Nel 1995 un anonimo bombarolo che stava terrorizzando l’America da quasi un ventennio spedendo pacchi artigianalmente esplosivi a randomici destinatari invia un testo di 35mila parole alle principali testate giornalistiche nazionali (Penthouse compreso). In allegato la promessa che, se il suo “Manifesto” fosse stato pubblicato, avrebbe smesso di confezionare ordigni killer. La Società industriale e il suo futuro è il titolo del saggio in questione e lo sappiamo perché lo scritto, pur non trovando spazio su Penthouse, è comparso sulle prime pagine del New York Times e del Washington Post (con la benedizione dell’FBI). Questa pubblicazione ha avuto due conseguenze: la prima, a breve termine, è stata l’arresto (nel 1996) del suo autore, Ted Kaczynski.
La seconda, decisamente meno prevedibile, è la nascita di due pilastri della più recente cultura pop come Fight Club e Matrix. Senza le divagazioni (fino a che punto?) di un serial killer bombarolo non esisterebbe, dunque, Chuck Palahniuk. E forse non avrebbero raggiunto la fama nemmeno gli ex fratelli (ora sorelle) Wachowski. Questa ha tutta l’aria di essere una storia da raccontare.
Ted Kaczynski al momento sta scontando otto ergastoli in un carcere di massima sicurezza del Colorado. In tutto ha fatto fuori tre persone e ne ha ferite irreversibilmente una ventina. Dunque gli Stati Uniti non hanno apprezzato granchè il suo hobby: costruire pacchi bomba (usando materiali recuperati nei bidoni della spazzatura) e spedirli, a partire dal 1978, inizialmente a università e aeroporti. Per questo si era guadagnato il soprannome di Unabomber (Un = university, A = airport e al “bomber” ci si può arrivare).
In Italia lo stesso nomignolo divenne famigerato tra il 1990 e il 2000 quando un attentatore seminava il panico nel Veneto piazzando ordigni rudimentali ma efficaci tra Pordenone, Portogruaro e Lignano. Il direttore di un quotidiano locale, in preda a un raptus creativo, ritenne opportuno soprannominarlo, su carta, “Monabomber” (dove “Mona” sta proprio per “Mona”). Ne nacque una tragicomica battaglia sindacale perché i giornalisti della testata si rifiutarono di scrivere nei loro articoli l’irridente appellativo. Presto, però, la soluzione: la dicitura “Monabomber” trovò spazio solo nei titoli e non nei pezzi di cronaca scritti dai sensibili redattori. L’unabomber nostrano, comunque, non è ancora stato identificato. Mona o meno, si pensa sia deceduto o, nella peggiore delle ipotesi solo “inattivo”.
In Italia lo stesso nomignolo divenne famigerato tra il 1990 e il 2000 quando un attentatore seminava il panico nel Veneto piazzando ordigni rudimentali ma efficaci tra Pordenone, Portogruaro e Lignano. Il direttore di un quotidiano locale, in preda a un raptus creativo, ritenne opportuno soprannominarlo, su carta, “Monabomber” (dove “Mona” sta proprio per “Mona”). Ne nacque una tragicomica battaglia sindacale perché i giornalisti della testata si rifiutarono di scrivere nei loro articoli l’irridente appellativo
L’attenzione alle parole è stata decisamente più efficace per l’FBI: come racconta (bene) la serie Netflix Manhunt: Unabomber prodotta da quel cattivone di Kevin Spacey (che però, lavorativamente, non ne sbaglia mai una) i profiler nella task force del caso sono arrivati all’identificazione di Ted Kaczynski proprio grazie al suo modo di scrivere ponendo le basi per quella che sarebbe diventata una vera e propria disciplina di studio: la linguistica forense.
In base ai proverbi, gli intercalari, gli errori ed alcuni dei termini più frequenti, gli agenti capirono, tra le altre cose, da quale parte dell’America provenisse il misterioso mittente bombarolo di quel saggio. Sembra fantascienza ma non lo è: banalizzando, immaginate di farvi raccontare lo stesso aneddoto da un milanese, da un veneto, da un napoletano e da un calabrese. Questi quattro, pur dicendo la stessa cosa, userebbero parole leggermente diverse (e riconoscibilmente “geolocalizzanti”) per illustrarla. È stato proprio lo stile di scrittura a fare da campanello d’allarme nella testa di David Kaczynski, fratello del bombarolo, che riconoscendo nel saggio pensieri e parole del consanguineo (in particolare, un proverbio “sbagliato” tipico modo di dire della sua famiglia) pensò bene di fare un colpo di telefono all’FBI.
Ma chi era Ted Kaczynski? E cosa c’entra con Fight Club e Matrix? Andiamo con ordine: Theodore Kaczynski nasce nel 1942 e, grazie ad un quoziente intellettivo di 165-170 viene ammesso ad Harvard alla tenera età di 16 anni. Si laurea con una tesi così complessa che, a detta del suo stesso relatore, “solo una decina di persone in America potrebbero essere in grado di comprenderla veramente”.
Durante la permanenza universitaria, il giovanissimo Ted fa la conoscenza di Henry Murray, stimato professore di Psicologia, che lo inserisce in un corso molto particolare. Il barone universitario, legato alla CIA (anzi, all’ OSS – Office of Strategic Services, antenata della CIA), stava conducendo ricerche sperimentali sul controllo mentale e, in soldoni, sul modo migliore per spingere eventuali spie russe a confessare durante gli interrogatori.Ma anche renderle inoffensive, leggasi farle uscire di testa, poteva essere considerato un buon risultato. Progetto MKUltra era il nome dell’operazione. Dunque Murray, in mancanza di cavie, assoldava (anche) giovani studenti di Harvard pieni di stima nei suoi confronti e li sottoponeva, senza il loro esplicito consenso, ad esperimenti aggressivi dal punto di vista psicologico quando non fisico. Legati ad una sedia, con gli elettrodi in testa, i ragazzi subivano attacchi verbali atti a minare le loro certezze, oppure elettroshock “per vedere l’effetto che fa”. Si chiama brainwashing e non ha l’aria di essere un’esperienza particolarmente piacevole (o legale).
Alcuni passaggi del trattato scritto dal bombarolo sono citati testualmente nelle invettive di Durden, protagonista di Fight Club, senza contare il suo pallino (se così si può definire) per le esplosioni
Poco dopo la laurea, Kaczynski lascia il mondo accademico (pur essendo richiestissimo da più o meno tutte le Facoltà) e prova a rifarsi una vita lavorando nella ditta del fratello. Le cose non vanno bene, i due litigano, e Ted decide di ritirarsi per sempre dalla società civilizzata: si costruisce un capanno nei boschi del Montana e lì vive senza acqua corrente o elettricità campando di caccia tra orsi e ruscelli.
Ogni tanto, a partire dal 1978, tiene a mandare al mondo civilizzato, lo stesso mondo civilizzato da cui si è sempre sentito incompreso e respinto, piccoli promemoria della sua esistenza: pacchi bomba firmati FC, ovvero Freedom Club. Club a cui apparteneva solamente lui, in fin dei conti, ma era molto determinato ad ampliare la cerchia.Il suo ideale era la rivoluzione: l’uomo doveva rendersi conto di essere schiavo della tecnologia, delle macchine (da lui stesso inventate per poi ritrovarsi in catene) e ribellarsi facendo saltare in aria il sistema vigente al fine di ricominciare da capo.
In estrema sintesi, questo è uno dei concetti chiave contenuti ne “La società industriale e il suo futuro”, nonché la filosofia di vita di un certo Tyler Durden, “doppio” protagonista di Fight Club, romanzo uscito tre mesi dopo l’arresto di Kaczynski.Alcuni passaggi del trattato scritto dal bombarolo sono citati testualmente nelle invettive di Durden, senza contare il suo pallino (se così si può definire) per le esplosioni. Chissà se il romanzo di Palahniuk avrebbe avuto la stessa risonanza pubblicato in un momento diverso della storia americana. Ad esempio non dopo 20 anni di sistematici attentati dinamitardi ad opera di un matto senza nome che professava il caos come unica via per riappropriarsi della libertà.
La dialettica Uomo contro Macchine (= “Sistema”) è anche ciò che sta alla base del film Matrix, uscito nel 1999. Potrebbe essere un caso ma non lo è: il Manifesto di Kaczynski è anche noto come “Pillola Rossa”. Una delle scene più celebri della pellicola è quella in cui Morpheus pone “l’Eletto” Neo a cui è stata appena rivelata “la verità” davanti a una scelta: prendere la pillola blu (e risvegliarsi il mattino dopo immemore di ogni cosa e pronto per continuare la sua vita all’interno del “Sistema Matrix”) oppure la pillola rossa per vedere “quanto è profonda la tana del Bianconiglio”.
Questa battuta, che potrebbe sembrare buttata lì per dare un allure di strambo mistero all’intera faccenda, non è per nulla casuale. Negli studi sul controllo mentale cominciati dal progetto MKUltra si tratta di una metafora piuttosto potente: come il Bianconiglio attira Alice oltre lo specchio, così gli psicologi della CIA conducevano le loro cavie (definite “schiavi”) ovunque volessero. Si parla addirittura di metodi di “programmazione” dell’individuo per cui i malcapitati sottoposti a sessioni di ipnosi, lsd, elettroshock e quant’altro fossero poi indotti a votare la propria vita ad una specifica missione assegnata loro, come un omicidio, per poi dimenticarsene completamente. O suicidarsi subito dopo.
La dialettica Uomo contro Macchine (= “Sistema”) è anche ciò che sta alla base del film Matrix, uscito nel 1999. Potrebbe essere un caso ma non lo è: il Manifesto di Kaczynski è anche noto come “Pillola Rossa”
Sembrano teorie complottiste ma, come prova dell’esistenza di questi esperimenti, non abbiamo solo la testimonianza di un serial killer bombarolo (con rispetto parlando, chiaro). Il progetto MKUltra si concluse nel 1966 (anche se per molti ha avuto un seguito sotto il nome di Monarch) e la questione è arrivata fino al Senato americano: nel 1977 Ted Kennedy affermò, oltre all’esistenza di queste sperimentazioni della CIA soprattutto nell’ambito delle università a stelle e strisce, il fatto che i soggetti presi in esame non avessero espresso il proprio consenso a tali esperimenti. In pratica, non avevano idea che di lì a poco qualcuno si sarebbe divertito a giocare con le loro menti per amore della scienza. Seguì la solita serie di morti misteriose (suicidi?): a passare a miglior vita fu qualche capoccia della CIA. Ma questa è, ancora, un’altra storia.
Tornando a Kaczynski, che tanto odiava macchine (ma proprio pure le automobili) e computer, il suo Manifesto è reperibile facilmente online (sia in italiano che in inglese) e se siete appassionati del genere potete divertirvi a scoprire quante frasi Palahniuk ha “preso in prestito” dal bombarolo Ted per metterle in bocca al “suo” Tyler Durden.
Manhunt: Unabomber, invece, resta un’ottima serie tv che racconta la vicenda, soprattutto umana, di un serial killer forse meno conosciuto di tanti altri ma che, a suo modo, ha fatto almeno un pezzettino di storia della cultura pop d’oltreoceano se non mondiale. Le sue parole non sono state dimenticate. Era esattamente ciò che voleva. E per fortuna, non lo scoprirà mai.