Diego Fusaro: così il capitale mondiale ci vuole poveri (e in guerra tra di noi)

Il giovane filosofo spiega l'attualità di Marx: ”Il capitalismo ci rende immobili, ma ci dà l'illusione di andare verso il futuro”. I migranti? Sfruttati dal capitale, in guerra con noi

La stagion fertile del’italico pensiero sembra tutt’altro che giunta all’occaso. Or che la vulgata esistenzial-postmodernista viene a più fioco lume, pur foriera di ingegni ex grege quali Gianni Vattimo, Giorgio Agamben, Umberto Eco; e sibbene la cultura cosiddetta “della crisi”, talvolta venata di lagrimevoli afflati, e talaltra nudrita dall’amara ontologia di Martino Heidegger, come negli scritti di Massimo Cacciari, sembri aver seminato di sé la miglior parte già diversi lustri or sono, non per questo dicasi che non vi sono nuove leve intente al labor philosophiae.

L’opra degli italici spirti non cessa né posa! In anni recenziori il peggiorar dell’economia e il conseguente acuirsi delle social diseguaglianze hanno riportato in voga l’analisi di Carlo Marx. Or son due secoli dal nascimento del pensator renano. Ma «La ragion marxiana sarà valida finché il capitalismo impererà portando nocumento ai lavoratori» dice a questo foglio digitale Diego Fusaro. Trentacinque primavere, pensator nato e formatosi sotto la Mole, scolaro di Costanzo Preve, noto alla pubblica oppinione per la sua saggistica sul filosofo che scrisse il Capitale (e sui continuatori suoi), e per la critica all’attuale principato del liberalismo internazionale. Tra le altre cose Fusaro, seguace della sapienza giapetica, di Aristotile e dello Hegel, spesso risponde sulle reti sociali facendo provvidenzial ricorso a un linguaggio aulico, per rimarcar la differenze con la volgare schiera dei livorosi. Linguaggio al quale ci stiamo con civile dedizione uniformando. All’abbassarsi dello stile che così di frequente attosca i pestiferi Twitter e Facebook si deve rispondere ognora con un sommesso, ma fermo, paulo maiora canamus.

Marx scriveva facendo obietto della sua analisi classi sociali ben determinate, mentre oggidì la classe contadina, oppressa dalle dure fatiche agresti, quella operaia, sotto il giogo del padrone, quella borghese, segnata dall’intraprendenza e in possesso di una propria coltura non esistono più. Oggi a riguardar l’aspetto sociale, ogni cosa appare frammento tra frammenti. Come leggere Marx?
È questo l’argomento del libro che or ora pubblicai, Storia e coscienza del precariato (Bompiani, Milano, a.D. 2018). Certamente, le composizioni e le configurazioni del vivere sociale son mutate, ma il bracciante che subisce il caporalato e l’insegnante che patisce il precariato hanno in commune non goder più di una stabile situazione nelle forme tradizionali del lavorare e del vivere, dal matrimonio alla garanzia di una giusta mercede. Oggidì la condizion comune è proprio cotesta mutevolezza, cotesta precarietà. Marx istesso, nel Capitale, parla con profetica voce della universale mobilità del lavoratore. Profezia che, in punto di paradosso, mi par più vera oggi che ieri.

Parmi che siam dunque consegnati ad un futuro incerto e mèndico. Nel secolo passato le filosofie della Storia ogni cosa scommettevano sul futuro, giurando di poter rifare l’uomo nuovo. Oggi l’afflato verso il sol dell’avvenire viene propagandato con gran pompa dalla nuova economia della Valle del Silicone, piuttosto.
O in plateal maniera dai finanzieri- si pensi per esempio al’epifania futurolatrica dei prodotti finanziari denominati “futures”. Se lo Hegel non si occupava del futuro, in Fichte abbiamo una storia già tutta rinviata al futuro. E anche Marx considera il futuro alla stessa guisa.

Una propensione del pensiero e l’esistenza già individuata da Origene padre della Chiesa, che la denominava “epektasis”.
Trattavasi in quel caso di Trascendenza, sì, ma tesa verso la Divinità. All’opposto, quella dei filosofi della storia è senza dubbio alcuno una trascendenza nell’immanenza, che solo proiettandola nel futuro può darsi. Il capitalismo, infine, vive appo il futuro. Ma deve negare qualsivoglia futuro eccetto il capitalismo istesso. Si tratta del regime che in un mio libro intendo e definisco come “essere senza tempo”. Per un verso il Capitale deve inebriarsi di progresso, per un altro deve restare immobile, trasformare il presente in meduseo volto. Vivere e lavorare nel presente è come affannarsi in una corsa su un tappeto scorrevole, immobile, ma sempre più rapido. La denomino: “Accelerazion senza futuro”.

E come mai uscirne? Massimo Cacciari testè citato critica la Sua analisi marxiana con le seguenti parole: “L’’idea di poter recuperare una soggettività rivoluzionaria fuori del sistema, la possibilità di scoprire soggettività alternative e moltitudini alternative fuori dal sistema, mi paiono utopistiche”. Sembra di poter intendere che per Cacciari dal sistema capitalistico non si può uscire. Se non in un ideal sogno ante Marx.
Avrebbe ragione, il Cacciari, se non vi fossero stati dopo Marx pensatori quali Gramsci e Gentile, dove è più potente ancora che in Marx l’idea della subiettività organizzata in grado di sovvertire il sistema del capitalismo. Gramsci rilegge tutta l’opera marxiana attraverso la categoria di “prassi del soggetto organizzato”. Per Gentile il mondo è sempre quale noi lo facciamo. Il titanismo rivoluzionario presente nel Fichte arriva ben oltre il pensatore renano.

Qual è invece la critica che lei rivolge a Cacciari istesso?
A lui, e a tutta la generazione sua, io rimprovero di aver utilizzato la filosofia di Martino Heidegger per abbandonare quella di Carlo Marx. Dalla undicesima tesi di Feuerbach, inerente la soggettività rivoluzionaria organizzata, essi hanno infatti ripiegato sulla tesi dello Heidegger secondo cui “solo un Dio ci può salvare”. Un abbandono fatto di spirti lassi ove la prassi dell’accadere si transforma in morta gora. Essi hanno finito per consegnarsi all’estetismo e all’inazione, avendo abiurato al nucleo dell’idealismo: il nesso tra subietto e obietto.

La soglia epocale per capire codesto rivolgimento è da individuarsi nel movimento del Sessantotto. Si trattò di un transito dall’emancipazione dal giogo capitalista al più schietto edonismo personale. I rivoluzionari si trasformarono in quelle che il Deleuze ebbe a definire “macchine desideranti”. E la sinistra tutta trasformossi da oppositrice del capitale a testuggine della liberalizzazion capitalista

La sinistra tutta, invero, ormai tratta in maniera lasca i duri problemi dell’economia, per rincantucciarsi nelle istanze dei civil diritti ad esempio del mondo uranista?
Riguardo alla sinistra si realizza oggi la gran profezia di Augusto Del Noce

Di che si tratta?
Del Noce ebbe a scrivere che le sinistre sarebbero rivissute come partiti radicali di massa. Il massimo risultato, per essi, è l’individual liberazione mercatistica. L’assenza di morali interdizioni, e la possibilità di essere, come prescritto da Nietzsche, “illimitata volontà di potenza”.

Qual fu mai la fatal data in cui questo rivolgimento s’ìnverò?
La soglia epocale per capire codesto rivolgimento è da individuarsi nel movimento del Sessantotto. Si trattò di un transito dall’emancipazione dal giogo capitalista al più schietto edonismo personale. Si pensò alla rivoluzione come martello per fare tabula rasa dei valori borghesi, e per promuovere libertà individuali senza Dio e comunità. I rivoluzionari si trasformarono in quelle che il Deleuze ebbe a definire “macchine desideranti”. E la sinistra tutta trasformossi da oppositrice del capitale a testuggine della liberalizzazion capitalista.

Che include l’acquisto di una vita umana, come nel caso dell’utero a pigione?
Codesto è l’esempio di scuola, da utilizzar per parlare della “mercificazione” presso Marx. Mercificazione in quanto la donna e il nascituro si mutano in merci. Alienazione in quanto la dignità umana va perduta. Classismo in quanto chi mette in atto codesta transazione immancabilmente lo fa per bisogno. Ed è questo il gran fallo della sinistra odierna. Occuparsi divotamente della volontà personale, e obliare lo status delle persone in quanto lavoratori. Sian’essi operai della Fiat o precari dell’insegnamento.

La quistione ove si scontrano destra e sinistra resta la migratoria…
Le organizzazioni che non appartengono ai Governi son la prova ulteriore del non cale della sovranità nazionale. Le Ong sono legibus solute rispetto agli Stati. Esse rispondono in apparenza alla così definita “civil società”, in realtà a dominarle sono i barbassori del capitale mondiale

Intravede forse complotti e trame oscure?
Nossignore, trattasi solo della logica del Capitale, ai cui gestori non par vero d’aver torme di sbandati da avviare a vita dura e poco il pasto. Veda cosa accade nelle piantagioni del nostro Mezzogiorno, ove impera il più bieco caporalato e il vituperio d’ogne diritto. Essi, gli immigrati, sono bensì uomini di cui fare mercimonio, da mantenere in una esiziale contrapposizione con gli altri poveri, le classi deboli di italiani. Ciò che Carlo Marx, sempre lui, definiva “guerra orizzontale”.

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