«Ringrazio molto il Governatore Visco per le parole di apprezzamento che ha rivolto al mio Governo nella sua audizione di questa mattina. Confermo che abbiamo sempre avuto la massima collaborazione istituzionale, anche quando non eravamo d’accordo su tutto nel merito. Mi fa piacere che egli finalmente fughi ogni dubbio sul comportamento dei ministri». Si può partire dalle parole di Matteo Renzi per capire che piega ha preso, martedì, l’audizione del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nella Commissione banche del Senato. Il grande accusatore, che chiese attraverso una mozione parlamentare di non confermare il numero uno di Via Nazionale, finisce per ringraziarlo di non aver infierito sulle richieste dei suoi ministri, in particolare Maria Elena Boschi, circa Banca Etruria.
Poco prima delle 22, dopo un’estenuante dozzina di ore di audizione, un altro esponente del partito che ha votato per sfiduciare il governatore, Mauro Del Barba, usa così le sue domande: ringrazia Visco per la chiarezza e per il contributo che le sue parole hanno dato ai futuri lavori parlamentari; ne apprezza le autocritiche; chiede di commentare quanto già scritto nella relazione iniziale; gli dà una sponda nel rigettare le richieste dei Cinque Stelle sulla nazionalizzazione completa dell’Istituto e rinuncia a una domanda sulla “moral suasion” della banca d’Italia. Non proprio un attacco alla giugulare, considerato che solo venti giorni fa Renzi se ne usciva così: «Non credo dormirà sonni tranquilli Visco questa notte».
Altri interventi da commissari dello stesso partito erano stati più vivaci. Franco Vazio, per esempio, ha chiesto conto delle lamentele di Consob per non aver ricevuto elementi per mettere in guardia i risparmiatori di CariFerrara e Banca Marche. Ma l’impressione è che il Partito Democratico non avesse alcuna voglia di prendere altri rovesci dalla Commissione banche, quindi niente attacco e piuttosto catenaccio.
Un’altra impressione è che il governatore abbia voluto dare l’idea di non voler affondare il colpo ma di poterlo fare. Ha parlato delle domande arrivate da Renzi sul perché la banca di Vicenza volesse Etruria. «Mi parlò degli orafi», dice Visco, che però decide di usare la mano di piuma: dice di averle considerate una «curiosità», di averle trovate «divertenti». Poi si fa più serio e racconta di un altro incontro, in cui l’allora presidente del Consiglio chiede: «Perché non mi parla di alcune banche in difficoltà?». «Non risposi, ne parlo con il ministro [dell’Economia]», dice Visco, che sottolinea: «Però la domanda l’ha fatta». Il governatore dà l’impressione di voler dare le carte quando ricorda di ricevere «moltissimi presidenti di Regioni» che si informano sulle “banche del territorio” (Visco qui si permette delle bacchettate sul «rischio di commistione tra politica e banche»). Poi, per rendere più chiaro il concetto, aggiunge che anche esponenti dell’opposizione gli fanno quelle domande.
Sintesi della giornata: Renzi, il grande accusatore di Visco, finisce per ringraziarlo di non aver infierito sulle richieste dei suoi ministri, in particolare Maria Elena Boschi, circa Banca Etruria
Rapporti con il Partito democratico a parte, va detto che, nell’intera giornata, con centinaia di domande avanzate, anche specifiche, di colpi andati a segno anche da partiti più animati se ne sono visti pochi. Il punto più critico è toccato a Carmelo Barbagallo, Capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria della Banca d’Italia*, che è dovuto ricorrere a un «Non ricordo», riguardo al fatto che si fosse parlato di Banca Popolare di Vicenza durante un incontro con i vertici di Veneto Banca, Vincenzo Consoli e Flavio Trinca, il 6 novembre 2013. Per poi escludere di aver risposto con “Banca Popolare di Vicenza” alla domanda su quale dovesse essere l’istituto con cui Veneto Banca avrebbe dovuto aggregarsi. È la parola di Bankitalia contro quella di un banchiere. La stessa situazione in cui Visco è riuscito a mettersi negando di aver mai chiamato al telefono l’ex numero uno di Popolare di Vicenza, Gianni Zonin. Per la cronaca, all’epoca dei fatti i giornali parlavano senza scandalo di un “progetto fortemente spinto da Bankitalia”.
Da parte del banchiere di Via Nazionale ci sono state le parate sulla linea, dunque, ma anche rinvii con i piedi di palloni arrivati molto mosci. Come quando il senatore Antonio D’Alì, Forza Italia, chiede conto della differenza di trattamento di Mps dalle banche venete e Visco può rispondere che una era di rilevanza sistemica e le altre no. Alle domande sulla nomina di Marco Morelli ad di Mps rinvia invece il pallone alla Bce, che lo ha giudicato adeguato nonostante una precedente sanzione amministrativa inflitta da Banca d’Italia. Anche la foga di Carlo Sibilia, M5s, per la verità, viene respinta. Ci sono responsabilità evidenti della Banca d’Italia, attacca il senatore dei Cinque Stelle. E Visco: «Quali?». «Per esempio il ritardo nel capire il ritardo delle banche venete, di cui ha parlato lei stesso».
E qui si arriva a un’altra scelta che permette al governatore di anticipare i colpi. Quella di piazzare un paio di autocritiche sulla gestione di Banca d’Italia delle crisi bancarie. «Ho due rimpianti – dice – : uno è sulla questione dei crediti deteriorati e l‘altro effettivamente è su Vicenza». «Potevamo essere più svegli», dice sulla banca popolare vicentina. Il “rimpianto” è che solo nel settembre del 2014 sia arrivata dalla Vigilanza la segnalazione che la Popolare di Vicenza aveva iniziato a ricomprare «azioni proprie senza dircelo». La segnalazione viene girata alla Bce, due mesi dopo viene fatta la prima ispezione congiunta (dato che la vigilanza passa alla Bce). «È in quell’occasione – dice Visco – che l’ispezione trova i finanziamenti baciati agli imprenditori della zona», sebbene la pratica fosse ormai molto diffusa nel territorio e fosse esplosa con l’aumento di capitale varato nel febbraio 2014. Settembre 2014 è cinque mesi dopo le domande di Renzi su Vicenza ed Etruria e l’incontro dei vertici di Veneto Banca ed Etruria a casa Boschi.
Rapporti con il Partito democratico a parte, va detto che, nell’intera giornata, con centinaia di domande avanzate, anche specifiche, di colpi andati a segno anche da partiti più animati se ne sono visti pochi
Il secondo “rimpianto” è sulla gestione dei crediti deteriorati. Non che sia un’autocritica vera e propria perché Visco spiega di essere stato «il primo in Italia a chiedere la bad bank, quattro anni fa». Va anche detto che quattro anni fa il governatore dichiarava: «Il sistema è solido e la capitalizzazione, in generale, adeguata». «Il punto – aggiungeva – è se le banche hanno accantonato abbastanza per proteggersi da questi rischi». «Se fosse necessario – concudeva – siamo pronti a chiedere ulteriori garanzie, altri accantonamenti, ma in maniera dinamica, non c’è nulla di cui preoccuparsi ora». È su questo aspetto che, in serata, aggiunge che Banca d’Italia avrebbe dovuto «fare prima», «costringere le banche ad avere uffici appositi per smaltire i crediti deteriorati in tempi brevi, anziché in tempi lunghi». Bisognava, aggiunge, chiedere gli archivi elettronici, per verificare la qualità dei crediti delle banche, «nel 2012, non nel 2015».
Sulla gestione della vicenda delle quattro banche popolari, tra cui Etruria, i “rimpianto” è più articolato, perché si basa sulla convinzione che la banca centrale abbia fatto i passi necessari ma che ex post se ne sarebbero potuti fare altri. In questo passaggio c’è anche una rivelazione: il fatto che l’idea di trasformare il fondo interbancario di tutela dei depositi da obbligatorio a volontario (per evitare la procedura di infrazione europea per aiuti di Stato) venne proprio da Bruxelles. Nei sei mesi che procedettero le risoluzioni si sarebbe potuto procedere subito su questa strada (poi usata per il salvataggio nel 2017 di Cassa di Rimini, San Miniato e Cesena); si perse invece tempo, per una prima opposizione delle banche, il cui ok arrivò a tempo scaduto. Significò, nel novembre 2015, mandare in fumo i risparmi degli obbligazionisti subordinati (oltre che degli azionisti) di tali banche e dare l’avvio alla crisi bancaria italiana.
Luca Erzegovesi, professore di finanza all’Università di Trento e autore del blog Pane-e-finanza, dove sta seguendo con lunghe analisi i lavori della Commissione banche, invita a vedere i progressi nella conoscenza di alcuni fatti che si sono avuti grazie all’audizione di Visco. «Il rischio della giornata era che dall’inizio alla fine dell’audizione ci fosse solo il rimbalzo di due temi polemici: quelli relativi agli incontri segreti della Boschi e quelli sulle mancanze della vigilanza. In realtà è parso cambiato l’atteggiamento dei senatori: c’è stata più tensione a capire come sono andate veramente le cose. Si è trattato di un dialogo più sincero». «Oggi – continua – ci sono stati dei passi avanti. Sono emersi elementi che saranno utili anche per riforme future del settore. Si è vista una Banca d’Italia che dialoga su alcune critiche. Anche se alcune sono restate sottaciute o non completamente chiarite».
Tra le questioni su cui il governatore è apparso poco convincente, aggiungiamo noi, c’è la consapevolezza, arrivata solo come «lezione ex post» del fatto che strumenti rischiosi come le obbligazioni subordinate dovessero essere venduti solo agli investitori istituzionali e non alla clientela retail. Nell’audizione il governatore ricorda come, una volta capita l’entità enorme del rischio sociale, la Banca d’Italia abbia cercato di mettere una pezza chiedendo alle controparti europee non inserire le vecchie obbligazioni subordinate tra gli strumenti che vengono azzerati in caso di risoluzione. Tra i vari rimpianti questo, seppur condiviso con le banche e perfino con i risparmiatori, è il primo da mettere in lista.
* errata corrige: In una precedente versione dell’articolo le dichiarazioni sono state attribuite per errore a Fabio Panetta, vice direttore generale della Banca d’Italia. Ci scusiamo con l’interessato. Articolo modificato il 20/12/2017 alle 11:09
Tra le questioni su cui il governatore è apparso poco convincente, aggiungiamo noi, c’è la consapevolezza, arrivata solo come «lezione ex post» del fatto che strumenti rischiosi come le obbligazioni subordinate dovessero essere venduti solo agli investitori istituzionali e non alla clientela retail