La frasetta con cui Melania Trump ha espresso sconcerto per i duemila bambini separati dalle loro famiglie al confine messicano è un atto senza precedenti nella storia delle first lady, non solo americane, alle quali è stato consentito praticamente ogni ruolo – cuoche, ambasciatrici, coltivatrici di orti, conferenziere, stelle del jet set, educatrici sociali – tranne quello di impicciarsi degli affari dei mariti, dei quali debbono essere sempre “la più convinta fan”, “la più accanita sostenitrice”, “la prima supporter”, tanto per usare il ventaglio di banalità che perseguita queste iconiche figure da Eleanor Roosevelt a Michelle Obama. Fatte le debite proporzioni, è un po’ come se Pat Nixon avesse espresso critiche sui bombardamenti in Vietnam ordinati da Richard. Come se Nancy Reagan avesse opinato sulla guerra alle droghe dichiarata Ronald.
Melania ha scelto il dibattito politicamente più visibile e controverso del momento – la tolleranza zero verso l’immigrazione – per fornire la sua opinione tramite portavoce, piuttosto seccamente. Melania «odia vedere bambini separati dalle loro famiglie». Melania «spera che entrambi gli schieramenti possano alla fine unirsi per ottenere una riforma migratoria di successo». Melania auspica «un Paese che segue tutte le leggi ma anche un Paese che governi col cuore». A Melania, insomma, non piace quel che sta facendo suo marito e ci tiene a farlo sapere agli americani. Il limite che segna è quello della ordinaria umanità, esattamente lo stesso additato da giorni da gran parte della stampa statunitense con i reportage sui piccoli clandestini chiusi in improvvisate strutture di detenzione, avvolti in coperte termiche, in attesa che si decida sulla loro sorte.
Melania in questo momento è in sintonia col Paese assai più di suo marito. In un sondaggio effettuato a maggio, il 57 per cento degli americani ha dichiarato di apprezzarla: Donald è bloccato intorno al 40 da molto tempo
Melania è segretamente d’accordo col marito, dice qualcuno: parla per incastrare i democratici in un accordo sulla riforma dell’immigrazione. O anche: Melania vuole solo dare fastidio a Ivanka, che l’ha oscurata come consigliera e sui migranti ha scelto la linea dura. Oppure: Melania non è un problema, l’ultima di tre mogli e di tremila fidanzate non può dar fastidio a uno come Donald Trump. Ma i fatti dicono altro. Melania in questo momento è in sintonia col Paese assai più di suo marito. In un sondaggio effettuato a maggio, il 57 per cento degli americani ha dichiarato di apprezzarla: Donald è bloccato intorno al 40 da molto tempo. In un anno ha scalato 21 posizioni. La lunga assenza per malattia ha rafforzato la sua popolarità. Adesso sembra aver deciso di utilizzare quell’affetto per smettere di fare la bella statuina e inaugurare un nuovo stile muliebre alla Casa Bianca: la prima First Lady che critica in pubblico le decisioni del First Man.
Qualche giorno fa, in una lunga analisi sul crescente successo della signora Trump, il Washington Post osservava che le mancava solo una cosa per raggiungere il pieno successo, e cioè una qualche forma di quell’attivismo sociale che la cultura americana richiede sempre all’inquilina della Casa Bianca. Adesso sono tutti serviti, a cominciare dai molti che l’avevano catalogata come una donna-trofeo devota solo al suo guardaroba e alle sue scarpe – gli stilisti scemi che rifiutarono di vestirla dopo l’elezione; le opinioniste intossicate che di recente hanno additato un suo Chanel bianco come risposta critica al nero del MeToo – per finire con quelli che la immaginavano sposare qualche causa innocua (l’animalismo, la terza età) per adempiere al dettato della tradizione.
Melania, al suo debutto nell’impegno, spiazza sia gli avversari sia i sostenitori di suo marito scegliendo come tema la critica al nocciolo duro del sovranismo trumpiano – cioè il pugno di ferro contro l’invasione dell’America – in nome del cuore e dei bambini, cioè dei più elementari e primigeni sentimenti di umanità, e contestando non la norma, qualunque essa sia, ma l’idea stessa di poter governare un grande Paese senza usare «il cuore». Applausi, che altro dire?