Ingmar Bergman: il vampiro del cinema mondiale

Dall'amore incestuoso con la sorellastra Ingrid, all'ossessione per Kafka. A cento anni dalla sua nascita, esce l'opera che racconta tutte le perversioni di un genio

Nella stessa pagina. Walt Disney. Un pinguino. L’impossibile. Le baccanti. Forse soltanto lui sa tenere insieme l’inconciliabile, nel suo continuo conciliabolo con gli orrori, esteta nello scavare l’uomo con unghie di selce, con spietatezza che ride. Un tempo Ingmar Bergman si vedeva e si leggeva in tutte le salse. Con una specie di malmostosa venerazione.Poi l’epoca delle idee – più che delle ideologie – s’è volatilizzata, sostituita dall’era dello svacco. Al posto del Posto delle fragole s’è affacciato Drive In e Colpo grosso, a Fanny e Alexander e Persona preferiamo l’Isola dei famosi e l’epica post-erotica di YouPorn. Voglio dire. 100 anni dopo – Ingmar Bergman nasce nel luglio del 1918 – il grande regista svedese, tra i cinque-sei titani della cinematografia mondiale (gli altri sono: Fellini, Kurosawa, Tarkowskij, Hitchcock, Kubrick), che ha costruito il conturbante e castrante immaginario di un paio di generazioni, pare morto definitivamente. Lo consultano i cinefili, lo snobbano i deficienti, non si vede più in tivù, dove bisognerebbe inaugurare una campagna per il buon costume estetico (ma perché non proiettano più i grandi film in prima serata?). Eppure, in Lanterna magica – stampa Garzanti, autobiografia di Bergman, di scintillante bellezza – Bergman tiene insieme gli inconciliabili. “Vidi molti anni fa un cartone animato di Walt Disney che raccontava la storia di un pinguino che voleva andare nei mari del sud. Finalmente si mise in viaggio e arrivò su un’isola coperta di palme, nel mare caldo, azzurro. A una palma inchiodò fotografie dell’Antartide. Sentiva nostalgia di casa e si mise diligentemente all’opera per costruirsi una nuova barca e ritornare indietro. Io sono come quel pinguino… Voglio essere fastidioso, irritante e indefinibile. L’impossibile è troppo attraente, e io non ho niente da perdere. Non ho nemmeno niente da guadagnare, a parte il gentile plauso di qualche giornale… Le baccanti testimoniano il coraggio di spezzare le forme”. Genio nella volgarità e nel sublime, nel superbo e nel superiore.

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