TaccolaL’ultima visione di Negroponte: «Pianteremo le auto come gli alberi»

Per il cofondatore del Mit Media Lab, inventore di moltissime applicazioni oggi divenute comuni, è il Biotech che regalerà all’umanità cose che oggi sembrano assurde. Al World Business Forum di Milano ha però insistito anche su un’altra priorità: dare accesso a Internet gratis a tutti nel mondo

AFP PHOTO/Rob ELLIOTT ROB ELLIOTT / AFP

«Immaginiamo di piantare un seme da cui venga fuori un’auto». Una frase del genere, detta da chiunque altro, sarebbe da prendere semplicemente come un’assurdità. Invece a pronunciarla è Nicholas Negroponte, dal palco del Wobi, il World Business Forum di Milano. Le aveva fatte precedere da una premessa: «Al MIt facciano cose che non sono ancora sul mercato e che sembrano ridicole». Questo signore, 74 anni tra pochi giorni, qualche cosa nella sua vita lo ha inventato. Tra quelle che ha presentato davanti all’auditorium se ne possono citare tre: la tele-conferenza (dopo un programma per far comunicare presidente Usa, vicepresidente e generali in caso di guerra nucleare), un sistema di mappatura antesignano di Google Street (per ricostruire luoghi in cui intervenire in caso di presa di ostaggi), i sistemi touchscreen. Riguardo a quest’ultima invenzione ricorda almeno tre obiezioni, pubblicate in articoli: che le dita avrebbero coperto lo schermo, che lo avrebbero sporcato, che più in generale non avrebbero mai avuto essere precise su uno schermo. Ma tra quello che è venuto fuori dal Mit Media Lab – istituto da lui co-fondato – avrebbe potuto citare il Gps, i werables, le protesi robotiche, l’optogenetica, l’e-ink, quello usato negli e-reader, fino alla tecnologia dietro Guitar Hero. Mentre tra i suoi lavori si ricordano quelli per lo svilppo dei programmi Cad e degli stessi personal computer, quando lavorava all’Ibm.

Ogni volta scetticismo, risate, accuse di assurdità. Di certo ha sempre saputo guardare lontano. Quando tiene i suoi discorsi cita gongolando una copia di Newsweek del 1995, non del 1975, in cui si diceva: «Nicholas Negroponte, direttore del MIT Media Lab, prevede che presto compreremo libri e giornali direttamente da Internet. Certo». Due anni prima aveva co-fondato la rivista Wired, divenuta un punto di riferimento mondiale per l’innovazione. Lui si limita a dire: «Io invento, non faccio business plan. Ci sono altri che fanno business plan su quello che invento».

Insomma, lo abbiamo inquadrato. «Anche oggi – ha detto al Wobi di Milano – ci sono cose di cui si ride. Pensiamo alle auto. È difficile dire quanti pezzi abbia un’auto. Sono 30mila o 50mila a seconda di come si conteggiano i componenti. Immagniamo di piantare un seme da cui venga fuori un’auto. Probabilmente non è fuori dalla ragione. Anche se probabilmente non avverrà tra cinque o dieci anni». Il fatto è che, per l’inventore newyorchese ormai da una vita a Boston, la grande ossessione è il Biotech, che «è il nuovo digitale». L’interazione tra uomo e computer è sempre stata una priorità del Mit Media Lab e negli ultimi dieci anni è stato dato risalto a temi come la biomeccatronica, cioè come la tecnologia possa essere usata per migliorare le capacità fisiche umane. «L‘uomo che al Mit Media Lab ha inventato l’e-ink ora fa ricerca su come interagire con i neuroni del cervello. Finora lo abbiamo fatto da fuori il cervello, ora vorremmo farlo da dentro». A che cosa potrebbe portare tutto questo? Ai meccanismi con cui impariamo le lingue, per esempio. «Dov’è il francese, che ho imparato, nel mio cervello? – si chiede -. Se lo sapessimo e sapessimo interagire con il cervello, potremmo arrivare a ingoiare una pillola che ci faccia conoscere il francese».

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«Anche oggi ci sono cose di cui si ride. Pensiamo alle auto. È difficile dire quanti pezzi abbia un’auto. Sono 30mila o 50mila a seconda di come si conteggiano i componenti. Immagniamo di piantare un seme da cui venga fuori un’auto. Probabilmente non è fuori dalla ragione. Anche se probabilmente non avverrà tra cinque o dieci anni»

Sono visioni da fantascienza, proprio da quella classica degli anni Cinquanta. E d’altra parte lo stimolo di Negroponte è quello di far ricordare quanto sembrassero assurdi concetti che oggi sono normali. «Immaginate un mondo senza dischi o Cd o una tv senza un palinsesto. Negli anni Sessanta era impossibile da pensare», ora è la nostra quotidianità. Ancora: «Immaginate un mondo senza negozi, senza uffici, senza periferie». Ci stiamo arrivando proprio in questi anni. «Immaginate un mondo senza nazioni, fatto solo di città, con una sola lingua. Le cose difficili da immaginare succedono. Ho chiesto ai miei studenti del Mit chi avesse intenzione di comprare un’auto. Nessuno ha alzato la mano. Negli anni Sessanta tutti volevano l’auto, era libertà».

Non è però qui che Negroponte vuole fermarsi. Ha catturato l’attenzione di tutti, ora vuole parlare dei progetti a cui tiene di più: l’educazione e l’accesso gratuito a internet per tutti nel mondo. Sono due temi a cui dedicò gran parte dei suoi sforzi per il computer a 100 dollari per tutti i bambini del mondo, o “Olpc XO“, una grandiosa idea rivelatasi, però, un fallimento, perché nel frattempo il mondo più svantaggiato aveva potuto agganciare la rivoluzione della telefonia mobile e perché il prodotto si rivelò rigido. Secondo Negroponte, invece, il progetto dimostrò che i costi dei laptop potevano essere radicalmente abbassati.

«Quando vedi cambiamenti in altri campi devi chiederti cosa possa cambiare sull’istruzione e sull’apprendimento – dice -. Sono due cose diverse. Istruzione è quello che gli altri ti impongono di conoscere. Apprendimento è quello che impari da te», aggiunge prima di dire che gli italiani sono fortunati a essere connazionali di Maria Montessori. Per Negroponte «i bambini sono la nostra risorsa naturale più preziosa». Si immagina una “Mathland” mondiale in cui tutti i bambini imparino a sei anni il linguaggio del coding. E «non per trovare lavoro, ma perché la programmazione insegna a pensare, o meglio fa pensare a come funziona il pensiero». Anche questo concetto ha avuto molte contestazioni nel corso degli anni.

«Immaginate un mondo senza dischi o Cd o una tv senza un palinsesto. Negli anni Sessanta era impossibile da pensare», ora è la nostra quotidianità. «Immaginate un mondo senza negozi, senza uffici, senza periferie». Ci stiamo arrivando proprio in questi anni. «Immaginate un mondo senza nazioni, fatto solo di città, con una sola lingua. Le cose difficili da immaginare succedono»

Parallelo e intersecato corre un altro obiettivo: «La connettività dovrebbe essere un diritto umano». L’accesso a Internet, aggiunge, «dovrebbe essere gratuito a livello mondiale attraverso un “Global Public Sector”», cioè un ente svincolato dalle singole nazioni. «L’Onu non è la migliore di queste istituzioni, ma è anche l’unica» , si concede la battuta. La sostanza è che si dovrebbe perseguire l’obiettivo di una “World Connectivity Organization” che porti a un sistema di satelli a orbita bassa in grado di portare Internet ovunque. «È un progetto da 10 miliardi di dollari, non da 450 miliardi, ossia quanto tutte le industrie mondiali spenderanno nei prossimi cinque anni per le infrastrutture nel mondo». Per arrivarci bisogna però agire «senza il permesso delle nazioni», perché la storia delle telecomunicazioni negli ultimi 30 anni è stata “una tragedia”. «A causa dell’avidità degli Stati. C’è stata la storica coincidenza delle privatizzazioni e delle tecnologie wireless, che usano uno spettro di frequenze. Avere venduto queste frequenze a caro prezzo ha rallentato l’adozione della connettività su larga scala». Alla fine l’appello è per i giganti del Tech. «Lo dico a Facebook: non pensate ai prossimi 1,5 miliardi di utenti da conquistare, pensate agli ultimi 1,5 miliardi sulla terra».

«La connettività dovrebbe essere un diritto umano. L’accesso a Internet dovrebbe essere gratuito a livello mondiale attraverso un “Global Public Sector”»