la Treccani, un misto di sentimenti talmente noto alla generazione di cui parla la conduttrice di Forum che non serve raccontarne l’essenza, ma forse è necessario, quanto meno a beneficio di Barbara Palombelli, nominarne qualche sintomo, qualche evidenza nella realtà la cui presenza probabilmente è passata inosservata agli occhi della collega, abituata ad altri ambienti.

Un elenco approssimativo partirebbe dalla serenità e dalla rassegnazione dei trenta quarantenni che hanno abbandonato l’idea di avere figli, passerebbe da quella di chi è costretto ad accettare paghe sempre più simili a elemosine — fino a 40 centesimi ad articolo — e citerebbe anche quella di chi fa altri due lavori per poter continuare a scrivere. Sarebbe ingiusto poi dimenticare le migliaia di neofamiglie precarie che i figli hanno deciso di averli e che per questo affrontano ogni giorno, con serenità e rassegnazione, la necessità di fatturare qualcosa, qualsiasi cosa, a qualsiasi costo.

C’è serenità e rassegnazione anche in chi lavora per sopravvivere e chiede in prestito ai propri genitori migliaia di euro per investirli in quelle scuole di giornalismo di cui la stessa Palombelli parla, create proprio dalla sua generazione quando ha capito che con il mestiere puro, entro pochi anni, non ci avrebbe più campato nessuno. Scuole che costano migliaia e migliaia di euro (e che se non valgono nulla dipende da chi ci insegna, non da chi le frequenta), tasse per famiglie disperate pronte a sacrificare tutto — sacrificio, c’era anche quello nella definizione della Treccani giusto? — pur di permettere ai propri figli di provarci.

Si potrebbe andare avanti all’infinito. Anzi, si potrebbe fare ancor meglio, ed elencare la serenità e la rassegnazione di altrettante persone che “giovani” non sono e che nondimeno continuano a fare questo lavoro in condizioni di massima precarietà, ogni giorno, con coraggio.

Queste cose Barbara Palombelli non può non saperle. Vien da pensare che forse lei parli di un altro tipo di coraggio, che non è quello molto cristiano di chi subisce, quello di chi contrattacca. Forse quando dice che i giovani non hanno coraggio intende la capacità di prendere il loro posto, di vincere la strenua difesa di «una generazione che si autocelebra, si autorappresenta e fa le barricate per difendere le rendite di posizione».

Se è questo quello che intende Barbara Palombelli, allora probabilmente è vero, non ce l’abbiamo quel coraggio, non ce l’abbiamo mai avuto, e la più efficace dimostrazione è che siamo qui a leggere una intervista stiracchiata che ci prende a pesci in faccia senza motivo, solo per noia e per spirito di polemica. E mentre noi nel frattempo continuiamo a esser pagati due soldi e non aver diritto a ferie, né malattie, né maternità, né assicurazioni, né copertura legale, la generazione “che si autocelebra, si autorappresenta e fa le barricate per difendere le rendite di posizione” ci indica e sorride, dividendosi il bottino.

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