Era data per spacciata, senza idee e con una leadership antiquata. Ma l’alleanza di centrodestra è tornata a essere considerata vincente, a due mesi dalle elezioni Politiche del 4 marzo. A guardare i sondaggi, il 40% non sembra un traguardo troppo distante per Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, più qualche altra sigla minore pronta ad accodarsi. Difficile dire se questa sarà davvero la percentuale che uscirà dalle urne, e se ad essa corrisponderà anche la maggioranza dei seggi parlamentari, prospettiva complicata con l’attuale legge elettorale. Che riesca a formare un Governo o meno, un dato è però evidente: il centrodestra travolto dai guai giudiziari di Silvio Berlusconi, dalla guerra dello spread e dalla rottamazione leghista ha avuto l’improbabile occasione di rifarsi una verginità politica. E l’ha sfruttata.
Sono stati dieci anni in cui è successo di tutto. Nel 2008 sembrò essere arrivata la consacrazione definitiva del Berlusconi statista: il centrodestra aveva raccolto il 46,8% alle urne, ottenendo la maggioranza sia alla Camera sia al Senato e staccando di quasi dieci punti il centrosinistra guidato da Walter Veltroni. Il Movimento 5 Stelle era ancora un fenomeno senza contorni, per la politica. Nasceva con grandi attese, dunque, l’ultimo governo guidato dall’uomo di Arcore, con la stessa coalizione che si presenterà il 4 marzo e qualche faccia cambiata. Allora c’erano Umberto Bossi, Gianfranco Fini e Angelino Alfano, oggi ci sono Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Giovanni Toti. Tutto sommato, il perimetro dell’alleanza è rimasto uguale. L’ultima volta, però, il passo dagli altari alla polvere fu breve.
A guardare i sondaggi, il 40% non sembra un traguardo troppo distante per Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, più qualche altra sigla minore pronta ad accodarsi. Difficile dire se questa sarà la percentuale che uscirà davvero dalle urne, e se ad essa corrisponderà anche la maggioranza dei seggi parlamentari
La maggioranza di Governo si inceppò già un anno dopo. Le liti con Fini, lo scandalo del bunga bunga e il divorzio chiesto a Berlusconi da Veronica Lario logorarono passo dopo passo l’immagine del Cavaliere. Alla fine, durò tre anni e mezzo, quella stagione. A dare la mazzata definitiva al centrodestra, ci pensò la crisi finanziaria globale. Che stava diventando una crisi economica e sociale. E anche una crisi politica: nell’estate dello spread, era il 2011, l’Italia sembrava sull’orlo della bancarotta e i partner internazionali avevano già deciso di mollare Berlusconi. Persino in Italia la sensazione diffusa era che l’esecutivo di centrodestra stesse minimizzando le conseguenze della crisi sul lavoro, il risparmio, i servizi sociali. A novembre arrivò il Governo di Mario Monti, e la storia imboccò un tornante inatteso.
Sembrava tutto finito per Forza Italia. E anche per la Lega di Bossi, che di lì a qualche mese sarebbe stata coinvolta in un’inchiesta sull’uso dei rimborsi elettorali del partito, che costrinse a cambiare leadership. Da Bossi a Roberto Maroni e più tardi a Salvini. Eppure, il centrodestra è rimasto in piedi, pur con alterne fortune. Alle elezioni del 2013, a Berlusconi è riuscita quasi l’impresa di arrivare primo insieme agli alleati. Aveva rinnegato il suo appoggio alle misure di austerity del Governo Monti e promesso quello che aveva sempre promesso: la rivoluzione liberale, con meno tasse e più libertà d’impresa. Finì con un Parlamento senza una maggioranza, con le larghe intese del Governo di Enrico Letta, il Patto del Nazareno con Matteo Renzi. E, nel mezzo, persino la decadenza di Berlusconi dal Senato, per effetto di una condanna definitiva per frode fiscale, che lo rende tuttora incandidabile. Anche in questo caso, sembrava tutto finito.
Perché nel 2018 il centrodestra è, invece, tornato così rapidamente in auge con la formula di sempre? Probabilmente c’è più di una risposta. La prima è che lo storico anti-berlusconismo è finito, almeno nelle forme di massa che aveva assunto quando il leader di Forza Italia era al culmine della sua parabola. Ha fallito, probabilmente. O forse sta scontando la legge del contrappasso: con un Pd guidato da Renzi, che più d’uno ha considerato l’erede naturale dell’uomo di Arcore, tutto di colpo è sembrato normale o normalizzato. Renzi stesso è del resto una risposta alla domanda iniziale. Partito con il vento in poppa, promettendo una rivoluzione dei costumi politici e una rottamazione della vecchia classe dirigente, l’ex sindaco di Firenze ha bruciato tutta l’energia nell’arco di una legislatura. E ha deluso molti dei sostenitori iniziali che avevano tradito il centrodestra per dare una chance proprio a lui.
A dare la mazzata definitiva al centrodestra, ci pensò la crisi finanziaria. Che stava diventando una crisi economica e sociale. E anche una crisi politica: nell’estate dello spread, era il 2011, l’Italia sembrava sull’orlo della bancarotta e i partner internazionali avevano già deciso di mollare Berlusconi
Ci sono, poi, altri tre elementi che, osservandoli da un certa distanza, possono aiutare a completare il quadro. Il primo è una constatazione empirica: lontano da Roma e dalle grandi narrazioni mediatiche, il centrodestra ha continuato a vivere sul territorio. Esprimendo consiglieri, sindaci, presidenti di Regione che hanno mantenuto fede alla loro storia, pur avendo vissuto anche momenti di brucianti sconfitte (l’esperienza contro il nuovismo grillino). Il secondo elemento è che in questi anni in cui il centrodestra è stato dato per spacciato, e in pochi gli prestavano attenzione, i suoi leader hanno ricominciato a intercettare gli umori popolari, ritrovando una sintonia persa nell’ultima, decadente fase di governo. I leader giovani – Salvini e Meloni – hanno imposto anche all’anziano Berlusconi l’agenda delle priorità: il centrodestra offre soprattuto un messaggio di protezione (capacità in gran parte perduta dalla sinistra tradizionale). Protezione dalle tasse e dall’immigrazione, soprattutto. E questo è un messaggio che funziona benissimo in questi tempi di pessimismo e sfiducia, a prescindere dalla credibilità delle risposte.
L’ultimo elemento è forse decisivo, però: è che gli italiani hanno da sempre la memoria corta. Berlusconi e la Lega avranno anche fallito la loro di rivoluzione, avranno anche deluso nel momento in cui la crisi bussava alle porte del Paese e avranno abusato della pazienza popolare con i loro scandali, i loro litigi, le loro ossessioni. Ma alla fine tutto questo è accaduto sei anni fa. E dopo di loro hanno deluso anche gli altri, facendo anche dimenticare che Berlusconi ha appoggiato direttamente o indirettamente almeno tre degli ultimi quattro governi.
Potrebbe andare a finire, insomma, che la vera novità delle elezioni Politiche sarà la formula magica più vecchia della seconda repubblica.
Twitter: @ilbrontolo