Che delizia! Dieci anni fa. L’ho letto in una edizione d’arte, stampata dalla casa d’edizioni artistiche Nuages. Incipit memorabile. “All’improvviso dal sentiero dei pascoli, ma ancora molto lontano, arrivò l’abbaiare di un cane. Tutti alzammo la testa”. Proprio così, all’improvviso, nasce alla letteratura italiana un piccolo genio, un folletto narrativo,autore di quel testo, Casa d’altri, che pare folata angelica in bottiglia. Non l’ho letto nell’edizione d’ufficio, Einaudi; ma in quella Nuages, appunto. Tormentata dai disegni, d’infantile splendore, di Georgia Galanti. Un libro speciale. Che ti sta in palmo di mano. In appendice al testo, “la riduzione teatrale” di Andrea Nanni. Andiamo a teatro, allora. Che delizia decuplicata! Casa d’altri è, come si dice, ‘il cavallo di battaglia’ di Silvio Castiglioni (nella foto), attore di anomala bravura – nel senso che fa anomala l’attorialità, nasconde la ‘bravura’, “eccelle nel togliere, nello sfoltire”, come ha scritto Franco Cordelli – lo posso dire perché l’ho visto dal vero e dal vivo (insieme facciamo una rivoluzionaria lettura dei poeti russi del primo Novecento, per me è stato Ingmar Bergman). Silvio D’Arzo, ovvero Ezio Comparoni, morto troppo giovane (una settimana prima dei 32 anni) è davvero troppo bravo per essere vero, tant’è che quando, nel 1976, per la cura di Paolo Lagazzi, indagatore di magici orienti letterari, Garzanti pubblica il romanzo incompiuto Essi pensano ad altro, i più s’incazzano. Quel gesto fu preso come una laida macchia, una lordura a inacidire il ‘mito’. Il poeta pluridecorato Giovanni Raboni sbottò, “l’iniziativa rischia… di mettere in crisi anche la piccola, ma tenace ‘leggenda D’Arzo’ che per tutti questi anni ha perlomeno salvaguardato la sua fisionomia e la sua opera dalla cancrena dei fraintendimenti e dei semplicismi critici”. Ora, con un surplus di coraggio editoriale, Bompiani ristampa il libro (pp.224, euro 7,00; la prima edizione era di sedici anni fa), scoperto tra le reliquie inedite di D’Arzo, opera spavalda e giovanile – siamo a Bologna, anni Trenta, un Riccardo è in città per studiare e s’intende con Alberto, amico del padre, in un contesto di “visionarietà fantastica e un po’ stralunata” – confortato da una densa intro di Roberto Carnero (in totale, quasi cinquanta pagine), che non ‘giustifica’ ma contestualizza – e suggerisce nuovi legami, con Pirandello, ad esempio – il lavoro. E lo libera dalle mannaie critiche di quarant’anni fa, restituendolo alla gloria dei lettori. Ormai, non occorre più salvaguardare un ‘mito’, ma studiare con coerenza il tragitto narrativo di un grande scrittore.
Silvio D’Arzo. Definitivamente, delinea il suo ruolo nella narrativa italiana del Novecento. E poi: ha avuto seguaci oltre che segugi?
Sotto molti aspetti, D’Arzo rimane un unicum nella letteratura italiana del Novecento. È stato un grande minore e a lungo un grande dimenticato, prima della riscoperta a partire dalla fine degli anni Settanta e poi dagli anni Ottanta, con l’importante lavoro critico di Anna Luce Lenzi e di Eraldo Affinati. Non è un caso che questo revival darziano si collochi proprio soprattutto negli anni Ottanta. Se il racconto lungo (o romanzo breve) Casa d’altri è il capovaloro di D’Arzo, Casa di nessuno (prima edizione 1981) è il titolo del romanzo d’esordio di Claudio Piersanti. È evidente che Piersanti ha mutuato il titolo del suo libro, in sintomatica variatio, da quello di D’Arzo. Entrambi, D’Arzo e Piersanti, esprimono e rappresentano artisticamente un disagio, che è senz’altro individuale, ma che è anche soprattutto il disagio di due momenti storici (il secondo dopoguerra e gli anni Ottanta) in cui ci si sente irrimediabilmente “postumi”: rispetto ai combattimenti bellici e alla lotta per gli ideali di libertà nei tardi anni Quaranta e nei primi anni Cinquanta; rispetto alle ideologie e al senso di un impegno politico militante ormai impossibile all’inizio degli anni Ottanta.