Se ci fosse uno sport olimpico chiamato Copia senza vergogna una buona idea e schiantatela sui denti, l’Italia sarebbe certamente tra le più forti nazioni al mondo. L’ultima grande prova di eccellenza in questo campo l’abbiamo data meno di un mese fa, quando ElectaKids, ha pubblicato un libro intitolato 100 racconti per bambini coraggiosi, scritto da Elena Sforza e illustrato da Sabrina Ferrero.
Il libro di Sforza e Ferrero ha due problemi abbastanza rilevanti. Il primo riguarda l’originalità, totalmente assente visto che il progetto riprende a mani basse in tutto, le Storie della buonanotte per bambine ribelli, il progetto di Francesca Cavallo e Elena Favilli, pubblicato in America e finanziato con Kickstarter e, una volta diventato bestseller, ripubblicato in Italia da Mondadori.
Il secondo riguarda una cosa ancora più importante, ovvero l’opportunità. Il libro di Sforza e Ferrero infatti appare grottescamente ribaltato rispetto a quello di Francesca Cavallo e Elena Favilli, girato totalmente al maschile. Come se i bambini coraggiosi fossero la squadra avversaria delle bambine ribelli, insomma, indietro tutta di cinquant’anni.
Le autrici delle Storie per bambine ribelli avevano pensato un prodotto tutto al femminile, e nonostante il libro non fosse dedicato soltanto a piccole lettrici, lo avevano fatto con anche un senso di rivincita nei confronti di una Storia, quella del Novecento, normalmente dominata dagli uomini. Purtroppo non si può dire la stessa cosa per il progetto di Sforza e Ferrero, che scegliendo esclusivamente personaggi maschili — l’unica eccezione è Lili Elbe, primo transessuale della storia — ricostruiscono le solide muraglie di genere che il primo libro sperava di criticare.
E dire che sulla carta Sforza e Ferrero partivano abbastanza bene: «100 racconti per bambini coraggiosi è pensato per i bambini di tutto il mondo», si legge nella descrizione del libro, «per aiutarli a conquistate il coraggio, quello che è dentro ciascuno di noi, quello che serve per affrontare le paure, i dolori, le insicurezze. Quello che permetterà di non vergognarsi di piangere, di non scappare davanti alle prove ma di affrontarle, che insegnerà a realizzare i propri sogni». Bellissime parole, ma a leggere i nomi in quarta di copertina si fa un po’ fatica a crederci.
Si comincia con Andre Agassi e si finisce con Mark Zuckerberg. In mezzo, una accozzaglia di nomi che accostati fanno un po’ ridere: Banksy, Jorge Mario Bergoglio, il Capitano Nemo, e poi Cristoforo Colombo, Jacques Cousteau, il Dalai Lama, Salvador Dalì, Charles Darwin, Charles Dickens, Walt Disney, Bob Dylan, Albert Einstein, e pure Falcone e Borsellino, ma anche qualche scelta leggermente disorientante: Antonino Cannavacciuolo, Favij, Fedez, Jovanotti e infine anche uno spazietto per Alberto Tomba.
Insomma, un’occasione persa che ribadisce come in Italia, nonostante le battaglie all’arma bianca contro l’uso degli articoli davanti ai cognomi femminili, continuiamo a insegnare ai nostri figli una visione della società stile primi anni Quaranta, quando si diceva maschietti e femminucce e si facevano entrare a scuola in file separate, da una parte con i grembiulini azzurri e dall’altra con quelli rosa.