“La sinistra italiana? Deve superare il passato, e riunirsi”

L'economista britannico che piace alla sinistra radicale, Paul Mason, autore di "Postcapitalismo" e vicino al Labour di Jeremy Corbyn ha qualche consiglio da dare ai partiti della sinistra italiana. Perché se non si inventano un modo per superare il capitalismo, lo farà la destra

Sono passati circa due anni da quando il suo saggio Postcapitalismo è stato tradotto in italiano dal Saggiatore e il futuro che l’economista britannico Paul Mason, un simpatico 58enne con accento di Manchester invitato nei giorni scorsi alla Fondazione Feltrinelli, aveva descritto in quelle pagine non è ancora tra noi. Quel che è cambiato, da quell’inverno del ’16, è che Mason nel frattempo ha fatto due anni di esperienza nel partito laburista britannico, guidato da Jeremy Corbyn e, non avendo cambiato convinzione sul fatto che dal capitalismo dobbiamo trovare un’uscita, ha maturato nuovi consigli per i partiti di sinistra. Perché se nel frattempo tante cose sono cambiate, tra tutte la vittoria di Donald Trump e l’inizio della procedura di uscita del Regno Unito dall’Unione europea, ce n’è una che sembra sempre più vera: se la sinistra non si inventerà qualcosa, lo faranno i partiti di destra populista e xenofoba.

Vorrei iniziare col chiederle un parere su un libro che in Italia è da poco disponibile, dopo dieci anni quasi, la traduzione di Realismo Capitalista, un saggio in cui il filosofo britannico radicale Mark Fisher tratteggia lo scenario in cui siamo finiti sostenendo che lo scacco matto del capitalismo alla società sia stato riuscire a convincerci che non esistano alternative. Cosa ne pensa?
Mark Fisher è stato un critico culturale molto perspicace e aveva perfettamente ragione quando disse che il capitalismo nel suo funzionamento di oggi sembra assolutamente trasparente, tanto da far sembrare quasi stupido chiedersi come funzioni. È il risultato di quando il capitalismo incontra l’epoca del liberismo tecnologico: diventa in qualche modo “anti teoretico”, nel senso che non ha più bisogno di alcuna teoria che spieghi perché e come funziona. Semplicemente esiste. E su questo Fisher ha avuto una ottima intuizione.

Che cosa significa che “semplicemente esiste”?
Che non gli serve una teoria su cui appoggiarsi, che spieghi perché gli stati sono legittimi, per esempio, o che ne descriva e regoli il comportamento. E così, circa duemila anni di esercizi teorici della società occidentale sarebbero diventati ridondanti, inutili, e la domanda “Perché il mondo funziona così?” diventerebbe sostanzialmente una domanda inutile. Io credo che però Fisher su una cosa avesse torto.

Su cosa?
Sbagliava a partire dal presupposto che questa fase del neoliberalismo e del capitalismo fosse una condizione immutabile e irreversibile, che poi è quello che diceva Foucault. Ipotiziamo che il sistema fosse saltato in aria totalmente nel 2008. Tutto sarebbe diventato di nuovo possibile e tutte le domande prima irrisolte sarebbero tornate d’attualità. E infatti, visto che ciò che mancò nel 2008 invece accadde nel 2011 e fu proprio l’esplosione delle proteste, proteste che videro scendere in strada gente che chiedeva una risposta a una serie di domande del tipo: “Perché il mondo funziona così?”; “Perché ci sta distruggendo la vita?”; “Perché dobbiamo pagare soldi che non abbiamo per mandare nostri figli all’Università?”. In quel momento divenne possibile immaginare la fine del capitalismo.

E quindi?
Quindi non credo che siamo veramente intrappolati in un sistema economico che crea la sua stessa inevitabilità. Il problema vero credo che sia che la sinistra è stata troppo lenta fino ad ora nel pensare e nel costruire una reale alternativa e ha lasciato spazio alla destra xenofoba e nazionalista permettendo a quegli schieramenti di apparire come rivoluzionari e contro il sistema.

Lei dice che la sinistra è stata finora troppo lenta nel reagire, quanto tempo abbiamo ancora per poterlo fare?
Io credo che per buona parte del mondo ci sia ancora tempo. Probabilmente è finito il tempo a disposizione dei partiti social democratici per capire che non c’è futuro nel neoliberalismo. È ora di capire che devono smettere di difenderlo e, contemporaneamente, che la devono smettere di attaccare i partiti di sinistra come se quella sinistra fosse il vero problema. Questo sta ancora accadendo dentro il PSOE spagnolo, ma anche dentro il partito socialdemocratico tedesco o il PD italiano, ma devono smetterla.

Cosa sta dimostrando l’esperienza di Corbyn nel Regno Unito?
L’esperienza di Corbyn — e in parte anche quelle di Melenchon e di Sanders — sta dimostrando che se effettivamente inizi ad attaccare il neoliberalismo ti accorgi che rompere il suo discorso anche solo a livello retorico in questo momento è addirittura più importante di avere le risposte e le alternative immediate. Diciamo le cose come stanno, in questo momento il labour inglese è guidato dal politico più radicale dell’intera sinistra europea e se quel partito, guidato da quel personaggio, ha ottenuto più di 40 milioni di voti alle ultime elezioni è perché la sua posizione radicale è estremamente chiara.

E sulla Brexit?
Per quanto riguarda la Brexit, la sinistra britannica ha dovuto accettare una delle vittorie del nazionalismo, perché la Brexit è stata una vittoria della destra anti global. Ma davanti a quella vittoria non abbiamo detto, come partito laburista, che avremmo sabotato il processo o che avremmo cercato di tornare indietro, perché fare ciò avrebbe comportato rompere il nostro legame con gran parte della working class che ha votato per la Brexit e non ce lo potevamo certo permettere. Qualcuno ha votato la Brexit spinto da motivi nazionalisti, qualcun altro però spinto da motivi addirittura progressisti, ma la maggior parte l’hanno votata spinti da motivi xenofobi. Il punto è che hanno vinto e noi abbiamo bisogno di ricalibrare la nostra politica alla luce di questo fatto. Se questa è la cosa peggiore che vivrà il Regno Unito la cosa mi solleva, perché ci saranno tantissime altre cose, e molto peggiori, che vivremo se la sinistra se ne sta semplicemente con le mani alzate per cercare di opporsi alla xenofobia.

In Uk, ma anche in Spagna e Francia, esistono partiti di sinistra con un peso elettorale importante, intorno almeno al 20 per cento. Tra una settimana voteremo anche in Italia e ancora una volta la sinistra si presenterà a pezzetti, alcuni dei quali — Liberi e uguali e Potere al popolo — lottano per il 3 per cento. Come facciamo a costruire qualcosa se i presupposti sono questi?
Ogni partito di sinistra europeo deve confrontarsi contro il fantasma del proprio stesso passato. Corbyn l’ha fatto, così come l’ha fatto Podemos di Pablo Iglesias in Spagna. Iglesias ha capito una cosa, che se Podemos voleva restare legato ai temi come la guerra civile spagnola, se voleva attaccare la chiesa e se voleva parlare della questione basca, sarebbe restato al 3 per cento. Quello che ha fatto è stato dire al suo partito di smettere di inseguire le ossessioni storiche della sinistra spagnola e ripartire dalle ossessioni degli elettori della sinistra spagnola, ovvero, per esempio, la questione del lavoro giovanile, della politica dell’abitare e molti altri temi che toccano da vicino la gente in questi anni. Facendo così, Podemos è passata dal 3 al 17-20 per cento.

Quindi qual è il problema della sinistra italiana?
Credo che non abbia ancora compreso questa cosa. La sinistra italiana ha diversi punti forti su cui può contare. Ha avuto una presenza istituzionale molto buona negli ultimi anni e amministra alcune delle più importanti città italiane. Ha tra i suoi problemi però quello di essersi fatta rubare un bel po’ di voti dal Movimento 5 Stelle, a cui ha lasciato troppo spazio da riempire negli ultimi anni.

Che condizioni servirebbero per poter avere un ruolo veramente importante?
Per prima cosa, che il centro la smettesse di attaccare la sinistra, e, secondo, che la sinistra stessa iniziasse a pensare al Movimento 5 Stelle come possibile alleato invece che come principale nemico, anche se so che questa è considerata una specie di eresia da molti qui in Italia. Un’altra cosa che dovrebbe fare la sinistra italiana è superare le divergenze istituzionali interne. Per esempio, prendi Potere al Popolo e Liberi e Uguali sono entrambe formazioni appena nate. La prima è figlia dell’estrema sinistra, mentre la seconda sembrerebbe più simile alla sinistra riformista di Corbyn. Forse dovrebbero mettere da parte le differenze e costituire un fronte comune. Sarebbe una tragedia e uno spreco per me se il risultato di tutto ciò fosse soltanto la nascita di un paio di piccoli partiti marginali di sinistra.

Perché?
Perché le premesse della tua domanda di prima sono molto giuste: hai ragione, il tempo a disposizione è limitato. La sinistra ha bisogno di essere creativa, inventarsi qualche strategia e, come dicevo prima, un nuovo tipo di retorica. Poi, se sarà capace di lasciarsi dietro le beghe istituzionali tra le sue sottoparti, allora il 20 per cento diventerà una quota raggiungibile.

E una volta al 20 per cento?
A quel punto dovrà fare come ha fatto Corbyn: affrontare i vecchi fantasmi e trovare il modo di parlare al 40 per cento.

E se quel 40 per cento si fa tentare dal populismo razzista della destra, penso per esempio al tema dell’immigrazione?
Io personalmente credo che si debba provare a parlare con tutti, chiaramente senza mollare un centimetro agli xenofobi o ai razzisti, ma se la working class è attraversata da quei pensieri è meglio dialogarci che limitarsi a stigmatizzare. Non dobbiamo avere paura. D’altronde, se vuoi stare sul territorio ti ritroverai a confrontarti con i razzisti e con gli xenofobi idee, per forza. Quello che non bisogna fare è una guerra culturale, perché come diciamo in Inghilterra, “la bugia ha già fatto il giro del mondo quando la verità salpa per andare a cercarla” e l’ignoranza purtroppo prolifera e si diffonde cento volte più veloce della conoscenza.

E quindi cosa dobbiamo fare?
Dobbiamo fare la guerra all’ignoranza sul suo campo da gioco, questo non vuol dire fare una guerra culturale totale, ma magari fare battaglie su alcune singole tematiche che possono arrivare a qualche risultato concreto. Se anche non possiamo far funzionare il capitalismo, almeno possiamo provare a far funzionare la social democrazia in alcune parti del mondo, almeno su alcuni temi specifici. So che non suona molto idealista come posizione, ma è quello che ho imparato dal mio impegno con Corbyn.

Qual è la forza di quel progetto?
Il progetto di Corbyn è una socialdemocrazia radicale che vuole prendere il controllo dello stato e regolamentare il capitalismo. Questo è il progetto che, per le elite britanniche, suona come un atto più rivoluzionario della rivoluzione stessa, perché il solo fatto che quello che una volta era il partito dei lavoratori con le sue battaglie per la progressività dei salari possa prendere il potere e il controllo dello Stato gli fa molta più paura del leninismo in sé. Per questo attaccano Corbyn come se fosse un terrorista, tanto che l’ultima e più pazza idea che si sono inventati è che sia stato in passato una spia al soldo dell’Unione Sovietica.

Se il tempo e la politica non dovessero bastare, avremo il diritto di combattere?
La sinistra europea deve fare i conti con il proprio passato, rigettare gli atteggiamenti leninisti, bolscevici e giacobini e accettare la lezione di più di trent’anni di sviluppo del mondo occidentale e dei diritti umani in Europa e in America. Ma effettivamente contro il razzismo e il fascismo abbiamo tutto il diritto di combattere, certamente, usando tutte le armi a nostra disposizione.

Per esempio?
Quando il popolo italiano andrà a votare per le elezioni europee del 2019, se la Polonia e l’Ungheria saranno ancora governate dagli attuali governi, quelle saranno allora delle elezioni decisive. Sai perché? Perché nel parlamento europeo potrebbero ritrovarsi anche membri polacchi e ungheresi che fanno parte di governi ritenuti una minaccia per i valori fondativi dell’Europa. Lì dovremo decidere cosa vorremo fare davanti a questa minaccia, e c’è una legge, l’articolo 7 del Trattato di Lisbona (già attivata a dicembre nel caso della Polonia), che consente di togliere il diritto di voto all’interno delle istituzioni europee a paesi che non rispettano i valori europei. È questo, piuttosto che il metodo dei bastoni e delle pistole, quello che le socialdemocrazie europee devono fare per affrontare il fascismo nuovamente emergente, un fenomeno che i partiti socialdemocratici e liberali dovrebbero affrontare seriamente.

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