Paese di santi e poeti. Ma soprattutto di autori. Tanti, tantissimi. Con una caratteristica in comune: (quasi) tutti inediti. E così, mentre la crescita dei lettori ristagna – secondo l’ISTAT nel 2016 il 57,6 % degli italiani sopra i 6 anni non hai mai aperto un libro in 12 mesi -, gli operatori editoriali nuotano sempre più a fatica nel mare magnum delle proposte di pubblicazione. Caselle di posta prese d’assalto, telefonate, mattoni impubblicati spediti a mezzo raccomandata, centinaia di concorsi letterari indetti da Nord a Sud della Penisola. Anche grazie al web, si moltiplicano i canali di contatto tra case editrici e scrittori, eppure i meccanismi di selezione rischiano di ingolfarsi. E scovare la qualità, soprattutto tra gli esordienti, diventa difficile.
E pensare che, per almeno dieci anni, proprio di esordienti il mercato era ghiotto. Essere uno sconosciuto rappresentava quasi un marchio di fabbrica, una premessa di successo. Vedasi Roberto Saviano, Silvia Avallone o Paolo Giordano. Pioggia di premi, serie tv e opere tradotte in decine di paesi in tutto il mondo. “Una bolla – la definisce Carlo Carabba, direttore editoriale della Narrativa Mondadori – scoppiata nel 2005 con Le peggiori intenzioni di Piperno e poi esaurita. Resi ebbri da questo piccolo miracolo letterario, diversi editori cominciarono a trattare i libri d’esordio come un ‘genere’ a sé, confondendo una condizione esistenziale dell’autore con una caratteristica quasi contenutistica del libro. L’abuso di questa pratica ha portato, come gli abusi tendono a fare, a una diffidenza di pubblico e critica davanti ai nuovi ‘esordienti’, simmetrica all’entusiasmo di qualche anno prima”.
Resi ebbri da questo piccolo miracolo letterario, diversi editori cominciarono a trattare i libri d’esordio come un ‘genere’ a sé, confondendo una condizione esistenziale dell’autore con una caratteristica quasi contenutistica del libro
Impossibile farsi pubblicare, dunque, se non ti sei già fatto un nome? “Gli editori di tutte le dimensioni ricevono una grande mole di manoscritti da valutare – spiega Carabba -. Una mole talmente grande che spesso mancano le risorse per valutarli tutti al meglio e probabilmente sono sempre mancate all’editoria. Ma chi, per lavoro, sceglie i libri che verranno pubblicati, non può non vivere nella costante speranza di imbattersi per puro caso in un capolavoro della letteratura. E, per quanto statisticamente improbabile, non può allontanare dal suo animo il pensiero che quel manoscritto sarà il suo Gattopardo, che l’anziano signore incontrato al bar sia il nuovo Tomasi di Lampedusa”. Casualità, certo,senza però abdicare ai canali dello scouting ‘strutturato’. “I concorsi letterari per esordienti – cita il direttore editoriale della Mondadori -, poi le scuole di scrittura, le riviste letterarie, cartacee o online (Nazione Indiana o Minima et Moralia, ad esempio), i blog, i social network, e chi lavora per un editore di medie o grandi dimensioni segue con grande attenzione anche l’attività dei piccoli editori che fanno un lavoro straordinario e capillare nella ricerca di nuovi talenti”.
Modelli tradizionali di ricerca, dunque, arricchiti dainuovi canali offerti dalla rete. La pensa così anche Vanni Santoni, che dal 2012 dirige la Tunué, piccola casa editrice che dà alle stampe poche e selezionatissime opere (appena otto romanzi in due anni, ma per due volte di fila nella rosa dei dodici finalisti dello Strega). “Recentemente mi è capitato di fare il punto sull’origine dei romanzi selezionati da Tunué e da questa sorta di censimento è emerso che le riviste letterarie continuano a essere il primo luogo dello scouting”, dichiara Santoni. “Difficilmente una nuova voce arriva dai manoscritti che giungono a flusso continuo in casa editrice; è molto più probabile scovarla su qualche rivista e da lì chiedergli se ha un romanzo pronto, o almeno un’idea da sviluppare. Nel decennio 2005-2015 le case editrici, in particolare le major, hanno puntato forte sugli esordi, tanto che il marchio di debuttante era divenuto addirittura un valore aggiunto – aggiunge abbracciando la tesi di Carabba -. Oggi questa fase è conclusa e quindi la funzione di ricerca e sviluppo è tornata compito delle piccole e medie case editrici, oltre che delle riviste”.
Difficilmente una nuova voce arriva dai manoscritti che giungono a flusso continuo in casa editrice; è molto più probabile scovarla su qualche rivista e da lì chiedergli se ha un romanzo pronto
In controtendenza ai modelli classici di scouting c’è Giulio Mozzi, scrittore e consulente letterario di lungo corso (Einaudi, Sironi, oggi Marsilio), che descrive uno scenario condizionato dal marketing e dal crollo dei fatturati degli ultimi anni: “Lo scout classico seguiva le riviste, leggeva quanto prodotto dai piccoli editori, e così via. Lo scout attuale segue le riviste in rete, i blog e i social media; e butta l’occhio nelle scuole di scrittura. E, ultimamente, controlla le statistiche di vendita degli ebook in Amazon. Le proprietà chiedono alle aziende editoriali di generare più profitto. Questo cambiamento è avvenuto subito prima che iniziasse la grande crisi. Pertanto oggi allo scout editoriale si chiede di trovare autori già fatti e finiti, che non necessitino di grandi investimenti, e – possibilmente – che abbiano già un loro pubblico. Il lavoro editoriale si ribalta: l’editore smette di trovare o inventare prodotti e cercare di imporli, e si limita a mettere in circolazione a livelli più alti (e più profittevoli) prodotti che hanno già, per così dire, il loro marketing incorporato”.
Da qui il proliferare di autori “prestati” dal mondo della televisione e più in generale dal mondo dello spettacolo.I vari Fabio Volo, Giovanni Floris e Daria Bignardi. “In questo contesto, gli scout classici ormai non servono più tanto. Servono statistici”, conclude amareggiato Mozzi. Come uscirne? Con un appello: “Editori, mettete in piedi dei vivai. Delle cantere, se vi piace di più la parola. Create una scuola (seria). Create una rivista che non sia promozionale ma di letteratura). Create delle collane di tentativi ed esperimenti. L’importante non avere un buono scout, ma che lo scout abbia dei luoghi sensati dove cercare”.
Oggi allo scout editoriale si chiede di trovare autori già fatti e finiti, che non necessitino di grandi investimenti, e – possibilmente – che abbiano già un loro pubblico
E questo luogo dove andare a cercare, forse, l’ha individuato Giulio Milani, editore di Transeuropa, altra piccola casa editrice che ha lanciato autori come Enrico Brizzi e, più di recente, Giuseppe Catozzella (premio Strega Giovani 2014). Ed è il luogo meno virtuale che si conosca: la strada. Milani infatti ha deciso di rompere con i vecchi schemi di ricerca e di scoprire nuovi autori passando al setaccio l’Italia. Con il Transeuropa Discovery Tour, sta andando su e giù per la Penisola a bordo di un bibliovan mettendo in piedi un laboratorio di scrittura itinerante. “Cambiare il metodo di ricerca letteraria significa anche modificare il percorso – spiega Milani – rendendolo più rapido, orizzontale, democratico, senza per questo perdere in qualità: a ogni tappa del mio passaggio apro un vero e proprio laboratorio di lettura e di scrittura dei testi narrativi, ossia trasmetto i miei saperi allo scopo di contribuire alla formazione del nuovo scrittore. Qui, infatti, si apre il secondo problema della questione: che percorso deve frequentare uno scrittore per potenziare il proprio talento? Lo fanno la scuola, l’università, le riviste letterarie? Ricevo una media di 4/5 manoscritti al giorno: il tasso di improvvisazione è spaventoso.
Perfino quando apro i libri dei grossi editori, ne trovo conferme. E la disperazione aumenta. Se continuiamo in questo modo, il ricambio generazionale dei lettori ci metterà 35 o 40 anni a mostrarsi”. Ma per Milani il problema è più grosso: non si tratta tanto di scovare nuovi talenti, quanto di “intercettare una voce, una sensibilità sconosciuta, e trovare il modo perché il suo esordio sia davvero innovativo, ossia produca un innesco con una nuova generazione di lettori”. E così conclude: “Le grandi case editrici, come d’altra parte le medie e le piccole, in questo senso hanno un deficit di partenza: anche quando fanno ricerca, si limitano a recepire l’esistente e a rilanciare sempre gli stessi temi e gli stessi generi, perché la distribuzione chiede sempre lo stesso libro, lo stesso autore, lo stesso tema di successo.
A questo punto ho avuto l’idea: provare ad accorciare il tempo di maturazione di un nuovo genere letterario rovesciando i termini del rapporto: non sono solo gli autori, i temi, che devono trovare l’editore, è l’editore che deve mettersi a caccia di autori e contenuti andandoli a scovare nei territori delle ‘cento città d’Italia”.