Cosa vuole davvero Maroni, il leghista che preferisce Berlusconi a Salvini

Fra una settimana lascerà la guida della Lombardia, ma l'ex leader continua a dire la sua: no a un governo coi 5 Stelle, meglio le larghe intese. Spiega che tornerà a fare l'avvocato e che attraverserà l'Atlantico in barca. Ma coltiva la sua rete, anche a sinistra

A leggere le cronache, guardano a lui più quelli di Forza Italia che non i leghisti. Accade persino da sinistra. E anche questo rende difficile capire che cosa farà in politica (se lo farà) Roberto Maroni nella sua nuova vita. L’ex segretario della Lega Nord (la chiamava ancora così) resterà presidente della Regione Lombardia per una settimana, poi passerà la mano al compagno di partito (e varesino come lui) Attilio Fontana. Ha detto che rimarrà impegnato ma non avrà più incarichi istituzionali in una stagione in cui fatica a riconoscersi. Però Maroni dimostra di essere anche una figura incombente sul centrodestra concentrato nella difficile capitalizzazione del risultato delle elezioni del 4 marzo. Per esempio, ieri da Lucia Annunziata ha sostenuto che sia impossibile un’alleanza fra Lega e Movimento 5 Stelle, avvertendo il suo successore Matteo Salvini che forse è meglio aspettare un altro giro per reclamare la guida del governo. Altrimenti, secondo il governatore uscente, rischia di saltare il centrodestra anche a livello locale. Parole che non sono piaciute ovviamente dalle parti del leader leghista, ma che confermano una certa attenzione attorno alle mosse maroniane.

Ma che cosa vuole fare, in definitiva, Maroni? Per rispondere bisogna mettere in fila gli indizi gettati sulla strada dal diretto interessato, sapendo però che non sarà sufficiente. A volte sono segnali indicativi, altre volte sono stati lasciati apposta per confondere gli inseguitori. Da quando ha annunciato il suo passo di lato l’8 gennaio scorso, rinunciando alla ricandidatura in Lombardia, Maroni ha detto di volersi iscrivere nuovamente all’Ordine degli avvocati. Non più a Varese, ma a Milano. Per difendere, ha spiegato, le vittime della malagiustizia, fra le quali ha annoverato Giuseppe Orsi, ex presidente di Finmeccanica. Ma anche per sfruttare i suoi contatti per aiutare le imprese a fare business in Italia. Di sicuro, ha escluso di pensare a una fondazione. In altre occasioni, Maroni ha parlato di impegni meno formali. Per esempio, al quotidiano Varesenews ha spiegato che dal 25 novembre al 15 dicembre parteciperà a una traversata oceanica in barca, da Tenerife alla Martinica. Visitando il Museo dell’Alfa Romeo, ad Arese, in uno dei suoi ultimi impegni pubblici, ha invece annunciato che nel 2019 prenderà parte alla Milano-Dubai in coppia con il pilota Arturo Merzario. Obiettivo, portare all’Expo del 2020 l’Albero della Vita dell’Expo del 2015. Di tutti gli impegni, però, uno solo è già ufficialmente iniziato: Maroni è diventato membro del Cda della Triennale di Milano. In rappresentanza della Regione.

La politica, però, Maroni non la abbandona. “E’ una passione che non ti lascia mai”, ripete a tutti gli interlocutori curiosi di conoscere il suo futuro.

Secondo il governatore uscente, rischia di saltare il centrodestra anche a livello locale. Parole che non sono piaciute ovviamente dalle parti del leader leghista, ma che confermano una certa attenzione attorno alle mosse maroniane

A 63 anni, l’ex vicepremier, ex ministro dell’Interno e del Lavoro, ex segretario della Lega e, a questo punto, ex presidente della Lombardia, vuole ritagliarsi un ruolo di osservatore interessato. Vuole dire la sua, senza essere impegnato in prima persona nel Palazzo, perché sa che questa è stagione adatta ai giocatori di poker, non agli ingegneri politici. Come ha fatto ieri mandando un avviso a Salvini contro un’alleanza di governo con il partito di Luigi Di Maio. E dicendo quello che il suo giovane successore non vuole proprio sentirsi dire: lo sbocco per tornare a elezioni entro un anno potrebbe essere quello di un governo di larghe intese. E’ una mossa che più d’uno ha letto come ispirata dal solido rapporto fra Maroni e Silvio Berlusconi. Non è un mistero che i due si sentano, si vedano, si consultino da sempre (“Hanno senz’altro un accordo”, è andato a dire Umberto Bossi per tutta la campagna elettorale). Motivo per il quale a gennaio si era pensato persino a un Maroni candidato in pectore di Berlusconi a prendere il posto di Salvini come futuro premier. Ipotesi smentita e resa poi impraticabile dall’esito del voto: con una Lega che ha sopravanzato Forza Italia di tre punti, è diventato Salvini e non Berlusconi ad avere la responsabilità di condurre i giochi. La vera domanda è: ci riuscirà?

Sia Berlusconi sia Maroni credono che la risposta sia no. Almeno è questo che emerge dalle parole pronunciate o fatte trapelare in queste settimane. Entrambi, per esempio, ritengono che un abbraccio coi 5 Stelle sia esiziale per il progetto del centrodestra. Soprattutto entrambi, a dispetto della facciata, hanno ottimi rapporti con il mondo Pd. Berlusconi con Matteo Renzi, per il tramite di Gianni Letta ma anche di Denis Verdini. Maroni sempre con Renzi ma anche con Paolo Gentiloni e Andrea Orlando: in una intervista al Foglio pubblicata subito dopo il suo passo di lato, ha colpito non solo l’attacco del governatore uscente a Salvini (bollato come stalinista) ma anche il racconto di una lunga telefonata con l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Maroni coltiva contatti. E scrive: sempre sul Foglio, quotidiano di area renziana, tiene da quasi due mesi una rubrica settimanale, intitolata Barbari Foglianti. Esce ogni martedì. Anche in questo caso, Maroni ha seminato indizi indicativi o svianti. Ha subito preso le distanze dal messaggio grillino, sostenendo che i 5 Stelle sono incapaci di governare. Ha detto in varie riprese a Salvini (più o meno direttamente) di avere più coraggio, di non cancellare i prefetti, di non abbandonare la strada del federalismo, di non candidare i neofascisti. Ma ha anche invitato la sinistra a ripartire da Enrico Berlinguer, auspicando il ritorno alla politica del rispetto reciproco.

Maroni coltiva contatti. E scrive: sempre sul Foglio, quotidiano di area renziana, tiene da quasi due mesi una rubrica settimanale, i Barbari Foglianti. Esce ogni martedì. Anche in questo caso, Maroni ha seminato indizi indicativi o svianti

Fra le righe, ogni settimana, c’è chi ha letto una candidatura di Maroni a qualcosa. Alla leadership del centrodestra, al ministero della Giustizia, magari nella nuova Commissione Ue nel 2019 o ancora alla premiership di un’alleanza che guarda al centrosinistra, ipotesi tramontata il 4 marzo ma rispolverata in queste ore dopo le dichiarazioni del governatore uscente in tv. Nessuno ci ha ancora azzeccato, forse nemmeno Maroni sa come andrà a finire. E sta alla finestra a guardare le mosse degli altri: se avrà ancora un ruolo, dipenderà dagli errori degli altri. Altrimenti, dovrà stare fuori per davvero. Perché tutti, in fondo a ragionamenti e calcoli politici, devono fare i conti con qualcosa di molto testardo: i numeri. E la Lega, con lo storico 17,4%, appare saldamente in mano a Salvini. Che è l’unico ad avere i voti. E che quest’anno non ha ricandidato gli ultimi due colonnelli maroniani, Gianni Fava e Gianluca Pini, senza sconquassi. Si dice che il principale nemico interno di Maroni non sia tanto Salvini quanto i fedelissimi del segretario che in questi giorni sbarcano in Parlamento a gustarsi la loro stagione. E lo sia anche Giancarlo Giorgetti, la figura di raccordo con le istituzioni che nel partito ha soppiantato Maroni (un duello fra gente di Varese), al quale ha predetto un futuro da padre nobile come Romano Prodi nel centrosinistra. Non proprio una bella prospettiva, visto come se la stanno passando nel Pd.

Maroni ormai, in via Bellerio, sarebbe dunque guardato come un corpo estraneo, una suggestione mediatica, anche perché i suoi collaboratori stretti e confidenti non sono militanti del partito: in queste settimane basta essere troppo associati a lui per non ottenere un posto, per esempio, nella prossima Giunta regionale di Fontana. E poi c’è Berlusconi, il cui partito perde consenso e compattezza, subisce la tentazione della nuova leadership salviniana e cerca di rifugiarsi nell’esperienza, guardando a una successione che prima o poi sarà necessaria. Bisogna vedere come andrà a finire la trattativa per il governo, se ci saranno vincitori o sconfitti. Viene da pensare, alla fine: e se il futuro politico di Maroni non fosse più in un ruolo istituzionale ma nemmeno sotto le insegne della Lega?

Twitter: @ilbrontolo

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