Sono vittime di pregiudizi culturali fin dalla nascita. Costretti a convivere con discriminazione e ignoranza. Ancora oggi molti intersex devono subire trattamenti chirurgici invasivi e inutili, spesso entro i primi due anni di età. Rappresentano una realtà diffusa, eppure invisibile. In Italia non se ne conosce neanche il numero esatto. Secondo alcuni studi medici il fenomeno interessa lo 0,5 per cento dei neonati, ma sono stime per difetto. Non è una patologia. L’intersessualità accomuna gli individui nati con caratteristiche sessuali – cromosmi, genitali o struttura ormonale – che non appartengono strettamente alle categorie maschio o femmina. Oppure che appartengono a entrambe. A volte le caratteristiche sono visibili fin dalla nascita, rendendo problematica l’attribuzione del sesso del neonato. In questo caso antiquate prassi mediche spingono i genitori ad assecondare interventi chirurgici precoci e potenzialmente pericolosi. Altre volte l’intersessualità emerge più avanti, durante l’infanzia o l’adolescenza. Dopo decenni di silenzio finalmente se ne comincia a parlare. Da pochi giorni è partita in Italia una campagna di sensibilizzazione sul fenomeno. Un’iniziativa voluta dall’Organizzazione Intersex Internazionale e dall’associazione radicale Certi Diritti, che ha portato alla creazione del portale online Iosonointersex. Un punto di incontro e di conoscenza, perché «con l’aiuto e la consapevolezza di tutti, genitori, medici e istituzioni, è possibile crescere e vivere sani e sereni».
«In un mondo abituato a ragionare per opposti è difficile accettare che un corpo possa presentare le caratteristiche sia maschili sia femminili»
Il tema dell’invisibilità resta centrale. Oggi gli intersex restano una realtà sconosciuta e priva di diritti. Caratteristiche sessuali atipiche e difficilmente inquadrabili sono spesso il preludio all’emarginazione sociale. «In un mondo abituato a ragionare per opposti – raccontano gli organizzatori dell’incontro – è difficile accettare che un corpo possa presentare le caratteristiche sia maschili sia femminili. Spesso scoprire che un bambino ha caratteristiche intersex può creare ansia e paura, ma la verità è che ogni essere umano nasce unico e il solo modo per sconfiggere le proprie paure è conoscerle». Nonostante l’ignoranza, il fenomeno esiste. I numeri raccontano una realtà non così rara. Come spiega un’interrogazione parlamentare depositata la scorsa legislatura dal senatore Sergio Lo Giudice, «secondo gli studi più accreditati, su mille nati 17 presentano una qualche forma di intersessualità». Stando a un recente studio del Netherlands Institute for Social Research, citato dal fondatore di OII Italia Alessandro Comeni, la percentuale di persone intersex in Europa supera lo 0,5 per cento. «Significa che una persona su 200 presenta una variazione di caratteristiche del sesso». In ogni caso si tratta di una stima per difetto: lo studio raccoglie i dati relativi alle 15 principali tipologie intersex. «Ma quelle descritte in ambito medico sono molto più numerose», conferma Comeni.
«Spesso le persone intersex vengono etichettate come malate e quindi “curate” e “normalizzate” con trattamenti chirurgici, ormonali e psicologici. Tali interventi precoci vengono praticati senza considerare le conseguenze irreversibili sull’apparato genitale e riproduttivo (quali insensibilità, sterilità, impossibilità funzionale)»
È una popolazione accomunata dallo stesso destino. In molti paesi le persone intersex non esistono neppure dal punto di vista legale. Spesso, denuncia la campagna di sensibilizzazione, «vengono etichettate come malate e quindi “curate” e “normalizzate” con trattamenti chirurgici, ormonali e psicologici». Il passaggio è automatico e doloroso. Come spiega l’interrogazione parlamentare di Lo Giudice, «l’obbligo di legge di registrare il sesso del nascituro sul certificato di nascita rafforza l’aspettativa sociale che i bambini debbano essere inquadrati in una categoria sessuale, influenzando la percezione della necessità di un trattamento medico». Accade così che i bambini, talvolta appena nati, vengano sottoposti a trattamenti invasivi e dagli esiti irreversibili. A volte sono gli stessi genitori che chiedono al medico di intervenire chirurgicamente, non sempre consapevoli dei rischi. «Tali interventi precoci – si legge nel documento presentato al Senato – vengono praticati senza considerare le conseguenze irreversibili sull’apparato genitale e riproduttivo (quali insensibilità, sterilità, impossibilità funzionale)». Un esempio? La campagna Io sono Intersex avverte i genitori sulle conseguenze della gonadectomia. Un procedimento che «prevede la rimozione del tessuto ovarico o testicolare e si traduce nella sterilizzazione irreversibile». Il rispetto dei diritti umani passa dal divieto di queste pratiche. Ma anche dal rispetto dell’integrità fisica delle persone con caratteristiche intersex. Non lo dice solo il buonsenso. Nel 2015 il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muiznieks ha indicato l’urgenza della fine di interventi chirurgici “normalizzanti” non necessari, sottolinea Lo Giudice, nonché della depatologizzazione dell’intersessualità. E due anni fa è intervenuto il comitato delle Nazioni Uniti sui diritti delle persone con disabilità. Denunciando le pratiche di mutilazioni genitali relative a individui intersex, anche nel nostro Paese.