Il mondo sta imparando a conoscere, grazie ai rivelatori da Nobel, la devastante potenza dello scontro tra buchi neri o tra stelle di neutroni e le onde gravitazionali che ne derivano. Ma gli osservatori globali stanno anche imparando a osservare quel che succede quando due colossi della tecnologia entrano in collisione. È quel che sta accadendo nella battaglia su più continenti in atto tra Apple e la Qualcomm.
La prima non ha bisogno di presentazioni, la seconda è uno dei maggiori produttori di semiconduttori al mondo, ha sede a San Diego, un fatturato di oltre 23 miliardi di dollari e un utile di oltre 6 miliardi. Il grosso dei suoi margini li fa non con i chip ma con alcuni brevetti che coprono alcune funzioni (dalla gestione dell’energia alla tecnologia touch-screen) degli smartphone di diversi produttori, tra cui quelli di Apple. Le royalty per questi brevetti sono il motivo di una causa avviata al tribunale per la proprietà intellettuale di Pechino da Qualcomm, che chiede il divieto di produzione e di vendita degli iPhone in Cina. Considerando che praticamente tutti gli iPhone si fabbricano in Cina e che la regione della Greater China è il secondo mercato per vendita – 215 miliardi di dollari, pari al 22% dei ricavi di Cupertino – è facile immaginare la magnitudine del terremoto che creerebbe una messa al bando della società da parte del tribunale di Pechino.
Il nodo della questione è che Qualcomm considera tali brevetti essenziali e non-standard, mentre Apple si appella agli impegni Frand, quelli che obbligano a concedere alcuni brevetti considerati standard del settore in modo equo, ragionevole e non discriminatorio. Qual è la differenza tra queste due visioni? Un miliardo di dollari. Sono quelli che, secondo Apple, Qualcomm avrebbe ottenuto da Apple per assicurare le proprie forniture per la produzione degli iPhone. A seguito di questo aumento del conto, Apple ha iniziato una causa antitrust, sostendendo che le pratiche sulla gestione dei brevetti fossero scorrette e che il produttore di San Diego abusasse della sua posizione di maggiore fornitore di chip per telefoni.
È in atto una battaglia su più continenti, tra Stati Uniti, Corea del Sud, Taiwan e Cina. Tutto è partito con una causa avviata da Apple ed è proseguita con una supermulta a Taiwan. La richiesta di messa al bando della produzione e vendita di iPhone in Cina potrebbe essere devastante per i conti di Apple, ma difficilmente si andrà oltre una nuova negoziazione
Come ha spiegato Bloomberg, subito dopo la denuncia Apple ha tagliato i pagamenti per 2 miliardi di dollari a Qualcomm. Questo ha portato a un rapido calo del valore delle azioni del produttore di chip (ancora -20% rispetto all’inizio dell’anno) e a un annuncio sulla prevedibile diminuzione dei profitti. Non è l’unico fronte che Qualcomm deve fronteggiare, perché la crisi si è allargata ad altri Paesi asiatici. Il produttore di San Diego ha accusato Apple di aver incoraggiato i regolatori dalla Corea del Sud agi Stati Uniti a prendere provvedimenti contro la Qualcomm sulla base di falsa testimonianza. Nei giorni scorsi la Commissione antitrust di Taiwan (Taiwan’s Fair Trade Commission) ha dato una multa record a Qualcomm da 773 milioni di dollari. Nella battaglia, secondo alcune ipotesi, contro Qualcomm potrebbe schierarsi anche un altro colosso degli smartphone, la cinese Huawei. Non è un caso che le azioni di Apple abbiano risentito poco dell’annuncio della causa di Qualcomm in Cina, perché questa è sembrata soprattutto una mossa difensiva e affannata.
Come finirà? Probabilmente con una collisione meno distruttiva di quanto si possa immaginare. Difficilmente le autorità cinesi potrebbero realmente accettare che un grande produttore e datore di lavoro come Apple possa essere messo al bando. Secondo la maggioranza degli analisti contattati da Bloomberg, l’esito più scontato è quello di una negoziazione. Una soluzione che, d’altra parte, è quella verso cui dovrebbe spingere lo stesso tribunale pechinese, come già accaduto in molti casi del passato.