Negli ultimi anni le domande e le interrogazioni sul ruolo degli intellettuali si sono sprecate, anche senza mai chiarire e riflettere sul fatto che non esiste più (o quasi) l’intellettuale organico di comunista memoria, o poi “utile idiota”, o del tutto aderente ai regimi dittatoriali o, per finire, compromesso con i potenti e i governanti del pre e dopo Tangentopoli. Anche senza mai andare a fondo delle mutate condizioni del lavoro, anche di quello intellettuale, e della nascita di nuove e inedite forme di pensare, elaborare, divulgare.
Che quel tipo (quei tipi) d’intellettuale fosse morto, travolto dagli eventi della storia, dell’economia, della politica oggi, alla vigilia del voto, lo vediamo plasticamente e in maniera monumentale e nessuno sembra sentire la mancanza di un vuoto, che probabilmente era vuoto da decenni. Non ci mancano gli appelli al voto del passato, le candidature esterne e di bandiera, i proclami e le analisi, ma, certo, oggi, gli intellettuali (termine, lo ripeto, ambiguo) sono muti, silenziosi, non hanno nulla da dire. Nemmeno sui giornali. A parte, forse, i Gomez, Travaglio e compagnia, gli ultimi intellettuali organici al partito dei cinque stelle, che, infatti, nelle televisioni e nei talk, senza immaginare che appaiono nudi come il re, interrogano indifferentemente sia i politici “nemici” sia quelli “amici” del novello stato nascente sol dell’avvenire.
E così, mentre i partiti politici e i movimenti tutti (a parte, forse, i gruppi estremi e minoritari che si presentano con qualche tensione ideale, buona o cattiva che sia) ci consegnano un elenco di indagati, collusi, impresentabili che saranno eletti grazie alla più brutta e stupida legge elettorale del mondo; mentre nessuno illustra, davvero, cosa pensa del futuro dell’Italia, dell’immigrazione, della disoccupazione; mentre si costruiscono cartelli elettorali destinati a sciogliersi come neve al sole ai primi di marzo; mentre i partiti del cosiddetto centro-sinistra si lacerano e si combattono per qualche poltrona in più e trasformano in comico-grottesco quello che è stato il dramma delle sinistre nella storia, sempre divise, in guerra tra loro e meno con gli odiati capitalisti;
Mentre al Sud quelli che per decenni sono stati definiti terroni, primitivi, bestie dalla Lega (e risentendosi elaboravano tendenze localistiche, neoborboniche ecc.) adesso si apprestano a votare Salvini, che ha ingoiato le vicende di Bossi e famiglia, si presenta con la verginità di chi cambia nemico (dai terroni interni a quelli esterni), da “razzista” leghista è diventato “razzista” nazionalista
E lo votano al Sud delle retoriche identitarie o dove, al contrario, si è praticata, con buoni esiti, dal basso una ragionevole accoglienza e lo votano, guarda tu, in Calabria, proprio con gli eredi o gli ex “boia chi molla”; mentre gli infanti prodigi Di Maio e Di Battista si accorgono, con considerazioni banali, degli aspetti deteriori della natura e dell’animo umano e fanno finta di non capire che chi “ruba” in famiglia potrebbe molto di più rubare in società e chi trucca i conti e i bonifici per mille Euro genera sospetti di possibili furti miliardari (all’occorrenza); mentre assistiamo al trasformismo e al cambio di casacca preventivo e i rinnegati ed espulsi grillini, che avevano urlato a onestà, pulizia, giustizia, firmato un programma, sono pronti a transitare dalle parti di chi avevano detestato e per cui erano scesi in politica e accettano un programma opposto a quello da loro firmato anche con penale; mentre nelle piazze, nelle città, nei paesi si assiste a scontri tra gruppi estremisti e sembra essere tornati agli anni bui della guerra tra i fascio e i comunisti; mentre qualcuno definisce responsabili le vittime (vedi Macerata) e non i carnefici; mentre proclamarsi fascista o antifascista è diventato normale e serve a nascondere altri interessi in gioco; mentre la democrazia sembra in pericolo vero e non solo per l’astensionismo; mentre quelli che al Referendum hanno con il no proclamato di amare la Costituzione adesso dimenticano che quella Carta era nata contro ogni fascismo, dittature, violenze; mentre il fascismo (non quello storico), ma quello ideale, retrotopico, il clientelismo, le candidature di indagati, massoni, collusi, mafiosi, corrotti (dovunque ed è inutile, come fa Travaglio, fare il conto di dove si trovano in maggior numero, tanto la bocca diventa amara anche se mangi solo un lupino amaro) sono state sdoganati; mentre nessuna forza politica dice chiaramente cosa farà in Europa, in politica estera, sul Medioriente, sulla questione palestinese, per il Sud, l’immigrazione, le aree interne e desertificate; mentre nessuno ci dice come, davvero, con un progetto convinto e chiaro, contrastare le mafie e lo svuotamento dei paesi; coniugare solidarietà e sicurezza; accoglienza e senso comunitario;
Gli intellettuali (i commentatori, i professionisti) – con le dovute, esemplari eccezioni tacciono, non si pronunciano, non fanno dichiarazione di voto – e va bene, ma nemmeno una ragionata, liberatoria, astensione o un’analisi e delle proposte mirate, concrete, anche a futura memoria. Per dibattere in maniera seria anche dopo la scadenza elettorale
Che la politica debba separarsi dalla “religione”, non significava certo che poi doveva invadere tutta la società, la vita pubblica, le coscienze e non significava rinunciare al senso etico, morale, sacro, religioso del “fare politica”. Per contrastare il “moralismo” si è cancellata la morale. Per polemizzare col giustizialismo si è tolta speranza alla Giustizia. Per contrastare le retoriche dell’antimafia si rinuncia a ogni lotta vera e seria alle mafie. Nessuno lo dice, lo scrive, chiede conto al partito che magari poi vota. Certo, possiamo turarci il naso, ma non rinunciare alla libertà di dire, all’assunzione di responsabilità perché dopo il naso ci chiederanno di chiudere gli occhi, la mente, il senso civile e morale.
Anche gli “intellettuali” soffrono la crisi, sono disgustati, non se la sentono di scegliere il meno peggio; certo ci sono tante attenuanti per il loro silenzio, ma la sensazione è che il loro silenzio sia interessato, calcolato, dettato da troppe paure e troppe premure. L’intellettuale, come diceva Alvaro, però, sembra avere rinunciato; arretra, attende, aspetta un giro. Non sa chi vincerà o meglio sa che non vincerà, del tutto, nessuno e, allora, meglio attendere, tutti hanno famiglia, libri da pubblicare, Festival da dirigere, Musei da aprire, chiacchiere e distintivi da promuovere. Quando vincere non puoi, dice un nostro proverbio, cerca “appattare”, cerca di fare pari. Poi, ci sarà la partita di ritorno.
Perchè sbilanciarsi? E nella convinzione che tutte le forze politiche finiranno col perdere o col non vincere in maniera definitiva, perde l’Italia. L’Italia dei saperi, degli uomini e delle donne libere, di chi avrebbe il diritto e dovere di dire la sua. E i calcoli e la paura degli intellettuali sono un altro segno di un’omologazione, di una decadenza, di un “neo-fascismo” o di una crisi della democrazia (oltre che dei partiti e dei movimenti ormai come i partiti) ch fanno parte del nostro vivere quotidiano.