La campagna elettorale per il voto anticipato sarà una campagna elettorale europea. Non solo perché il tema dell’appartenenza dell’Italia alla zona euro è tornato a essere centrale, dopo che domenica scorsa l’ipotesi di un governo fra Movimento 5 Stelle e Lega è saltata per il sospetto del Quirinale che la nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia portasse all’uscita del Paese dalla moneta unica. E non lo sarà nemmeno perché avrà addosso gli occhi delle istituzioni comunitarie, insieme a quelli dei governi dei Paesi alleati: questo è già accaduto il 4 marzo. Sarà una campagna elettorale europea, perché quel che sta accadendo in Italia è già diventato un rito di passaggio per quei partiti euroscettici, populisti, nazionalisti e identitari che dir si voglia che nei loro Paesi non sono riusciti ad arrivare tanto vicini al potere quanto i due partiti italiani guidati da Luigi Di Maio e Matteo Salvini.
Non è un caso che le elezioni italiane siano spesso paragonate all’estero al voto per la Brexit, avvenuto ormai due anni fa. Perché ha rappresentato una svolta. Conviene dunque guardare con uno sguardo più ampio a quello che sta accadendo in Italia, cercando di non concentrarsi solo sulle beghe di cortile, le liti televisive, le scaramucce fra diverse correnti politiche. Occorre orientarsi osservando come il contesto politico e sociale europeo si sia progressivamente trasformato negli ultimi anni, pur senza gli strappi annunciati. Le elezioni italiane si collocano in un trend che in buona parte del continente sta condizionando l’opinione pubblica da almeno quattro anni. Dalle elezioni Europee del 2014, che sono state caratterizzate dal successo dei partiti euroscettici che allora chiedevano espressamente due cose. Uscire dall’euro o direttamente dall’Unione Europea, come è accaduto appunto in Gran Bretagna, e bloccare le nuove migrazioni. Da allora, ogni singola elezione nazionale o locale nei principali Paesi europei è diventata un test (pretestuoso o meno) anche sulla fiducia nel processo di integrazione europeo e nelle istituzioni che lo gestiscono.
Conviene dunque guardare con uno sguardo più ampio a quello che sta accadendo in Italia, cercando di non concentrarsi solo sulle beghe di cortile, le liti televisive, le scaramucce fra diverse correnti politiche. Occorre orientarsi osservando come il contesto politico e sociale europeo si sia progressivamente trasformato negli ultimi anni, pur senza gli strappi annunciati
E’ stato un voto pro o contro le politiche dell’Unione Europea quello del 2014: in Francia il Front National di Marine Le Pen e in Gran Bretagna l’Ukip di Nigel Farage risultarono i partiti più votati nei rispettivi Paesi. E’ stato un voto pro o contro le politiche dell’Unione Europea quello delle elezioni che si sono tenute nel 2015 nella Grecia di Alexis Tsipras, referendum compreso. E’ stato un voto pro o contro le politiche dell’Unione Europea, appunto, la Brexit, nel 2016. Sono stati un voto pro o contro le politiche dell’Unione Europea quello delle presidenziali in Francia e quelli delle legislative nei Paesi Bassi e in Austria, nel 2017. Persino nella Germania della cancelliera Angela Merkel le voci critiche verso l’unione monetaria si sono fatte più forti. Tralasciando poi gli exploit dei nazionalisti nell’est Europa, eccoci arrivati al 2018. All’Italia. Pensare che la forza elettorale di M5S e Lega sia solo una questione italiana è insomma fuorviante. E sfidare questi due partiti a sfoderare più chiaramente il loro anti-europeismo è probabilmente un azzardo: anche perché l’Italia, di tutti questi Paesi citati, è quello che in questo momento ha la maggioranza più chiaramente schierata contro le politiche Ue, con tutte le altre forze prive della capacità di compensare questa posizione in maniera efficace. In Austria, il Paese più vicino all’Italia in cui la destra nazionalista (la Fpoe alleata di Salvini e Le Pen) è tornata al potere da pochi mesi, il governo è sostenuto da una coalizione in cui la prima forza sono i Popolari, che hanno adottato posizioni radicali sui temi identitari e securitari ma hanno spuntato le velleità degli alleati che chiedevano di abbandonare l’euro.
Se una cosa hanno indicato tutte queste elezioni avvenute dal 2014 in avanti è che una parte sempre più consistente dell’elettorato vuole poter far pesare il proprio voto. E l’unico argomento, pur razionale, che non serve a convincerli è quello dei mercati: chi sostiene M5S e Lega molto probabilmente ritiene che sia l’economia a dover essere al servizio della politica, non il contrario. Ed è un vento che non soffia solo su Roma. E riguarda sia la destra sia la sinistra.
Twitter: @ilbrontolo