L’Europa è multiculturale ma l’UE non l’ha capito, date dignità alle identità e batterete gli indipendentismi

Spagna, Francia, Germania e Italia sono Stati multiculturali con una lingua e cultura dominante sulle altre. Mentre nell’Europa dell Est è formata da stati piccoli ma con forte coesione identitaria. L'Ue ha sempre ignorato questa eterogeneità socio-culturale

JORGE GUERRERO / AFP

Nell’attesa che l’ennesimo episodio della pluricentenaria questione catalana si “risolva” – come in passato, solo temporaneamente – con una sconfitta degli indipendentisti catalani ed una riaffermazione dell’egenomia politica e culturale castellana, provo a proseguire la mia personale riflessione sulle questioni che questa vicenda ha sollevato per il progetto europeo. Questioni antiche che non spariranno con le dimissioni di Puigdemont e soci e con le nuove elezioni che, articúlo 155 o meno, verranno con ogni probabilità presto indette in Catalogna.

Vorrei concentrarmi sul tratto forse più delicato e controverso della questione ma, alla fine, quello decisivo: ovvero la rivendicazione di una identità linguistica, culturale e storica specifica che legittima, nel discorso degli indipendentisti, il fallito tentativo di secessione. Chi fosse interessato ad approfondire le origini dell’idea di “nazione catalana” può incominciare dalle pagine di Wikipedia (vale la pena leggerle in lingue diverse) per proseguire con i riferimenti lì indicati. Mi si permetta una nota polemica: è frequente, in Italia, leggere battute ironiche in cui Wikipedia viene paragonata ai bignami di liceale memoria. Tali battute testimoniano solo l’ignoranza di chi si prende la briga di scriverle. Mentre, in italiano, alcune pagine di Wikipedia lasciano a desiderare, quelle nelle altre maggiori lingue sono notevoli e lontane anni luce dai libercoli propagandistici che spesso vengono spacciati come ricerca storica. Amen.

L’innegabile fatto su cui riflettere è invece il seguente: la formazione dello spazio socio-culturale e politico che chiamiamo Europa è un processo lungo circa 1600 anni che ha favorito la creazione di realtà socio-culturali (ed anche politiche: sono molti gli stati con meno di 10 milioni di abitanti) relativamente “locali’. Durante questo tempo, la grande varietà di etnie (molte provenienti dall’esterno del territorio noi oggi consideriamo europeo …) che, mescolandosi, hanno generato i popoli europei hanno anche sedimentato anche una grande eterogeneità socio-culturale. Tale varietà risulta particolarmente ampia se consideriamo che essa si manifesta all’interno di un’area territoriale relativamente piccola rispetto agli altri continenti della Terra. Svariati studiosi – Eric Jones in particolare – hanno visto in tale eterogeneità il motore del miracolo europeo e della consguente supremazia dell’Europa sul resto del mondo. Supremazia che – dopo più di mezzo millennio – oggi sembra evaporare a causa del processo di globalizzazione che l’Europa stessa ha iniziato.

Il progetto di Unione Europea – che molti vedono come l’unica diga alla marginalizzazione del continente – ha sempre ignorato tale eterogeneità socio-culturale. Sia nella configurazione che ha assunto durante gli anni successivi alla caduta dell’URSS che nelle visioni, variamente utopiche, formulate molti decenni fa, l’Europa federale ha sempre preso come proprio punto di partenza gli stati nazionali usciti dalla seconda guerra mondiale.

Il progetto di Unione Europea – che molti vedono come l’unica diga alla marginalizzazione del continente – ha sempre ignorato tale eterogeneità socio-culturale. Sia nella configurazione che ha assunto durante gli anni successivi alla caduta dell’URSS che nelle visioni, variamente utopiche, formulate molti decenni fa, l’Europa federale ha sempre preso come proprio punto di partenza gli stati nazionali usciti dalla seconda guerra mondiale.

Non voglio neanche provare a definire dove siano esattamente i confini “giusti” dell’Unione Europea, quale ne sia la sua essenza o radice, cosa sia centrale e cosa periferico alla sua identità, definita o meno che essa oggi sia. Son discussioni senza capo né coda esattamente come quelle che cercano in qualche antica battaglia, trattato o casa regnante la “legittimazione” del diritto (o dell’assenza del diritto) all’indipendenza di questa o quell’altra parte di uno stato nazionale esistente. Il fatto rilevante è che, da svariati secoli, in Europa si parlano molte più lingue (lingue, non dialetti) di quanti siano gli stati riconosciuti, ed a molte di queste lingue gruppi ampi di persone associano una cultura ed una storia specifica che definiscono, nella loro visione, un’identità nazionale. Non vi sono solo i catalani ma anche i siciliani, gli scozzesi, i galiziani, i corsi, i baschi, i valloni, i veneti, i tirolesi, gli sloveni, i gallesi, i sardi eccetera …

Hanno questi gruppi un “diritto legittimo” a formare una nazione indipendente? Non lo so e credo che la domanda, posta in questa forma, sia priva di obiettiva risposta: lo decideranno gli eventi. Ciò che conta è il fatto che, da molti decenni in modo oscillatorio ma persistente, questi gruppi identitari costituiscono un problema politico irrisolto per questo o quello stato centrale e per il progetto di Unione Europea soprattutto.

Molte di queste entità locali sono state assorbite in stati nazionali multiculturali, dove uno degli idiomi (e delle culture) coesistenti ha ottenuto la supremazia sugli altri; nel caso della Spagna, il castellano. Questa la soluzione francese, anzitutto, poi spagnola, inglese, tedesca ed italiana: i cinque grandi stati europei contengono al proprio interno, in misure diverse, identità culturali e linguistiche distinte da quella egemone. Mentre in Francia e Germania l’omogeneità linguistica è divenuta totale – generando una ergodicità culturale che è il fondamento del condiviso senso di unità nazionale – in altri paesi questo non è successo dando luogo a turbolenze politiche che indeboliscono il progetto europeo.

Altrove (massimamente nell’Europa dell’Est) le diverse lingue/culture hanno portato alla distruzione, anche violenta, degli stati nazionali ed alla creazione di stati piccoli ma con forte coesione identitaria. Quale di queste è la “migliore” soluzione al multiculturalismo che la storia d’Europa ha generato? Non credo possibile deciderlo solo sulla base di qualche teoria normativa dello stato e di una valutazione tutta giuridica e non politica – come è stato fatto in Spagna – delle richieste d’indipendenza. Questo perché i conflitti politici fra consistenti gruppi d’interesse, fra loro opposti, non si sono mai risolti, pacificamente, sulla base delle leggi esistenti ma solo modificandole, costituzioni comprese.

Ma vi sono altre due ragioni. Una – relativa alla fattibilità e sostenibilità nel tempo di uno stato federale che si costituisca e pluribus unum – parte dalla banale osservazione che un’Europa Unita richiede la dissoluzione dei grandi stati nazionali esistenti. Ad essa vorrei dedicare il prossimo ed ultimo articolo di questa serie. La seconda, che accenno solamente invitando alla riflessione, l’associo – forse per i limiti delle mie letture – all’idea di “Negritudine” elaborata nel primo dopoguerra da Aimé Césaire e Léopold Sédar Senghor. Molto brutalmente, essa dice che la valorizzazione delle specificità culturali e linguistiche di un gruppo minoritario non richiedono necessariamente la costruzione di uno stato nazionale indipendente.

La valorizzazione può avvenire anche all’interno degli stati già esistenti se la minoranza rivendicante è capace di riconoscere che la propria alterità è comunque parziale e storicamente determinata nel rapporto con il gruppo egemone. Cosa questa che, nel suo triste provincialismo, l’indipendentismo catalano è stato incapace di fare nei quarant’anni trascorsi dalla morte dinFranco. E se, simmetricamente, il gruppo egemone è capace di fare altrettanto riconoscendo, invece di negarle, le specificità culturali che definiscono la minoranza. L’accordo del 2006 adombrava un tragitto di questo tipo ma i governi guidati da Rajoy hanno scelto di cancellarlo. E l’Unione Europea – paralizzata dai timori dei suoi quattro grandi stati – ha fatto finta in queste settimane di scordarselo. Un’altra occasione persa, per tutti.