Alla caccia seguì la grazia, la gratuità. Ho cominciato a tallonare Fabrizio Gifuni a marzo. No, non m’importava tanto l’attore ‘da grande schermo’, come si dice (Gifuni, chi non lo sa?, è il viso di film importanti come L’amore probabilmente, Il partigiano Johnny, La meglio gioventù, Il capitale umano, Fai bei sogni), o il talento per la fiction (sulla Rai lo abbiamo visto di recente interpretare Pippo Fava in Prima che la notte, diretto da Daniele Vicari). Di Gifuni m’interessava, intanto, il lettore. Intransigente. Quello che ha valicato l’opera di Carlo Emilio Gadda, di Pasolini, di Albert Camus, di Julio Cortázar, di Cesare Pavese, di Giovanni Testori e, ultimamente (al Franco Parenti, il 10 giugno scorso), di Giorgio Caproni, e che per questo ‘Tor Vergata’ ha onorato, a maggio, con la Laurea honoris causa in Letteratura italiana. Così, mi metto nelle sue tracce. Soprattutto perché Gifuni è il protagonista di uno degli spettacoli teatrali più importanti della stagione. Freud o l’interpretazione dei sogni. Scrive Stefano Massini, dirige Federico Tiezzi, in scena, al Piccolo, a fare il dottor Sigmund, Fabrizio Gifuni. “Sette settimane di repliche tutte esaurite”, specifica Gifuni, per quasi 40mila spettatori. Un evento. Così, appunto, da giornalista flâneur, che fiuta cultura ad ogni latitudine e spacca le pietre cavandone versi, fermo Gifuni. Ma lui non si fa fermare. Prima è malato, poi è al Salone del Libro – legge Aldo Moro – poi mette il muso in Caproni. Come il giaguaro sull’albero, attendo senza sonnecchiare. Posticipiamo a maggio, poi a giugno. Poi penso, beh, ha di meglio da fare, ovvio. E dopo l’attesa, la grazia, gratuita. Gifuni arriva. “Mi scuso ancora per l’attesa. Finalmente con un minimo di mente sgombra”. Lo davo per perduto – mi ha sorpreso. Questo per dire il tiro dell’uomo. La generosità è un dono così caro, docile, raro, ora, quando, giornalisticamente, hai a che fare con troppa gente troppo occupata da se stessa per capire il diamante delle relazioni, il nitore di chi ha davanti. La prossima stagione Gifuni tornerà al Piccolo, a Milano, dal 22 al 25 novembre, con Concerto per Amleto; ora, a sgranchire la mente dalla fatica teatrale, mi scrive, “curo, con Natalia Di Iorio, la stagione teatrale del teatro Garibaldi di Lucera, una bellissima cittadina pugliese – dimora per anni di Federico II – da cui provengono una parte importante delle mie radici. In questi giorni sto lavorando alla programmazione della prossima stagione”. L’uomo che è stato Freud per sette settimane. Mi sembra un buon titolo per un racconto. (d.b.)
“L’interpretazione dei sogni” è “una Bibbia della nostra contemporaneità”. Lo scrive Stefano Massini. Lei è attore da letture forti, fortissime. La pensa allo stesso modo?
Non scomoderei la Bibbia, nonostante Freud la conoscesse a menadito. L’interpretazione dei sogni è senz’altro un libro cardine del ’900. Lo è stato sicuramente per Freud che iniziò a scriverlo per esorcizzare la morte di suo padre, attraverso un lavoro di autoanalisi dei propri sogni e successivamente di quelli dei suoi pazienti. Col tempo Die traumdeutung diventerà un formidabile ordigno per la cultura europea. Un testo costruito con grande abilità che servirà a Freud per scaraventare la teoria psicanalitica sulla scena mondiale, ma destinato anche ad avere un fortissimo influsso su tutta l’arte e gli studi antropologici del ’900: scrittori, drammaturghi, pittori, musicisti ne verranno definitivamente attratti modificando in molti casi il loro approccio al gesto espressivo. L’intuizione di Freud per molti si rivelerà decisiva. Aver squarciato il velo mettendo al centro del dibattito sull’uomo la terra emersa dell’inconscio, con tutte le implicazioni, successivamente sviluppate, sull’ambiguità del linguaggio, contribuirà in maniera definitiva a fare di questo scienziato uno dei pensatori più interessanti del secolo scorso. Per questo credo che aver pensato di scrivere un testo teatrale su L’interpretazione dei sogni di Freud e portarlo in scena sia stata una grande intuizione.
Continua a leggere su Pangeanews