Farmaci prescritti ma inutili, esami diagnostici richiesti ma superflui, ricoveri ingiustificati. Per timore di contenziosi con i pazienti, troppi medici italiani continuano a consigliare terapie e trattamenti eccessivi. Spesso completamente inefficaci. È un fenomeno esploso negli ultimi anni, comunemente noto come medicina difensiva. Un atteggiamento diffuso che ha ricadute enormi ed evidenti tanto sulle cure quanto sui conti pubblici. Secondo diverse stime vale almeno 10 miliardi di euro, il dieci per cento della spesa sanitaria.
Se i medici ci riempiono di farmaci e analisi di laboratorio, il motivo è noto. Negli ultimi anni il numero di contenziosi in ambito sanitario è cresciuto a dismisura. Un aumento esponenziale che ha finito, in gran parte dei casi, per ledere la stessa dignità del personale sanitario. Secondo alcune indagini statistiche, ormai almeno 8 medici su 10, tra coloro che hanno alle spalle almeno un ventennio di attività, hanno sperimentato una richiesta di risarcimento da parte di un paziente. In una proposta di legge presentata a inizio legislatura dal deputato Benedetto Francesco Fucci si legge: «Secondo i dati dell’Associazione nazionale tra le imprese assicuratrici (Ania), sono circa 30mila i casi annui di contenzioso per medical practice, di cui la metà finisce nelle aule di tribunale». Sarebbero addirittura 320mila i pazienti che hanno denunciato danni subiti durante un ricovero negli ospedali italiani. Il 4 per cento del totale.
L’eccesso di prescrizioni avrebbe un peso sulla spesa sanitaria pubblica pari a 10 miliardi di euro. «Lo 0,75 per cento del prodotto interno lordo
Ormai il timore di subire una causa spinge molti medici ad abusare delle cure difensive. Non è un mistero. Pochi giorni fa il sottosegretario alla Salute Davide Faraone è intervenuto in commissione Affari sociali alla Camera. Rispondendo a un’interrogazione su questo argomento ha ammesso il dato. «Negli ultimi anni – le sue parole – si è assistito ad un sempre più frequente ricorso, da parte del professionista sanitario, all’adozione di scelte diagnostico-terapiche finalizzate non tanto alla erogazione della migliore prestazione sanitaria, quanto alla riduzione del rischio di addebiti di responsabilità a proprio carico». Chi ne fa le spese, quasi sempre, sono proprio i pazienti. Un paradosso. Il ricorso a esami diagnostici inutili non fa altro che allungare le liste di attesa. E mentre diventa sempre più difficile accedere ai servizi, il costo della spesa sanitaria aumenta a dismisura. L’interrogazione depositata a Montecitorio dalla deputata Paola Binetti traccia un quadro preoccupante. L’eccesso di prescrizioni avrebbe un peso sulla spesa sanitaria pubblica pari a 10 miliardi di euro. «Lo 0,75 per cento del prodotto interno lordo». I dati sembrano effettivamente confermati. Spiega una proposta di legge presentata pochi anni fa dall’ex presidente della commissione Affari sociali della Camera Pierpaolo Vargiu: «Nel 2011 il ministro della Salute Fazio è arrivato a stimare tale danno economico al sistema sanitario nella pazzesca cifra di 10-15 miliardi di euro, un’entità pari, cioè, al 10 per cento dell’intero Fondo sanitario nazionale. Tale cifra è stata sostanzialmente confermata in tutti i successivi studi, svolti da istituti economici specializzati o dalle stesse società scientifiche».
Il caso è studiato già da qualche tempo. Nel 2014 l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali ha organizzato un incontro sull’argomento, confermando le conseguenze dirette del fenomeno su ogni italiano, con un costo pro capite di 165 euro. Colpisce la diffusione. Sempre secondo i dati dell’agenzia, quell’anno dichiarava di praticare la medicina difensiva ben il 58 per cento dei medici italiani. Le prestazioni inutili più frequenti? Nel 33 per cento dei casi gli esami di laboratorio. Uguale percentuale per gli esami strumentali e, al 16 per cento, le visite specialistiche. Cifre confermate nell’interrogazione della Binetti. «Da numerose ricerche effettuate in questo campo – si legge – emerge che il 53 per cento dei medici dichiara di prescrivere farmaci a titolo “difensivo”. Mediamente tali prescrizioni sono il 13 per cento circa di tutte le prescrizioni dei ricettari. Il dato si impenna al 73 per cento con riferimento alle visite specialistiche, dove le prescrizioni inutili diventano il 21 per cento del totale effettuato dal singolo medico».
Secondo alcuni dati, le famiglie italiane utilizzano interamente solo il 49 per cento delle confezioni di medicinali prescritti. Una quota che scende ulteriormente nel caso di pillole e sciroppi prescritti ai bambini
Un danno per la sicurezza delle cure e per le casse pubbliche. Ma anche un enorme spreco di farmaci. Secondo alcuni dati, le famiglie italiane utilizzano interamente solo il 49 per cento delle confezioni di medicinali prescritti. Una quota che scende ulteriormente nel caso di pillole e sciroppi prescritti ai bambini. Restringendo l’esame ad antidolorifici e antinfiammatori la percentuale di confezioni non utilizzate interamente sale addirittura all’82 per cento. E così ogni anno migliaia di tonnellate di farmaci scaduti finiscono nei rifiuti. Non di rado si tratta di scatole di medicinali mai aperte. Anche per questo, ormai un anno fa, il Parlamento ha approvato una legge volta a ridurre gli sprechi, agevolando la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici non utilizzati.
E in tema di medicina difensiva? Per ovviare al fenomeno i governi che si sono succeduti sono intervenuti più volte. In commissione il sottosegretario Faraone ricorda, in particolare, la recente approvazione della legge 24 del 2017. Una norma che ha il duplice obiettivo di garantire i cittadini incorsi in errori medici, ma anche di assicurare ai professionisti sanitari «la giusta serenità nell’esercizio della propria attività». Tra le novità c’è la creazione di un apposito fondo di garanzia per risarcire le vittime (qualora non si possa provvedere con le assicurazioni). Ma anche l’introduzione di un tentativo obbligatorio di conciliazione nei giudizi civili. Non solo. Le consulenze tecniche durante i giudizi civili e penali non saranno più affidate al solo medico legale, ma anche a uno specialista nella disciplina oggetto di contenzioso. «Ciò – spiega il sottosegretario – affinché le valutazioni tecniche su cui si baserà il giudizio siano sempre compiute da esperti della materia».