Tette e culi.
Era ora.
L’altro giorno, il 20 ottobre 2017, sono usciti un manipolo di lavori che finalmente mi riconcilia col lavoro di chi deve ascoltare la musica che viene immessa sul mercato. Perché sono finalmente usciti dei lavori interessanti, moderni, ben scritti, ben prodotti, ben suonati, ben confezionati. Insomma, dei buoni lavori, di più degli ottimi lavori. Lavori che si muovono, salvo un paio di loro, in ambiti diversi, ma che hanno tutti un fil rouge che li attraversa, una fondamentale presenza femminile.
Tette e culi, si diceva.
Ho pensato di introdurre questo pezzo con la doppietta “tette e culi”, non tanto e non perché le tette e i culi abbiano una componente fondamentale in questi lavori, non più che in altri, suppongo, e molto meno che in tanti altri, ma perché mi premeva attirare la vostra attenzione e tette e culi, in genere, sortiscono questo risultato velocemente, senza bisogno di star lì a arzigogolarsi in ragionamenti e sofisticati giochi di parole.
Tette e culi, quindi.
Ora posso cominciare a parlare di musica.
E la musica che è uscita il 20 ottobre, meritevole di essere menzionata è per cominciare, e giuro che sto andando così, random, quella di Era Serenase. Duo genovese composto dai cugini Sfera (poi diventato EraSfera per distinguersi dall’inutile Sfera Ebbasta) e Serenase, l’uno rappar, l’altra cantante, beatmaker e regista, Era Serenase è una boccata d’ossigeno in un mondo di asfittici. Capaci di giocare con le parole con arguzia e bizzarria, ma soprattutto capaci di immeggerci in un mondo stralunato, a metà tra i fumetti e i Die Antwoord, il duo già passato per il concorso per autori Genova per Voi dimostra come anche oggi, in epoca di trap e musica demmerda, sia possibile trovare una via moderna, contemporanea, forse anche futuribile alla canzone d’autore. Canzone d’autore che, in realtà, è anche canzone d’oggi, perfetta colonna sonora dell’oggi. Quindi parole e musica che flirta con gli immaginari di quest’oggi, tra smania di esserci e dire la nostra, i cambiamenti delle dinamiche dei rappori interpersonali e più in generale lo spaesamento nel prendere le misure a un mondo in evoluzione/involuzione accelerata. Il tutto appoggiato sapientemente su una musica che flirta con l’electropop più internazionale. Unica macchia, EraSfera risulta incomprensibilmente tifare Samp, il che dimostra che la vera artista dei due è Serenase, si auspica una repentina carriera solista. Intanto “Crystalball”, questo il titolo del loro album, è un gioiello di chiarissimo valore, farselo sfuggire è da folli.
Nonostante si venda come un gruppo, Giorgieness è una delle nostre migliori cantautrici, giovane ma già perfettamente a fuoco, e con un fuoco dentro che si trasforma in canzone. Il fatto che oggi sia proprio il femminile a regalarci le poche cose interessanti in circolazioni deve darvi il perimetro del reale valore di questa artista assolutamente da tenere d’occhio, una che potrebbe presto fare il salto verso il mainstream, capace di portare verità in un mondo falso.
Come è da folli non immergersi corpo e anima nelle dieci canzoni di “Siamo tutti stanchi”, seconda prova sulla breve distanza di Giorgia D’Eraclea, in arte Giorgieness. Un album importante, perché, come auspicato poco tempo fa, riporta in prima fila l’idea di un utilizzo contemporaneo di chitarre, giocando sul crinale che corre tra rock e pop (lo si intenda come un complimento, sia chiaro). Giorgia sembra aver passato un brutto momento personale, dando per assodato che le canzoni raccontino storie vere, e noi non possiamo che esserne cinicamente felici, perché le tracce, la splendida hit “Che cosa resta” e “Mya” su tutte, sono un felice ritorno nella golden age degli anni Novanta (per chi usa le chitarre oltre che la golden age anche un po’ l’ultima giornata di sole). Una capacità piuttosto rara di raccontare storie semplici ricorrendo a immagini personali, il tutto su canzoni che passano dai suoni spigolosi alle ballate acustiche, tipo Umana. Nonostante si venda come un gruppo, Giorgieness è una delle nostre migliori cantautrici, giovane ma già perfettamente a fuoco, e con un fuoco dentro che si trasforma in canzone. Il fatto che oggi sia proprio il femminile a regalarci le poche cose interessanti in circolazioni deve darvi il perimetro del reale valore di questa artista assolutamente da tenere d’occhio, una che potrebbe presto fare il salto verso il mainstream, capace di portare verità in un mondo falso.
Terza parte di questa anomala tetralogia è l’EP “Inverno ticinese” del duo Coma Cose, lavoro che in qualche modo potrebbe essere inserito nell’insiemistica che vede presenti anche Era Serenase. Parecchi sono i punti di contatto tra le due realtà, quella genovese, questa milanese. Si parta dalla formazione, in questo caso formata da Fausto Lama, ex Edipo, e Francesca California. Poi una cura piuttosto maniacale per l’estetica e i dettagli visivi. Ultimo, ma non certo per importanza, anche se ogni singolo passaggio di questi progetti ha pari dignità, la capacità di intercettare i suoni di oggi, nel caso specifico dei Come Cose piuttosto vicini al rap che flirta con l’electropop, il tutto senza perdere il contatto con le nostre radici. Il brano “Anima Lattina”, omaggio neanche troppo nascosto a Battisti, ci indica una strada ben precisa. Suoni che sembrano vintage ma che sono in realtà assai presenti, ma con una scrittura musicale antica, di quelle che fanno tirare in ballo senza paura di incontrare gli sguardi attoniti dei nostri interlocutori la parola “composizione”. Ecco, i Coma Cose riescono, e so che il paragone potrebbe portarli a disegnarmi cazzi sulla fiancata della macchina con gli Uniposca, laddove gente come Francesca Michielin non riuscirà mai. Fanno pop colto, alto, che però riesce a rimanere pop, facilmente fruibile, godibile. Da tenere d’occhio, anche perché in questo caso, come negli altri fin qui affrontati, l’occhio vuole la sua parte.
Quindi Era Serenase, Giorgieness, Coma Cose e Le Deva, quattro realtà femminili (non solo femminili, ovvio) che sono uscite il 20 ottobre e che ora si troveranno a fronteggiare le strenne natalizie, ovverossia la sfornata di gretatest hits, live e repackeging che ci riproporrà le vecchie uscite tirate a lucido per festeggiare il santo Natale. Non fatevi fregare dal mercato e puntate alla qualità in ambiti e settori diversi è sempre possibile trovarne.
Ultimo capitolo di questa sghemba raccolta, seppur con una chiusa che poi introdurrà altri veloci spunti, un lavoro pop che però non ambisce a uscire da quel recinto, ma a svettarci con tutti i crismi del mainstream, seppur partendo da un contesto veramente indipendente. È noto, immagino, come chi scrive sia uno dei più rigidi antagonisti del mondo dei talent. Bene, un fraintendimento fa sì che spesso questo atteggiamento venga frainteso come disistima nei confronti dei giovani che vi prendono parte, più che del sistema malefico che i talent hanno prima messo in piedi e poi reso in qualche modo necessario a una discografia agonizzante e ormai a corto di metadone. Prova ne è il fatto che spesso chi scrive, che poi sarei io, senza star qui a farla tanto lunga, prova ne è il fatto che ho spesso caldeggiato l’ascolto di artisti (nome abusatissimo nei talent, ma che a volte ha ragion d’essere) che dai talent sono passati, faticando magari poi a intraprendere una propria strada distante dalla junk music che ormai quel contesto non può che avvallare.
È il caso de Le Deva, di loro vado a parlare, un gruppo pop composto da quattro ragazze, tre delle quali provenienti, o transitate sarebbe meglio dire, dai talent. Le Deva, nome che fa riferimento in maniera didascalica al femminile, essendo la crasi di D di donna e di Eva, la prima donna biblica, sono Roberta Pompa, passata da X Factor, Greta Manuzi e Verdiana, passate da Amici, e Laura Bono, la rocker che nel 2005 vinse l’edizione sanremese nella categoria Giovani. Un quartetto vocalmente impeccabile che, sotto la cura di Pippo e Monica Landro, sono riuscite a tirare fuori un lavoro davvero di livello. Canzoni pop ben scritte da un manipolo di autori, Zibba e Andrea Amati, tanto per citarne un paio, e ottimamente interpretate dalle quattro, con le voci che si mescolano con naturalezza nonostante i percorsi personali e artistici delle quattro non siano esattamente i medesimi. Anzi, proprio nelle diversità e nella volontà compiuta di trovarsi sta il segreto di questa anomala band, forse uno dei progetti pop meglio riusciti tra quanti circolano oggi in Italia. Un progetto squisitamente pop, “4”, questo il titolo del loro album d’esordio, un progetto che se lo si vedesse dal punto di vista di mera operazione a tavolino poteva ambire a mettere insieme i quattro zoccoli duro di fan delle ragazze, questo magari frutto dei loro passaggi televisivi, ma che in realtà innesca la scintilla che rende i quattro elementi qualcosa di nuovo. “La fine del mondo”, brano in cui l’electropop ha la sua massima espressione nelle tracce dell’album, potrebbe diventare una hit, e le quattro ben figurerebbero nel cast del prossimo Festival di Sanremo, se solo l’essere realmente indipendenti non le penalizzasse già in partenza. Un ottimo lavoro che lascia ben sperare anche per il futuro.
Quindi Era Serenase, Giorgieness, Coma Cose e Le Deva, quattro realtà femminili (non solo femminili, ovvio) che sono uscite il 20 ottobre e che ora si troveranno a fronteggiare le strenne natalizie, ovverossia la sfornata di gretatest hits, live e repackeging che ci riproporrà le vecchie uscite tirate a lucido per festeggiare il santo Natale. Non fatevi fregare dal mercato e puntate alla qualità in ambiti e settori diversi è sempre possibile trovarne. A tal proposito, e giungendo alla fine, come non segnalare il bel singolo “Piovono saponette” di Romina Falconi, ottima prova R’n’B in cui la cantante di Tor Pignattara, la nostra Jenny From de Block, decide sempre di più di pigiare sull’acceleratore dello slang di strada, portando un po’ di sana ironia e sboccataggine dentro un corpo di bionda pin-up, il tutto accompagnato da un mostro sacro come Gary Novak.
Insomma, esiste ancora qualcosa da andare a ascoltare, e manco a dirlo è donna.