Quando un Davide sfida un Golia, almeno per chi scrive, è sempre una bella notizia. E a leggere il comunicato diffuso da Edizioni e/o il 21 dicembre, con il quale l’editore romano ha comunicato la sua decisione di non aver accettato le condizioni capestro imposte da Amazon, l’impressione deve essere molto simile a quella degli ebrei che videro il piccolo Davide avvicinarsi al gigante Golia con in mano una fionda e cinque sassi.
Le accuse che e/o muove al gigante del retail online sono molteplici: vanno dalle condizioni di lavoro imposte ai dipendenti (se n’è occupata su queste stesse pagine la collega Lidia Baratta un annetto fa), alla concorrenza sleale verso le librerie indipendenti, dalla politica societaria “al limite del dumping” e dall’elusione delle tasse italiane fino a, per l’appunto, alle condizioni economiche esose imposte agli editori per vendere sulla sua piattaforma.
Tutte accuse vere, tranne una, che è vera solo in parte. Sì, perché la relazione tra il successo di Amazon e la chiusura delle librerie indipendenti c’è, assolutamente, ma diamo a Golia quel che di Golia: Amazon c’entra relativamente. E il suo peso in questa dinamica non è comparabile ad altre cause che in questi ultimi due decenni hanno strangolato e reso asfittico il campo da gioco dei librai, soprattutto quelli indipendenti.
Che le librerie in Italia stiano chiudendo è un fatto incontrovertibile. I dati dell’Aie parlano di un tasso di chiusura che negli ultimi anni è quasi del 30% — in questo articolo di Gea Scancarello per Business Insider trovate i dati relativi agli anni 2010-15 — e, seppur nell’ultimo biennio le mono-librerie abbiano fatto segnare numeri molto positivi e in crescita, questa dinamica purtroppo non si è di certo fermata.
Di chi è la colpa se le librerie chiudono? La risposta non è molto piacevole, perché una parte e pure grossa della colpa di questo costante moria di librerie è dell’industria editoriale
Ma se Amazon c’entra poco, di chi è la colpa se le librerie chiudono? La risposta non è molto piacevole, perché una parte e pure grossa della colpa di questo costante moria di librerie è dell’industria editoriale.
L’aumento dei volumi di produzione, arrivati ormai a dei livelli ingestibili — 66mila novità all’anno, permanenza sullo scaffale di poche settimane, meno di 100 copie di venduto medio —, la concentrazione della distribuzione nelle mani di un solo attore e ancora, la folle politica dei resi che sta creando una gigantesca bolla che prima o poi scoppierà in faccia a tutti. Sono queste le frecce che stanno dissanguando come un san Sebastiano il corpo dell’editoria italiana e il tessuto commerciale librario del nostro paese.
Ricordiamo qualche numero: l’Italia è un paese in cui circa 6 cittadini su 10 non leggono nemmeno un libro all’anno; in cui circa il 20 per cento della popolazione — 13 milioni di persone circa — non ha accesso a una libreria; in cui la percentuale di lettori forti, vero business core dell’editoria in tutto il mondo, si abbassa sempre di più ed è ormai ridotta al lumicino. E purtroppo accusare di tutto ciò Amazon non serve.
Ribadiamolo: la decisione di e/o è di quelle coraggiose, ma per fare in modo che non sia solo il sacrificio di un singolo che, disperato dall’esito della battaglia, va a morire cercando di portarsi dietro più nemici possibili, deve essere strutturato.
Resistere ad Amazon è possibile. E anche vincere. Basta che ci decidiamo una volta per tutta a unirci prima che a dividerci; basta che cominciamo a progettare una resistenza invece che improvvisare una ribellione; che torniamo a lavorare come un organismo, tutti insieme e per il bene di tutti, piuttosto che come un’industria, in competizione gli uni con gli altri. Perché vendere libri non è uguale a vendere frigoriferi e nel farlo i librai sono ancora talmente più bravi di Amazon che se la sfida fosse realmente un campo di battaglia, contro l’arrogante Golia avremmo a disposizione un intero esercito di Davidi.