“La società non esiste: esistono individui, uomini, donne e famiglie”. Margaret Thatcher l’aveva già detto nel 1987. I tempi in cui le associazioni e i gruppi di persone coalizzati, accomunati da idee e valori, potevano unirsi per promuovere le loro idee, erano passati. In molti – alcuni rassegnati, altri entusiasti – furono d’accordo con l’allora primo ministro inglese. Qualche anno dopo parecchi tra i delusi dallo stato delle cose fotografato dall’Iron Lady, videro nell’esplosione di internet una nuova speranza. Una sogno espresso a chiare lettere anche nella mission di Facebook: “Connettere il mondo”. In parte, di certo, la creatura di Zuckerberg e l’evoluzione del web hanno aiutato a raggiungere questo obiettivo: chi, grazie alla rete, non ha ritrovato vecchi compagni di scuola o riallacciato contatti con persone che non sentiva da tempo?
Eppure, non si può negare che la principale funzione del web, negli ultimi tempi, sembra diventata quella di offrirci contenuti gratuiti in cambio dei nostri dati. Un concetto vecchio come il mondo per la pubblicità che ora, in modo sempre più evidente, sta invadendo anche la politica. Il caso Cambridge Analytica ha scoperchiato il vaso di Pandora. Secondo l’accusa 270mila utenti si sono sottoposti a un innocuo test per una raccolta di dati che, ufficialmente, sarebbero stati utilizzati per fini accademici. In realtà le informazioni raccolte sono state usate per indirizzare a milioni di elettori messaggi mirati (talvolta falsi, secondo quanto affermato dall’ex dipendente Christopher Wylie) in modo da orientarne il loro voto.
Non si può negare che la principale funzione del web, negli ultimi tempi, sembra diventata quella di offrirci contenuti gratuiti in cambio dei nostri dati. Un concetto vecchio come il mondo per la pubblicità che ora, in modo sempre più evidente, sta invadendo anche la politica
L’amministratore delegato di Cambridge Analytica – Alexander Nix – lavorò a stretto contatto con il capo della campagna social di Trump – Brad Parscale – al cosiddetto “progetto Alamo”, che ha sommerso gli elettori americani di messaggi di propaganda mirati grazie ai dati sensibili acquisiti da Cambridge Analytica. A Brad Parscale, per ora, nessuno ha chiesto nulla. Anzi, continua a lavorare per Trump ed è stato promosso: sarà lui a guidare la campagna elettorale per il 2020. Su cosa punterà per (ri)vincere le elezionI? Digitale e big data, chiaramente. Lo ha appena rivelato il sito americano Axios. Per la campagna elettorale 2020 il team di Trump parte da un tesoretto di 18 milioni di email e numeri di telefono di probabili elettori repubblicani. L’obiettivo, da qui all’election day, è quello di raddoppiare i numeri e arrivare ai contatti della metà dei votanti necessari per vincere (65 milioni). Parscale ha confermato di avere avuto grande successo nel reclutare supporter tramite messaggi pubblicitari su Google, Bing, Facebook e altri siti di informazione conservatori. Tattica che intende replicare per le prossime elezioni. Usando le conoscenze digitali, è persuaso di poter passare da un contatto “debole” con un potenziale elettore – come il profilo Fb o l’indirizzo mail – a una dichiarazione di supporto o a convincerlo a fare il volontario per la campagna. Il nuovo manager, inoltre, vuole sfruttare il potere dei big data in tempo reale per capire, per esempio, qual è il punto migliore per organizzare la visita di un candidato o di quali argomenti parlare in una specifica città.
Mentre negli Stati Uniti Trump ha già iniziato a programmare la sua nuova campagna elettorale, in India si stanno svolgendo le elezioni locali, apripista per quelle nazionali del 2019. Locali, in India, si fa per dire, visto che nello Stato di Karnataka in cui si è votato la scorsa settimana vivono 65 milioni di persone. Dove si è giocata una parte importante di campagna elettorale? Su Whatsapp. Già, perché in India l’app di messaggistica, per molti, è il primo approccio con il mondo digitale: non a caso, nel Paese, vanta 200 milioni del miliardo e mezzo di utenti attivi ogni mese. E così lo Stato del Karnataka, nelle ultime settimane, è diventato il laboratorio per un inedito esperimento politico. Gli elettori sono stati subissati di messaggi, più di 1000 al giorno, a seconda dei casi “Insistenti, arrabbiati, ottimisti, informati, fuorvianti, avvincenti o confusi”, come ha dichiarato un avvocato della zona al Wall Street Journal. Un esperimento doppiamente significativo perché condotto tramite Whatsapp, che non ha né l’abilità di far arrivare in maniera immediata un messaggio a milioni di persone come Twitter, né la capacità di inviare contenuti mirati in base agli utenti come Facebook.
L’amministratore delegato di Cambridge Analytica lavorò a stretto contatto con il capo della campagna social di Trump – Brad Parscale, che continua a lavorare per il presidente ed è stato promosso: sarà lui a guidare la campagna elettorale per il 2020
Su Whatsapp, però, esistono i gruppi, che accomunano persone con gli stessi interessi, con ogni probabilità ritenuti da chiunque più intimi di qualsiasi bacheca su Facebook. Così, i membri dei comitati elettorali – i quali in passato avevano usato la piattaforma per organizzarsi e di conseguenza avevano già una buona rete di contatti – tramite l’invio di messaggi automatici sono riusciti a raggiungere decine di migliaia di gruppi amministrati da volontari e membri dello staff della campagna elettorale. Da lì, la loro propaganda è passata a gruppi formati da persone accomunate da alcune caratteristiche come la provenienza geografica, la lingua o l’orientamento sessuale. “La portata, il numero di utenti raggiunti e la risposta sono stati eccezionali”, ha dichiarato al Wsj il capo social del partito conservatore di Modi, l’attuale premier indiano. E così, tramite uno tsunami di messaggi – molti dei quali, secondo i gruppi di fact-checking del Paese, falsi – i partiti politici hanno bombardato specifici gruppi di elettori.
Stando così le cose, nonostante a inizio maggio Cambridga Analytica abbia chiuso, i problemi che ha sollevato sembra probabile si riproporranno a breve. Ormai, la politica e la raccolta di dati sembrano inestricabilmente legati. E i politici, anche dopo la chiusura della società, hanno tutti gli strumenti per indirizzarci contenuti personalizzati in base ai dati raccolti su informazioni sensibili come il nostro stipendio, il nostro orientamento sessuale o le nostre abitudini commerciali. Una tattica da tempo usata dalle agenzie pubblicitarie (vi dicono niente gli annunci di quelle scarpe che avete cercato online e vi seguono ovunque per il web?) che, applicata al mondo della politica, solleva molte questioni.
Viste da questa prospettiva, le parole con cui Cambridge Analytica, il 2 maggio, ha chiuso i battenti (“Siamo stati denigrati per attività che non sono solo legali, ma ampiamente accettate”) suonano molto meno in malafede di quanto potessero apparire in un primo momento. Quello dell’azienda britannica è diventato un caso perché la società dichiarava di raccogliere i dati per “motivi accademici”, omettendo che in realtà sarebbero stati usati per fini politici. Ma sono moltissimi ad aver accumulato informazioni grazie alla modalità “login tramite Facebook”, che permetteva l’accesso non solo ai dati di chi cliccava, ma anche a quelli degli amici (almeno su Facebook) di chi accettava le condizioni.
La vicenda di Cambridge Analytica ci ha dimostrato che possiamo essere condizionati non solo quando compriamo una maglietta o un paio di scarpe, ma anche riguardo a se e chi votare. In un contesto in cui in breve tempo, grazie allo sviluppo dell’intelligenza artificiale e della realtà virtuale, sarà più facile che mai creare video in cui un politico (e chiunque altro) dice cose che non ha mai detto, dovremmo essere tutti più consapevoli delle potenziali implicazioni della raccolta di dati e del loro utilizzo a fini politici. E capirne fino in fondo le possibili conseguenze: un mondo in cui ognuno ha il suo messaggio politico “impacchettato e confezionato”, che potrebbe dare vita a campagne politiche on-demand. Col rischio di rendere la società sempre più divisa e atomizzata.