“Attento al computer. Tutto è così pulito da sembrare ben scritto”: i consigli di Abelardo Castillo ai giovani scrittori

Lo scrittore argentino è stato un mago dei racconti, ma in pochi lo conoscono. Eppure, abbiamo molto da imparare da lui. A partire dai suoi geniali consigli

In Argentina lo scrittore di racconti ha uno status particolare. Mentre per noi ‘narratore’ e ‘scrittore’ sono sostanzialmente sinonimi, e uno status specifico è offerto al ‘romanziere’, in Argentina tra cuentista (scrittore di racconti) e novelista (scrittore di romanzi) la distinzione è netta, non soltanto ‘formale’, ma perfino spirituale. Il cuentista, per usare un gergo calcistico – che gli argentini apprezzeranno – ha la solitaria follia del portiere e il genio speciale del numero dieci. Il cuentista è una specie di mago perché con pochi elementi sa creare la vita, gli bastano rari legni per avviare l’incendio. Se il novelistapuò abusare delle parole, il cuentista ha l’obbligo dell’esattezza, è un cecchino, punta all’essenziale. Il cuentista, insomma, è la quintessenza dello scrittore. Ora. Quanto a storia della letteratura ci mancano alcune generazioni. Tutti gli italiani di buone letture, per dire, conoscono Julio Cortázar e Jorge Luis Borges. E spesso lì si fermano. Pochi, penso, hanno letto Abelardo Castillo, la cui importanza, nel campo della letteratura e della scrittura di racconti in particolare, è pari a quella di Robert Falcon Scott: se non ha scoperto il Polo Sud – quello lo lasciamo al duo Borges+ Cortázar – poco c’è mancato, è stato l’esploratore più sagace e vivace. Classe 1935, esordio di precoce violenza – a 24 anni un suo racconto, Volvedor, viene giudicato meritevole di premio da una giuria formata da Borges e da Adolfo Bioy Casares – dobbiamo la conoscenza di Castillo in Italia a due piccoli, tenaci editori. Nel 2002 l’editore Crocetti pubblica Il vangelo secondo Van Hutten (1999), che è una picaresca indagine nei recessi enigmatici dell’annuncio evangelico – antica ossessione di Castillo, che nel 1961 scrive un testo per il teatro incentrato sulla figura di Giuda Iscariota, El otro Judas, premiata al Festival di Nancy nel 1964 – mentre nel 2015 Del Vecchio Editore stampa I mondi reali, raccolta di racconti pubblicata in origine nel 1997. Ma, appunto, Castillo è stato il grande animatore della nuova letteratura argentina: nel 1959 fonda la rivista ‘El Grillo de Papel’, con un editoriale ‘bombarolo’, “pensiamo che l’arte sia uno degli strumenti che l’uomo utilizza per trasformare la realtà e unirsi alla lotta rivoluzionaria”. Poco importa che la ‘rivoluzione’, nel caso suo, sia stupendamente estetica. L’anno dopo il governo di Arturo Frondizi blocca l’attività del giornale. Castillo non si rabbuia. Nel 1961, insieme a Liliana Heker, di cui pubblica i primi racconti, fonda ‘El Escarabajo de Oro’. La rivista resta in piedi fino al 1974. Vi faranno parte, come collaboratori, i massimi scrittori latinoamericani del tempo, da Cortázar a Carlos Fuentes, da Miguel Asturias a Ernesto Sabato e Juan Goytisolo. Lì fanno il loro esordio autori importanti come Alejandra Pizarnik, Isidoro Blaisten e Sylvia Iparraguirre, che diventerà sua moglie (il suo La terra del fuoco è stato pubblicato da Einaudi nel 2001). Dal 1976, questo instancabile animatore culturale, genio del racconto breve, drammaturgo di fama internazionale – Israfel, dramma basato sulla vita di Edgar Allan Poe, viene rappresentato da Eugène Ionesco in Francia, da Christopher Fry in Inghilterra e da Diego Fabbri in Italia – s’inventa, insieme alle sue donne – la Heker e la Iparraguirre – ‘El Ornitorrinco’, rivista letteraria di fronda, osteggiata dalla dittatura militare, che nel 1979 inserisce il nome di Castillo nella ‘lista nera’ degli intellettuali ostili e indesiderati.

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