Saviano, Chef Rubio e Amendola, con queste icone la sinistra non vincerà mai

La sinistra ha un nuovo bersaglio: Matteo Salvini. Come Berlusconi, è il nuovo Darth Vader in grado di coalizzare un intero popolo contro di sé. Ma alla fine tutta questa opposizione rischia di fare il suo gioco

Oggi è il centro di gravità permanente della politica italiana, ma solo due anni fa il futuro politico di Matteo Salvini era tutt’altro che roseo.

Pare incredibile, ma le elezioni comunali del 2016 per il leader leghista e la sua allora inseparabile felpa furono un passaggio durissimo: la Lega prese molti meno voti di Forza Italia e lo stesso Salvini, nella sua Milano, raccolse un terzo di preferenze in meno rispetto a Mariastella Gelmini (non esattamente un mostro di carisma), perdendone un migliaio rispetto alle elezioni del 2011.

Gli sbarchi c’erano già, anzi erano più numerosi che adesso, eppure il leader leghista, nonostante le ruspe e gli #stopinvasione, prese una vera e propria tranvata: infatti sui giornali si parlava di “flop”, di “ridimensionamento”, di “fallimento del progetto lepenista italiano”.

La bravura di Salvini fu quella di giocare d’astuzia e di utilizzare più che le armi della politica, quelle del marketing. Tra i pochi ad intuire che quel giro elettorale aveva messo nero su bianco il fatto che gli italiani non ne potevano più di un altro Matteo – quel Renzi che perdeva Torino, Roma e manteneva per un soffio Milano – Salvini prese a sfruttare ogni occasione per posizionarsi, nell’immaginario collettivo, come il peggior nemico dell’allora Premier e di tutto il suo partito.

Come quando la Pepsi, per sottrarre quote di mercato alla Coca Cola faceva la pubblicità comparativa, il Matteo entrante (Salvini) bullizzava l’uscente (Renzi) in una lotta all’ultimo meme. Fu quindi la personalizzazione del conflitto e la chiamata in causa del nemico in maniera ossessiva a creare il fenomeno mediatico consacrato dalle elezioni del 4 marzo e tracimato poi con la formazione del nuovo governo. Ed ecco che due anni dopo, la stessa cosa accade a parti invertite, con Salvini nel ruolo della Morte Nera e una serie di personaggi che provano quotidianamente a posizionarsi come nuovi Luke Skywalker, pronti a prendere per mano ciò che resta dei Ribelli.

Il primo è sicuramente Roberto Saviano: la lotta alla mafia di Berlusconi non tira più come una volta, e lui si è giustamente riposizionato, calandosi perfettamente nella nuova veste di Cavaliere Jedi Buonissimo pronto a contrastare il malvagio Matteo. Si tratta sicuramente del candidato migliore, come dimostra il colpo di genio assoluto di dire, da solo-su un palco-con in mano un microfono-davanti una folla adorante, che “non c’è bisogno di un leader”: neppure il Frank Underwood di House of Cards sarebbe stato capace di un simile capolavoro di psicologia inversa.

Mentre il Paese precipitava nella voragine di cui oggi paghiamo le conseguenze, berlusconiani e anti-berlusconiani non facevano altro che parlare di loro stessi, consapevoli che sopravvivenza degli uni dipendeva esclusivamente dalla buona salute degli altri, e viceversa

Ma il vero nome caldo è quello di Chef Rubio che, dopo essere passato dal rugby ai fornelli televisivi, ha completato il suo personale salto triplo approdando all’arena della politica: il fotomontaggio in cui sostituisce il volto di Salvini con il suo, nel tristissimo selfie con dietro le barche scattatosi dal Ministro dell’Interno, gli è valso l’ovazione dell’intero popolo di sinistra, garantendogli un’estate da protagonista in tutte le feste solidali dello Stivale.

Un po’ indietro appare invece Claudio Amendola, che con Salvini ha un rapporto ambiguo: un giorno è un “ottimo politico”, un giorno il suo messaggio “fa paura”. Un giorno la sinistra dovrebbe prenderlo da esempio, un altro dovrebbe organizzarsi per combatterlo. Ma c’è chi dice si tratti di pre-tattica: il pentimento, in un Paese cattolico come l’Italia, ha il suo fascino, e Claudio sulla lunga distanza potrebbe uscirne addirittura rinforzato.

I soliti ben informati, invece, pare stiano trattenendo il fiato in attesa della definitiva discesa in campo di Rocco Siffredi: almeno lui porterebbe il testosterone necessario a un popolo depresso dopo la batosta degli ultimi ballottaggi.

Si tratta, come si vede, di personaggi che hanno come punto di forza più grande la loro estraneità all’arena della politica tradizionale, in pieno accordo con lo Spirito dei Tempi. E infatti contendenti come Beppe Sala e Carlo Calenda – che fino a ieri sarebbero stati visti come outsiders, come “manager prestati alla politica” e che invece oggi appaiono perfettamente omogenei – hanno il loro bel da fare ad inventarsi un convincente anatema anti-salviniano per tenere il punto.

Intendiamoci: non tutti questi nuovi Obi Wan Kenobi vogliono candidarsi alla segreteria del PD o del partito che presto lo sostituirà, perlomeno non subito o magari nemmeno consapevolmente. Ma sicuramente tutti sanno benissimo quanto una simile strategia comunicativa costituisca una straordinaria macchina del consenso, utile a crearsi un seguito di followers da spendere e monetizzare ovunque lo si desideri.

Al contrario, i protagonisti del dibattito sono felici di scannarsi sul terreno della retorica, ipersemplificando i messaggi per la felicità dell’opinione pubblica, pronta a gettarsi tra le braccia di chi la sparerà più grossa o farà la faccia più indignata, anche se nel frattempo i problemi si ben oltre il punto di non ritorno

L’esempio perfetto è custodito nella nostra storia recente: ai tempi di Berlusconi nacque un intero settore economico, quello dell’anti-berlusconismo, che generò una vera e propria economia parallela in grado di fare la fortuna economica di tanti, dando origine a un genere letterario nuovo di zecca, noto come “faldonismo” (basato sulla massima “traduci i faldoni dei processi e facci un libro”) e alla corrente politica del “manettarismo di sinistra” alla base della nascita del Movimento Cinque Stelle.

Mentre il Paese precipitava nella voragine di cui oggi paghiamo le conseguenze, berlusconiani e anti-berlusconiani non facevano altro che parlare di loro stessi, consapevoli che sopravvivenza degli uni dipendeva esclusivamente dalla buona salute degli altri, e viceversa.

Oggi sta avvenendo la stessa cosa, con Salvini nel ruolo di Berlusconi e Chef Rubio in quello che fu di Santoro. Di fatti si parla pochissimo, basta vedere quanto poco si sia parlato, in campagna elettorale, dei meriti del governo Gentiloni, degli indicatori economici che dopo anni di crisi erano finalmente in rialzo, al contrario di adesso. Per non parlare di quanto si parla del merito della legge Bossi-Fini o dei limiti del trattato di Dublino – oggettivamente penalizzanti per l’Italia – di cui si occupano giusto un pugno di secchioni nell’indifferenza generale.

Al contrario, i protagonisti del dibattito sono felici di scannarsi sul terreno della retorica, ipersemplificando i messaggi per la felicità dell’opinione pubblica, pronta a gettarsi tra le braccia di chi la sparerà più grossa o farà la faccia più indignata, anche se nel frattempo i problemi si ben oltre il punto di non ritorno.

Va bene a Salvini, che da mitomane è diventato prima mito, oggi Ministro e domani Presidente del Consiglio; va bene ai salviniani, che vedono finalmente appagate le loro pulsioni più inconfessabili; e va bene soprattutto agli anti-salviniani di ogni ordine e grado, che invece di porsi – per la prima volta nella Storia -, qualche domanda scomoda, preferiscono crogiolarsi nella sdegnata attesa di un Messia, nel rigoroso perseguire un Bene Assoluto di cui si sono auto-eletti depositari assoluti.

In mezzo, ovviamente, ci sono le persone: sia quelli su una barca in attesa di accoglienza sia quelli accolti ma abbandonati davanti a un bar da anni, a fare l’elemosina, cui di tanto in tanto si offre un piatto caldo al parco Sempione con annesso concertino solidale.

Ma di questi a chi volete che importi? Troppo complicato.

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