Preparatevi, Grasso è il Piero Angela della politica e vi stupirà tutti

Dietro c’è l’armata Brancaleone della sinistra post comunista. Davanti, un siciliano con l’aria da zio che può diventare un beniamino della politica. Nonostante l’eloquio zoppicante e la mimica da “tutto pagato mio”. O forse proprio per quello

Scommetto grandi cose per l’avvenire di Piero Grasso. Come per tutte le cose che accadono nell’universo mondo, si potrà cinicamente ridere dell’avventura politica appena iniziata a sinistra nel dominio domenicale dell’Eur, all’Atlantico Live, dove la Pontina mostra, tra pini mediterranei e cartelloni pubblicitari, il punto di fuga di Gassman e Trintignant ne “Il sorpasso”, così sotto il nome di Liberi e uguali. E poi perfino osservare con malcelata crudeltà ogni singolo capovaro che avanza sotto il peso del passato che sembra avere acciaccato il vessillo d’ogni possibile forza d’opposizione, e tuttavia non si può non rilevare che lì è avvenuta la fine definitiva del pensiero unico, almeno a sinistra. Un pensiero unico che negli anni, visti i risultati, ha mostrato lo stesso spessore intellettuale del cocker caro a Veltroni, che figurava accanto a Bob Kennedy nel poster che l’allora direttore de l’Unità teneva appeso in via dei Due Macelli. Un nome quasi metafora, sebbene, in questo caso, i macelli sia stati assai di più, da “l’Unità” stessa al Campidoglio alla disfatta elettorale ormai pregressa.

Dicevamo però che proprio domenica scorsa, lì all’Eur, stessa contrada che ospita il Palazzo dei Congressi dove un tempo si officiavano i riti quadriennali e le conte della Dc e del Pci, è morta definitivamente la cosiddetta vocazione maggioritaria. A guardare in sequenza i volti di D’Alema e Bersani e poi di Speranza e Civati, giusto per usare una metafora musicale idonea al luogo da concerti, con Piero Grasso non avremo certamente il ritorno di un gigante della fantasia polistrumentistica come Frank Zappa, ma di sicuro il “coro dell’Antoniano” di Walter Veltroni rilevato in seguito da Renzi smette di esistere. Nessuno, insomma, potrà più sostenete che il concetto di egemonia gramsciana possa essere declinato da Jovanotti, da Farinetti, da Baricco.

Inutile dire che i voti, da sempre, non sono patrimonio esclusivo di alcun partito, com’erano invece convinti nel Pci, una convinzione che sembra essere perdurata perfino tra i dirigenti del Pd a trazione toscana, dunque l’obiezione dei feddayn renziani secondo cui “l’armata Brancaleone” (copyright Roberto D’Agostino) di Liberi e uguali avrà come demerito quello di togliere a voti all’unica vera forza in grado di battere Berlusconi, Salvini e perfino i beppegrillari, non ha senso, è una forma di autoinganno consolatorio.

I nostri tempi non amano la complessità e dunque vi risparmieremo la spiegazione del nodo politico che ha inizio con la Bolognina di Occhetto – novembre 1989 – ovvero creare un soggetto di sinistra “di lotta” e finalmente anche “di governo” che, al di là delle stimmate togliattiane, mostrasse comunque una alterità, anzi, per dirla con Pasolini continuasse a rappresentare “un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico”. Si è visto però, molti cocker dopo, com’è andata a finire. Perdonate la semplificazione, ma con Matteo Renzi, rendite di posizione personali del suoi antagonisti a parte, si è avverato per molti, compreso il pubblico a casa, il serio rischio di morire democristiani, e fin qui nulla di grave, se è vero che storicamente la Dc ha rappresentato il massimo di socialdemocrazia possibile per l’Italia, tuttavia, nella sua variante renziana, sembra perdere il volto bonario per assumere i tratti di una tracotante autocrazia di provincia, parvenu della politica e perfino delle idee con tratti addirittura vendicativi, o almeno così sono stati percepiti da coloro che avrebbero dovuto sentirli invece come “compagni” o semplici amici.

Mi direte: ma tra i cocker di Veltroni e dei suoi eredi, degni succedanei di una sorta di piccolo coro dell’Antoniano pronto a passare il testimone al sushi-bar renziano con Maria Elena Boschi direttrice di sala, e gli anni del fallimentare e non meno tracotante governo D’Alema non sembra ci sia partita, hai forse dimenticato che, con Massimo D. a Palazzo Chigi, gli organismi dirigenti democraticamente eletti del partito erano stati sostituiti dallo “Staff del segretario” (sic), con tanto di carta intestata? Per nulla! Ricordo pure che tutto questo ha contribuito a fare terra bruciata della flora batterica di un mondo che, sempre con le parole del poeta, avrebbe dovuto “cambiare la vita” e non certo farsi percepire come classe dirigente destinata a perpetuarsi con ghigno da “etuchicazzosei?”

L’uomo, finalmente libero dal trono gestatorio dapprima di magistrato e poi di seconda carica istituzionale, stupirà tutti, anzi, ha tutti i numeri per diventare un beniamino domestico della politica, perfino a dispetto delle obiezioni di coloro che non sanno vedere dietro il fondo dell’occhio dell’anima, quelle secondo cui, cito testualmente da Facebook, “un giudice a capo della sinistra non si può proprio!”

Mi sembra però un pericolo ormai scongiurato; la pluralità di Brancaleoni (all’Atlantico Live si sono visti pure la Camusso, Vendola – “buono pure quello!”, Fabio Mussi, Bassolino, Fratoianni “… già, mancava solo Zio Tibia!” – e poi c’era, soprattutto, un inenarrabile Piero Grasso, in veste di immacolato leader. E qui, mi permetterete di fare un po’ di fenomenologia sulla persona e il personaggio, essendo Grasso come me palermitano, penso di avere titoli per provare a indicarne la sostanza, diciamo, letteraria.

Mettendo a parte ogni compiacimento campanilistico, posso dire che l’uomo, finalmente libero dal trono gestatorio dapprima di magistrato e poi di seconda carica istituzionale, stupirà tutti, anzi, ha tutti i numeri per diventare un beniamino domestico della politica, perfino a dispetto delle obiezioni di coloro che non sanno vedere dietro il fondo dell’occhio dell’anima, quelle secondo cui, cito testualmente da Facebook, “un giudice a capo della sinistra non si può proprio!”, e invece Grasso, con la sua aria da zio tra viale Strasburgo e piazza Europa, nonostante le obiezioni dell’ex collega Ingroia – «Non volle sottoscrivere l’appello della procura di Palermo contro l’assoluzione di Andreotti in primo grado. È stato molto cauto e prudente su trattativa Stato-mafia e l’inchiesta Dell’Utri» – riuscirà a sfondare nel cuore della platea del consenso, come fosse un parente estraneo a ogni spigolo, a ogni conflitto, una sorta di grande paciere, dove perfino le sue incertezze dialettiche, l’eloquio zoppicante, incerto per eccesso di umana consapevolezza, la mimica da “tutto pagato mio” tra bar “Alba” e pizzeria “Al Maniero”, o il gelato al “baretto” di Mondello, anguria e gelsi neri, il sorriso che viene da un’antica saggezza sicana (non sicula) da sosta, appunto, in rosticceria, ebbene tutto questo farà dire di lui, perfino ai più distanti: «Ma tu lo sai che quello, come si chiama, Grasso? Tu lo sai che questo Grasso non è male, mi ricorda mio cugino di Cefalù, quello che lavorava ai Contributi unificati, Nunzio, ve lo ricordate Nunzio? Preciso a Nunzio», forte del suo disincanto misto a soddisfazione… Già, chi glielo doveva dire a Piero nostro che avrebbe avuto così tante soddisfazioni professionali dalla vita? Vi ricordate che scarto di consapevolezza mondano-filosofica tra lui e la collega Boldrini durante lo spoglio per la presidenza della Repubblica? In Piero la stessa compostezza presocratica di un Ciccio Ingrassia a fronte dell’insofferenza piccata da Grimilde dell’altra.

Se la politica è ormai fidelizzazione, sinistra o non sinistra nel simbolo del cartello elettorale, bandiera rossa o rosé, sono quasi certo che al pari, che so, di un Giovanni Rana, di un Piero Angela, al nostro perfino riuscirà di surclassare Romano Prodi, di cui si sosteneva “grondasse bontà da sotto gli artigli”, mentre di Piero Grasso, anche se non dovesse diventare mai premier, diranno – scommettiamo? – “vuoi vedere che per Natale Grasso ci fa avere la cassata e pure i cannoli?”. Così la pasticceria siciliana sconfisse infine la vocazione maggioritaria.

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