Il fisco? «Bisogna abbassare le tasse, ma la flat tax è un rischio troppo forte». La burocrazia? «Il potere dei giuristi deriva dalla capacità di scrivere leggi incomprensibili». L’euro? «Uscire ora sarebbe un errore, ma non si può negare che ci abbia provocato anche difficoltà». L’economista Carlo Cottarelli parla dei problemi dell’Italia. Senza limitarsi a comprenderne le cause, ma provando «a capire come si potrebbe uscire dall’impasse in cui il Paese sembra essere precipitato». Lo fa in qualità di ospite di Redazione Finanza, ciclo di incontri organizzato dalla società di consulenza finanziaria Moneyfarm e Linkiesta, in cui ha dialogato con il fondatore di Moneyfarm Paolo Galvani e con il direttore de Linkiesta Francesco Cancellato.
Il dibattito prende il via dall’ultimo libro dell’ex commissario alla spending review I sette peccati capitali dell’economia italiana. Il primo? Il fisco. L’evasione, ma pure il costo (eccessivo) del lavoro. «Il livello di tassazione dovrebbe essere più basso, perché dall’entrata nell’euro abbiamo un problema di competitività, soprattutto rispetto alla Germania». La soluzione sarebbe ridurre le tasse e il cuneo fiscale. Obiettivi, secondo Cottarelli, da raggiungere senza aumentare le spese. Per questo la flat tax non sarebbe la soluzione. «L’idea alla base è che riducendo le aliquote si riduca anche l’evasione. In alcuni Paesi questo ha funzionato, in altri no. Non c’è un’evidenza empirica di successo. E per l’Italia, il rischio sarebbe molto forte».
Come fare dunque? «Le coperture si possono trovare riducendo l’evasione (aliquote più basse, ma pagate da tutti) e limitando la spesa pubblica». I segnali positivi non mancano: l’evasione fiscale, negli ultimi anni, è scesa. E fino al 2014, in un momento di crisi in cui sarebbe normale una tendenza all’aumento, il tasso di evasione dell’Iva è rimasto stabile, intorno al 27%. «Nonostante questo, rimaniamo sopra la media Ue (12%), e impallidiamo davanti a Paesi come la Svezia (1%)», puntualizza l’economista.
Un altro dei “peccati italiani” individuati da Cottarelli è il peso della burocrazia. Che non può essere risolto semplicemente informatizzando i servizi: «Se un sistema è troppo complicato, lo rimane anche automatizzando i processi». L’eccessiva burocratizzazione tocca diversi aspetti. Ci sono i costi diretti, per cui esiste una stima ufficiale: le Pmi, per compilare moduli, spendono 31 miliardi di euro l’anno. Una cifra enorme. Poi, c’è il peso della lentezza del processo burocratico, che grava sulle imprese, ne riduce la competitività e ha conseguenze negative sulle scelte di chi ha un’attività. «Il costo di questa lentezza è difficile da calcolare, ma gli indici della Banca mondiale ci dicono che siamo al 46esimo posto al mondo. Andando sul concreto: Grom per aprire le sue gelaterie a Tokyo ci ha messo un anno, a Roma 7», spiega Cottarelli. L’unica strada è semplificare. «Non sono per un mondo senza regole. Le leggi servono, ma quelle utili».
Infine Cottarelli affronta, senza pregiudizi, il tema dell’euro. «L’Italia ha un rapporto difficile con l’euro e per certi versi non potrebbe essere altrimenti. Fino all’entrata nella moneta unica il nostro reddito pro capite è cresciuto quanto negli altri Paesi, poi siamo rimasti indietro». Il motivo? Prima, quando i nostri costi di produzione diventavano troppo alti, svalutavamo la moneta. Entrati nell’euro questo non è stato più possibile. Eppure, uscire ora sarebbe un salto nel buio, comporterebbe una transizione lunga e dolorosa. E non ci converrebbe. Anche perché questo è il momento migliore per ridurre il gap con la Germania e gli altri Paesi europei. Già, perché dopo anni i costi di produzione in Germania hanno iniziato a salire. Assieme a loro, anche i salari. «La soluzione ideale per ridurre il gap di competitività con i tedeschi, cosa che già stanno facendo Spagna e Portogallo», ha concluso Cottarelli.