Audace, anticonformista, poco incline alla vita politica. Sono passati duemila anni, ma Ovidio resta una figura attualissima. Cantore dell’amore, maestro di seduzione e molto altro. Eppure ancora oggi il poeta viene spesso rappresentato come un disinvolto frequentatore della vita frivola e mondana al tempo di Augusto. Un seduttore tutto votato all’eccesso, autore di versi tanto spregiudicati da essere irriverenti. Ridurre Ovidio al solo aspetto passionale e scandaloso, tuttavia, rischia di limitarne il valore stilistico e innovativo. Limitando lo spessore di quello che resta uno degli autori classici più letti.
Publio Ovidio Nasone nasce a Sulmona nel 43 avanti Cristo. E muore, esiliato sulle coste del Mar Nero, esattamente venti secoli fa. La sua è una figura amata dal pubblico e temuta dal potere. Finita nell’oblio e poi riscoperta durante il Medioevo. E poi, così si legge in un disegno di legge approvato in occasione dell’importante anniversario, «per troppi anni emarginata dai banchi dei licei perché estranea alla classica compostezza oraziana e virgiliana». Punto di riferimento di tanti letterati europei, Ovidio diventa fonte di ispirazione per Giovanni Boccaccio, Geoffrey Chaucer e, probabilmente, anche Dante Alighieri. Non è un caso se il poeta fiorentino lo incontra tra le anime del Limbo, nella Divina Commedia, insieme a Omero e Orazio, con lui considerati tra i più celebri autori latini. Linguaggio e contenuti moderni, Ovidio si ritaglia un posto nella storia. La genialità dei suoi versi segna la cultura dell’epoca e arriva fino a noi. A voler estremizzare un po’, il poeta è uno dei primi seguaci dell’antipolitica. Contravvenendo alle indicazioni paterne abbandona un futuro da senatore per seguire la strada della poesia. Giunto a Roma in giovane età, ultimo nato di una illustre famiglia, il padre lo vorrebbe oratore. Terminati gli studi inizia la carriera di magistrato, membro dei decemviri stlitibus iudicandis. Ma non arriva mai al Senato, dove pure avrebbe accesso dato il rango familiare. Preferisce dedicarsi ai versi e all’amore. Alla poltrona, si direbbe oggi, antepone l’arte.
Ovidio morì solo, lontano da Roma, in esilio sulle coste del Mar Nero. Donec eris felix, multos numerabis amicos, tempora si fuerint nubila, solus eris. «Finché sarai felice – scriveva – conterai molti amici. Ma se il tempo si rannuvolerà, resterai solo». Versi attualissimi, composti esattamente duemila anni fa
Nel corso della vita Ovidio si sposerà tre volte, è un esperto in materia. E proprio all’amore dedica la prima, feconda, parte della sue opere. E il più giovane dei poeti elegiaci, ma anche il più particolare. Dopo aver creato le prime composizioni – gettate tra le fiamme per l’insoddisfazione – si impone all’attenzione della società romana con i suoi Amores. Tre libri dedicati a una donna di nome Corinna. I temi della seduzione, della conquista e del tradimento vengono affrontati con ironia. L’amore, forse per la prima volta nella letteratura latina, diventa un gioco. Poi arrivano le Heroides, 21 lettere inventate, scritte da donne leggendarie per i propri compagni. Sono amanti sedotte e abbandonate, come Didone e Arianna. C’è la schiava Briseide e le mogli degli eroi omerici Enone e Penelope. È un’opera mitologico-amorosa sotto forma epistolare, mai vista prima.
Il grande capolavoro destinato a durare nei secoli, però, è l’Ars Amatoria. Qui Ovidio dismette le vesti del poeta per diventare maestro di seduzione, praeceptor amoris. «Se c’è tra voi chi non conosca ancora l’arte di amare, legga il mio poema e fatto esperto colga nuovi amori», avverte fin da subito. I primi due libri si rivolgono agli uomini, il terzo alle donne. Lo stile resta ironico, ma dotto e dettagliato. Agli smaliziati lettori l’autore regala tecniche di seduzione e consigli per la conquista del partner. Spiega come far durare un amore e come gestire un tradimento. Dopotutto, «un piacere senza rischi piace meno». Non mancano suggerimenti sulla vita sessuale. Agli amanti più focosi il poeta consiglia di trattenere il piacere durante gli incontri: «Non è conveniente affrettare il momento dell’estremo godimento». Le metafore abbondano, l’amore diventa una battuta di caccia: per conquistare la preda valgono inganni e tranelli. Un’arte in cui è fondamentale affinare le tecniche. Ovidio racconta dove incontrare una donna, come farla innamorare. Dispensa suggerimenti su come curare il proprio aspetto, quali doni presentare e come adulare l’amante. Un gioco amoroso, a tratti scabroso, dove tutto è lecito: anche il tradimento. A quest’opera si legano i Remedia amores, 400 distici elegiaci che offrono rimedi per guarire dall’amore. E così il trattato, giunto solo in parte, sull’uso di cosmetici per le donne. Medicamina faciei femminea.
Amore, dunque. Ma non solo. Tra le opere della maturità di Ovidio restano i Fasti e, più celebri, le Metamorfosi. Forse il suo capolavoro più noto. 15 libri, quasi 12mila versi, in cui il poeta racconta oltre 250 storie di epiche trasformazioni, attingendo a piene mani dalla mitologia greca. Dall’origine dell’universo fino all’apoteosi di Cesare, passando per le leggende di Apollo e Dafne, gli Argonauti, Teseo e Arianna, le imprese di Ercole e la guerra di Troia. È una delle ultime opere prima dell’esilio. Nell’8 dopo Cristo Ovidio viene relegato lontano da Roma. Da Tomi, in Scizia, proseguirà la sua attività. Risalgono a questo periodo altre opere memorabili, i Tristia e le Epistulaes ex Ponto, lettere poetiche indirizzate a vari personaggi della Città Eterna per chiedere il suo ritorno in Patria. Se resta misterioso il motivo del suo allontanamento, è noto, invece, che a Roma Ovidio non tornerà più. Morì sul Mar Nero nel 17 dopo Cristo. Solo e deluso. Donec eris felix, multos numerabis amicos, tempora si fuerint nubila, solus eris. «Finché sarai felice – scriveva – conterai molti amici. Ma se il tempo si rannuvolerà, resterai solo». Versi attualissimi, composti esattamente duemila anni fa.