Condannati ad essere bamboccioni: studiare e lavorare in Italia è quasi impossibile

Se negli altri paesi europei studiare e lavorare allo stesso tempo è ormai nella norma, in Italia siamo ancora indietro. E le conseguenze si riflettono anche dopo gli studi

Frequentare un corso universitario mentre si è già iniziato a svolgere un’attività appare in Italia come un qualcosa di eroico, per cui essere ammirati in alcuni casi o compatiti in altri. In Europa, invece, è normale in molti Paesi e decisamente più comune che in Italia.

Secondo i dati Eurostat, i giovani tra i 15 e i 34 anni che oltre a lavorare stanno studiando sono solo il 4,8% del totale.

Non si parla qui della formazione effettuata dalle aziende per i nuovi assunti (campo in cui l’Italia non brillerebbe in ogni caso), ma della frequenza di corsi universitari o di altro tipo decisi autonomamente da parte dei giovani che sono già occupati.

Il problema riguarda proprio il lavoro, perchè tra la popolazione totale in questa fascia di età coloro che studiano in Italia sono poco meno della media europea, e coloro che allo stesso tempo non hanno un’occupazione ma studiano sono decisamente di più, il 34,2% contro il 27,9%.

Può apparire una buona notizia, ma ci sono due obiezioni: da un lato si parla di chi studia, non di chi giunge a un titolo, e qui il nostro Paese scivolerebbe in fondo alle classifiche; dall’altro la statistica deriva banalmente dal fatto che sono pochi coloro che invece hanno un impiego.


I dati sono preoccupanti per l’Italia per qualsiasi fascia di età tra i 15 e i 34 anni, in particolare siamo ultimi tra i 15 e i 19 anni. Non è considerata come occupazione in questo caso lo stage dell’alternanza scuola lavoro della Buona Scuola, ma solo quella effettiva con un contratto di dipendenza dall’azienda.

Ed è incredibile osservare come nei Paesi Bassi, in Danimarca, in Svizzera, quasi metà degli adolescenti lavora e studia allo stesso tempo, mentre solo lo 0,9% dei coetanei italiani lo fa.

Evidentemente nel Nord Europa questo è anche il modo per rimediare all’abbandono scolastico che invece ancora colpisce molto i Paesi mediterranei, Italia in testa.

E la situazione non è mutata molto negli anni, se non per la fascia tra i 30 e i 34 anni negli ultimi tempi.


A tal proposito è interessante notare un altro particolare: contrariamente a quello che accade negli altri Paesi, nel nostro sono di più i 30enni studenti lavoratori che i 20enni, il 6,8% contro il 4,6%.

Questo deriva dal grande ritardo con cui riusciamo a fare quelle tappe che altrove vengono smarcate prima, come laurearsi e trovare un lavoro. Che si riesca a ottenere un impiego, magari continuando a frequentare l’università da fuori corso, in Italia accade verso i 30 anni mentre in Germania a 24.

Ma non è solo questo, non è solo una questione di tempistiche e di alta disoccupazione giovanile: evidentemente c’entra anche come viene intesa l’università. E’ un vanto nazionale rivendicare il fatto che le nostre facoltà siano più lunghe e complesse di quelle estere, questo è un leitmotiv che chiunque sia stato in Erasmus ha sentito.

Da noi non si fanno gli esami con le crocette, certo, ma siamo sicuri che sia così formativo un percorso di studi così intensivo e nozionistico da non permettere di svolgere contemporaneamente con facilità un lavoro?

Tra l’altro, negli ultimi 6 anni, mentre per i diplomati vi è stata una crescita di coloro che hanno svolto esperienze formative nel mondo del lavoro (dal 27,7% dei maturandi 2010-2012 al 37,2% tra quelli del 2014-2016), per quanto riguarda i laureati c’è stato un passo indietro: il 41,2% di chi aveva finito l’università tra 2010 e 2012 aveva fatto qualche stage, ma si è scesi al 36,6% per i laureati nel 2014-2016.

Qui l’Istat intende evidentemente anche stage gratuiti e alternanza scuola lavoro.

E’ chiaro che gli esiti di questa arretratezza nei confronti dell’Europa si sentano.

Sia tra i diplomati che tra i laureati solo una piccola minoranza ha trovato lavoro grazie a precedenti esperienze nella stessa impresa durante gli studi, il 6,9% tra i diplomati e il 7,8% tra i laureati. E solo l’1,6% e il 5,6% rispettivamente hanno giovato di segnalazioni di scuola o università.

La rete di amici, conoscenti e parenti rimane tra gli strumenti più usati, addirittura nel 40,6% dei casi nel caso dei diplomati.

Ma il dato peggiore è che anche tra chi dopo gli studi trova un lavoro, la stabilizzazione arriva tardi, dal momento che non si hanno precedenti esperienze. La proporzione di occupazione precaria è inizialmente enorme, del 51,7% tra i laureati nel periodo 2014-2016 e del 64,4% tra i diplomati. Scende, poi, ma rimane decisamente elevata, al 27,7% e 35,8%, per esempio a 4-6 anni dall’inizio del lavoro, ovvero quando si è anche più che trentenni. Ciò non stupisce se la prima esperienza di lavoro è avvenuta solo dopo una laurea a oltre 25 anni come accade spesso, mentre i coetanei europei già da alcuni anni alternavano la frequentazione di scrivanie d’ufficio o laboratori o fabbriche a quelli dei banchi delle aule d’università.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club