Ci si chiedeva quanto sarebbero durati. E ci si dava una risposta: passeranno presto. Eppure sono ancora qui, i movimenti cosiddetti populisti cresciuti nel ventre della crisi economica. Anche se i loro candidati non hanno sfondato – con la vistosa, lontana eccezione americana di Donald Trump -, la loro presenza continua a pesare sugli equilibri politici europei e mostra di avere un’influenza anche sugli umori di elettori che votano per altri partiti. All’indomani delle elezioni generali tedesche – quelle che avrebbero dovuto offrire una facile maggioranza alla cancelliera Angela Merkel e invece la costringeranno a una difficile mediazione – è arrivato il momento di fare un primo bilancio. I Governi europei non sono andati a destra, dopo l’ondata di protesta registrata alle elezioni europee del 2014. Ma i movimenti cosiddetti populisti (quelli di destra in primis) hanno finito per rappresentare la principale e più autenticamente percepita forza di opposizione in molti Paesi. Ed è questo il loro punto di forza, quello che viene più sottovalutato.
Dopo anni di grande coalizione fra la Cdu-Csu e la Spd, il modello Merkel rischia di andare in crisi in Germania per quel 12,6% che la Alternative für Deutschland, la Afd, è riuscita a portare al Bundestag. Una destra nazionalista forte, che offre agli elettori un modello alternativo a partiti che in questi anni, chi più chi meno, hanno partecipato ai governi e condiviso una certa visione della politica, dando agli elettori la sensazione che fossero tutti uguali. A pagare il prezzo più alto sono stati i socialdemocratici, che come i socialisti in Francia rischiano di diventare ininfluenti nello scenario politico. La Afd è lo specchio in cui la Germania è costretta a guardarsi.
Nei Paesi Bassi, a marzo, è accaduta la stessa cosa: la grande coalizione ha ucciso nelle urne i laburisti. E il primo ministro liberale, Mark Rutte, ha vinto perdendo consensi in una campagna elettorale polarizzata pro o contro le posizioni euroscettiche e islamofobe di Geert Wilders, leader del Partito della Libertà (il Pvv), che è arrivato secondo e rappresenta quindi la principale forza di opposizione a tutti gli altri partiti. In Francia, a maggio, la storia è stata un po’ diversa. Ma agli atti resta un ballottaggio per le presidenziali che ha visto schierati due candidati esterni alle principali forze di governo: l’ex socialista Emmanuel Macron ha vinto anche perché aveva davanti Marine Le Pen, che con il suo Front National ha per la prima volta visto da vicino l’Eliseo e costretto persino il suo sfidante a una svolta nazionalista, una volta conquistata la presidenza.
L’Afd è una destra nazionalista forte, che offre agli elettori un modello alternativo a partiti che in questi anni, chi più chi meno, hanno partecipato ai governi e condiviso una certa visione della politica, dando agli elettori la sensazione che fossero tutti uguali. A pagare il prezzo più alto sono stati i socialdemocratici
No, l’Europa non è andata a destra ma dovrà tenere conto di ognuno di questi chiodi piantati saldamente nella sua carne. Il primissimo è ovviamente quello del voto inaspettato per la Brexit, nel giugno del 2016. Perché nel gioco democratico dell’alternativa fra una maggioranza e un’opposizione, sono per il momento questi movimenti bollati di volta in volta come populisti, nazionalisti, euroscettici o xenofobi a rappresentare le forze dell’alternativa. Almeno così sono percepiti, sembrano gli unici a dire cose diverse da chi sta al potere. Perché in tutti gli altri partiti (è la retorica dell’establishment, l’élite che si oppone al popolo degli onesti) non trovano spazio posizioni che non siano ortodosse sull’Unione Europea, le politiche economiche, l’immigrazione, il rapporto con l’Islam. Quindi, finché non ci sarà un’alternativa valida – a destra, ma soprattutto a sinistra – queste forze anti-sistema, con il loro linguaggio crudo, le loro ricette semplici, i loro atteggiamenti irriverenti, continueranno a essere un tassello importante dello scenario politico europeo. Anche quando hanno pochi voti e riescono comunque – questo è il loro maggiore successo – a imporre l’agenda agli altri partiti e ai media.
Con le elezioni tedesche è tutto finito per un po’? No. Il 15 ottobre si voterà in Austria, dove lo scorso anno la destra della Fpo ha sfiorato la conquista della presidenza della Repubblica. Anche a Vienna la grande coalizione fra centrodestra e centrosinistra è in crisi, può avvantaggiarsene il cristiano-democratico Sebastian Kurz, aspirante cancelliere trentunenne che ha fatto sue molte delle posizioni della Fpo. Con la quale potrebbe formare il nuovo Governo.
E poi ci sarà l’Italia.