Se c’è qualcosa della sconfitta di Matteo Renzi che deve far riflettere i nuovi leader vincitori delle elezioni del 4 marzo, è la rapidità con cui si è consumata la sua leadership. Nella prima repubblica, le parabole politiche si misuravano nel corso di intere generazioni, nella seconda Silvio Berlusconi è riuscito a stare in sella per un buon ventennio, ma è sulla soglia della terza repubblica che pochi anni possono bastare per innalzare grandi promesse e farle ricadere nella polvere. Un messaggio per Luigi Di Maio e Matteo Salvini? Sì, risponde Mauro Calise, docente di Scienza politica all’Università di Napoli Federico II, che ha dedicato lunghi studi alla cosiddetta democrazia del leader, naturale evoluzione della personalizzazione dei partiti. “L’Italia è difficile da governare perché rappresenta un’eccezione in Europa – spiega Calise a Linkiesta -: alla personalizzazione dei partiti non corrisponde una personalizzazione istituzionale. Quello che accade, per esempio, in Francia”. Fuori dalla campagna elettorale, insomma, il grande potere mediatico-elettorale dei leader non trova sbocco nella capacità di manovrare il potere. I leader italiani appaiono indiscussi nei loro partiti, non così una volta entrati a Palazzo Chigi. “Ma Di Maio e Salvini – sottolinea il professore – un vantaggio lo hanno: non sono di sinistra, non sono circondati da fratelli-coltelli”.
Partiamo da quello che sta accadendo in questi giorni in cui tutto sembra cambiare. Renzi sconfitto, Berlusconi quasi, e in ascesa vediamo Di Maio e Salvini, che finora non hanno avuto esperienze di governo. Che cosa ci dice tutto questo, dal punto di vista della democrazia del leader?
Ci dice che c’è un’alternanza di leader più rapida del previsto. Il primo approccio italiano alla democrazia del leader è stato con Berlusconi, un approccio duraturo anche per mancanza di alternative. Ci aveva provato anche Prodi, ma attorno a lui c’era sempre l’oligarchia post-comunista pronta ad accoltellarlo alle spalle. Dopo Prodi, c’è stato Veltroni, ma è durato poco. E poi è arrivato Renzi.
Ecco, Renzi.
Qualche anno fa, se mi avesse telefonato, mi avrebbe chiesto quanti decenni sarebbe durata la sua parabola. E invece la prima notizia è che la parabola di Renzi è scesa con la stessa rapidità con cui era salita appena pochi anni fa.
Questo che cosa suggerisce davanti a Di Maio e Salvini?
È una domanda certamente da porsi, alla luce di quello che è accaduto con Renzi. Ma bisogna tenere presente che Di Maio e Salvini sono diversi. Guardiamo un attimo indietro. Berlusconi, tutti sapevano chi fosse. E anche di Renzi si sapeva da dove venisse, aveva comunque un pedigree politico conosciuto. L’origine del potere di Di Maio è invece oscura, perché è un leader per investitura di qualcun altro, che poi è il duo Casaleggio-Grillo.
Non ha una sua autonomia?
No, non ha una sua autonomia, potrebbe trovarsi a ruzzolare giù con la stessa rapidità con cui si è trovato al vertice, anche per la fragilità della struttura del Movimento 5 Stelle. Certo, bisogna dare atto a Di Maio di avere buone doti di navigatore.
E invece Salvini? Diceva che i due sono diversi.
Salvini, a differenza di Di Maio, ha una sua storia, ha dietro di sé un partito strutturato e che è sempre stato abituato a una leadership forte. La Lega, sin dai tempi di Bossi, è abituata ad avere un capo. Che è poi quello che non riesce a fare la sinistra. E poi la Lega ha anche più esperienza governativa e maggiore insediamento sociale dei 5 Stelle.
Fuori dalla campagna elettorale, il grande potere mediatico dei leader non trova sbocco nella capacità di manovrare il potere. “Ma Di Maio e Salvini – sottolinea il professore – un vantaggio lo hanno: non sono di sinistra, non sono circondati da fratelli-coltelli”
Ma perché la parabola di questi nuovi leader rischia di essere sempre più rapida?
Perché non ci sono più i partiti tradizionali ma sono partiti personali.Dipende solo da questo?
Dipende anche dall’abilità dei singoli leader. Guardiamo a Renzi: qualche anno fa erano tutti convinti che fosse un drago, e invece non lo era. Renzi ha avuto qualità di leadership, su questo non c’è dubbio, ma ha anche commesso errori gravi. Ma poi c’è un’altra questione: l’Italia è difficile da governare perché rappresenta un’eccezione in Europa, in Italia alla personalizzazione dei partiti non corrisponde una personalizzazione istituzionale. Quello che accade, per esempio, in Francia.Quindi si può dire che questa iper-personalizzazione della politica non può reggere fuori dalla campagna elettorale?
Balla, è ballerina, sì. E sono ballerini, in questo senso, anche Di Maio e Salvini.E che cosa dovrebbero evitare per fare la fine di Renzi?
Beh, innanzitutto Di Maio e Salvini hanno un vantaggio: non sono di sinistra, non sono circondati da fratelli-coltelli. Però non è facile dare consigli, perché l’equivoco in cui tutti cadono è di pensare di gestire in maniera collegiale leadership che sono personali. È come voler andare in macchina a piedi”.Fuor di metafora?
Se si troveranno a dover fare un governo, sia Di Maio sia Salvini potrebbero dover fare un passo indietro. Ma di chi potrebbero fidarsi, se non di loro stessi? Una situazione difficile. E qui torniamo a quello che dicevo prima: alla democrazia del leader, per funzionare, serve un ancoraggio istituzionale. Questi leader di oggi vogliono essere primi in tutto ma sono costretti a vivere di rendita dal partito, e non riescono a governare. Il vero nodo è il rafforzamento dell’Esecutivo, anche se abbiamo visto che il povero Renzi è caduto su una riforma costituzionale che, pur non facendo questo, è stata accusata di rappresentare una deriva autoritaria…Ma, secondo lei, Renzi tonerà ancora in auge in futuro o queste leadership si bruciano una volta sola?
Adesso è difficile, però è possibile che accada. Perché Renzi avrebbe le risorse per farlo. Dipende se riuscirà a studiare meglio i suoi errori.Professore, parliamo di politica ma in fondo ormai parliamo di strategie di comunicazione. In tutto questo discorso sulla rapidità delle leadership, quanto conta la comunicazione?
Tutto, la comunicazione conta tutto. E lo si poteva riconoscere già dieci anni fa. Ma sia i politici sia i giornalisti non lo hanno capito subito. Si è pensato finora che bastasse parlare di programmi, ma a promettere questo o quest’altro sono capaci tutti. Le leadership che abbiamo davanti seguono una logica distruttiva, la logica di una battuta secca su Twitter, non la logica costruttiva di un programma.Twitter: @ilbrontolo