In Italia ci sono 7.375 km di coste. Di questi, circa la metà non sono balneabili: a sottrarre terreno ai bagnanti sono sia inaccessibili scogliere e zone lagunari che spazi occupati da aree militari e portuali. Rimangono però almeno 3mila km di coste accessibili, un patrimonio da far invidia per varietà e bellezza. Peccato che, di questi 3mila km, quelli in cui si può entrare liberamente siano sempre meno. Secondo il Dossier spiagge 2016 pubblicato lo scorso anno dalla Federazione nazionale dei Verdi, il numero di stabilimenti che hanno occupato (cementificando) le spiagge italiane è passato dai 5.368 del 2001 a più di 12mila. In Liguria, su 135 km di costa, solo 19 (appena il 14%) sono rimasti aperti a tutti. In Lazio la percentuale è poco migliore, le spiagge libere rappresentano il 15%. In Emilia-Romagna la percentuale “sale” al 23%. Colpa, come dichiarato di recente da Stefano Salvetti di Adiconsum, di una selvaggia politica sulle concessioni balneari: «Già nel 1976 il Consiglio di Stato evidenziò come in Italia fossero state date troppe concessioni. In quarant’anni sono aumentate del 300%». Le stime dell’Unep – il programma ambientale delle Nazioni Unite per l’ambiente – lo confermano: il 60% delle coste del nostro Paese sono occupate da costruzioni, quando la media nel bacino del Mediterraneo non supera il 40%.
E dire che le leggi, spesso, non mancherebbero: diverse disposizioni provinciali e regionali prescrivono un’equa distribuzione tra spiagge libere e private, mentre la Finanziaria del 2007 in teoria garantisce a tutti l’accesso al mare e impone agli stabilimenti di lasciare liberi 5 metri sulla battigia della spiaggia. Chissà quale sarebbe la situazione, però, se negli ultimi tempi a riscrivere – e talvolta far rispettare – le leggi non fossero intervenute alcune sentenze. Come quella in Sardegna per liberare l’accesso alla favolosa spiaggia di “Su Sirboni”. O quella del Tar della Campania su Castel Volturno, in provincia di Caserta, dove la giunta potrà imporre a chi ha stabilimenti di creare un accesso pedonale per chi vorrà raggiungere la spiaggia libera. O infine quella di Ostia, con il Consiglio di Stato che ha dato l’ok alla decisione del municipio che aveva deciso di utilizzare delle ruspe con l’obiettivo di aprire dei passaggi per arrivare al mare.
E dire che le leggi, spesso non mancherebbero: diverse disposizioni provinciali e regionali imporrebbero un’equa distribuzione tra spiagge libere e private, mentre la Finanziaria del 2007 in teoria garantisce l’accesso al mare e impone agli stabilimenti di lasciare liberi 5 metri sulla battigia della spiaggia
Dal momento che è diventato quasi impossibile trovare un tratto di spiaggia libero, ci si potrebbe aspettare di ritrovarle perlomeno pulite. Eppure, l’indagine sull’inquinamento Beach Litter 2018 di Legambiente che ha monitorato 78 spiagge (quasi la metà in Campania e Sicilia) per un totale di 400 mila quadrati, pari a quasi 60 campi di calcio, racconta una storia ben diversa. Secondo il rapporto, sulle spiagge italiane, ci sono in media 620 rifiuti ogni 100 metri. Quattro rifiuti a ogni passo. In pratica, nei lidi italiani, è più facile trovare un pezzo di plastica che una conchiglia. Una situazione causata in primis dalle nostre cattive abitudini in materia di gestione dei rifiuti che hanno un impatto devastante sugli animali e la vegetazione marina. Tutto ciò ha anche conseguenze dal punto di vista economico. Secondo uno studio della società Arcadis commissionato dalla Unione Europea i rifiuti marini costano 478 milioni di euro l’anno. Secondo la stessa ricerca per ripulire le spiagge occorrerebbero 412 milioni di euro.
A proposito di soldi, chi frequenta le spiagge italiane sa bene che il costo di una giornata al mare, tra sdraio, ombrellone e parcheggio, è spesso tutt’altro che popolare. Secondo le stime di Federconsumatori il prezzo medio di una giornata al mare quest’anno sarà di 24€ a persona, in leggero aumento rispetto alla precedente stagione. Per un abbonamento mensile si arriverà a 575€ mentre per uno stagionale se ne dovrà sborsare in media 1368€.
Secondo i dati del 2016 lo Stato incassava infatti poco più di 100 milioni di euro dalle concessioni a fronte di un giro di affari stimato prudenzialmente in 2 miliardi di euro annui. Ai tempi, a sollevare la questione sui miseri canoni pagati erano state alcune figure chiave dell’esecutivo Gentiloni come Padoan e Calenda, il quale denunciò come i gestori degli stabilimenti balneari pagassero allo Stato “meno di quanto faccia un ambulante con un banchetto 5×3”
La questione dei prezzi è strettamente connessa a quella del metodo di assegnazione delle concessioni e al tema dei canoni demaniali. Secondo i dati del 2016 lo Stato incassava infatti poco più di 100 milioni di euro dalle concessioni a fronte di un giro di affari stimato prudenzialmente in 2 miliardi di euro annui. Ai tempi, a sollevare la questione sui miseri canoni pagati erano state alcune figure chiave dell’esecutivo Gentiloni come Padoan e Calenda, il quale denunciò come i gestori degli stabilimenti balneari pagassero allo Stato “meno di quanto faccia un ambulante con un banchetto 5×3”. Il Pd aveva in seguito cercato di riformare il settore ma il progetto di legge, nel dicembre scorso, è stato affossato dall’opposizione.
Eppure il tema, per forza di cose, arriverà presto sul tavolo del nuovo governo (se già non c’è). Anche perché sulla questione delle concessioni – nel luglio 2014 – era intervenuta l’Unione Europea che aveva negato allo Stato la possibilità di rinnovarle automaticamente imponendo che la gestione degli stabilimenti venisse messa all’asta tramite un bando di gara. Come soluzione temporanea, grazie a una norma-ponte, le concessioni erano state prorogate fino al 2020. Ma la fatidica data del 1° gennaio 2021 in cui scadranno tutte le concessioni è sempre più vicina. Da parte loro i gestori degli stabilimenti, non senza ragioni, rivendicano il fatto di aver investito e creato posti di lavoro. La questione non ha una facile soluzione, anche perché prima di formare un governo insieme, Lega e 5 Stelle sul tema avevano espresso pareri contrastanti. Salvini&soci dichiaravano di voler evitare a tutti i costi le gare, mentre i pentastellati – pur ipotizzando un periodo di transizione “quantificabile in 15 anni” – le consideravano inevitabili. Un problema che, comunque la si pensi, il nuovo governo dovrà presto affrontare. Non si può che sperare in una riforma utile a far tornare l’Italia un Paese per chi vuole vivere il mare come andrebbe vissuto.