Professione apicoltore: il mercato ha fame di miele, la produzione crolla (ma la tecnologia viene in aiuto)

Gli apicoltori italiani sono 45.513, per un settore che vale oltre 2 miliardi di euro. Se i consumi di miele sono in aumento, la produzione crolla tra cambiamenti climatici e malattie. Ma la tecnologia potrebbe essere d’aiuto per il futuro di questa professione

Sono 45.513. L’esercito degli apicoltori italiani è composto da 26.541 produttori di miele per l’autoconsumo e 18.972 per il mercato. Con oltre 1,1 milioni di alveari censiti dall’Anagrafe apistica nazionale. Per un settore che vale oltre 2 miliardi di euro. E che in Italia è in costante crescita in termini di consumi (+5% nel 2017), ma non in termini di produzione, tra siccità, variazioni termiche repentine e cambiamenti climatici che non fanno bene alle api.

Il mercato italiano

La produzione del miele made in Italy nel 2017 – secondo i dati di Coldiretti – si è più che dimezzata, passando dagli oltre 20 milioni di chili del 2016 a poco più di 10 milioni, mentre le importazioni sono cresciute del 4% superando i 23 milioni di chili. In testa, tra le regioni italiane, per numero di alveari troviamo tre regioni: al primo posto la Lombardia (136.799), seguita da Piemonte (113.325) ed Emilia Romagna (104.556). Degli 1,1 milione di alveari censiti in Italia, l’80% – circa 900mila – è gestito da apicoltori commerciali che allevano le api per professione. Numeri che, come sottolinea l’Osservatorio nazionale miele, fanno emergere «l’importanza del comparto nel contesto agro-economico».

L’Italia, «grazie alla sua varietà climatico-vegetazionale e alla professionalità degli apicoltori che hanno sviluppato raffinatissime e impegnative tecniche di nomadismo, può contare su un patrimonio di mieli unico al mondo», spiegano dall’Osservatorio. «Oltre a un’infinità di millefiori, che rappresentano con una varietà indescrivibile di colori, aromi e sapori le associazioni floreali dei diversi territori, il nostro Paese può contare su oltre trenta monoflora classificati».

L’Italia, grazie alla sua varietà climatico-vegetazionale e alla professionalità degli apicoltori che hanno sviluppato raffinatissime e impegnative tecniche di nomadismo, può contare su un patrimonio di mieli unico al mondo

Professione apicoltore

Ma come si diventa apicoltori? Di certo, non ci si può improvvisare. Quello che si deve sapere è che le api sono un essere vivente molto delicato. Quindi, prima di affrontarne l’allevamento, bisogna avere una solida base teorica.

È opportuno, quindi, conoscere almeno le basi di discipline come la biologia, l’ecologia e la botanica. Le diverse associazioni di apicoltori italiani, e non solo, da Nord a Sud, organizzano di frequente corsi di formazione, sia per chi ha già esperienza sia per chi è alle prime armi. Di solito questi corsi durano qualche mese e prevedono oltre che lezioni teoriche alcune lezioni sul campo. Da poco, ad esempio, anche la Fondazione Fico di Oscar Farinetti ha introdotto nel suo pacchetto i corsi di “Api & Orticoltura”, comprendendo quindi le potenzialità del settore nel panorama agro-economico italiano.

Una volta studiate le basi teoriche, poi è fondamentale affiancare almeno per una stagione un apicoltore e fare con lui esperienza pratica. E infine si procede all’acquisto delle prime famiglie di api e dell’attrezzatura necessaria. Ovviamente l’investimento varia a seconda che si punti all’autoconsumo o alla produzione commerciale. Il costo per installare il proprio favo è così composto: si va dai 150 ai 350 euro per una colonia di api con arnia e struttura, cui aggiungere circa un centinaio di euro per l’attrezzatura (affumicatore, leva, separatore…) e altrettanto per la gestione del favo durante l’anno (alimentazione di soccorso, cambio dei favi se necessario, cure in caso di malattie).

Due regole sono certe, spiegano dalla Federazione apicoltori italiani (Fai). Uno: l’apicoltura da reddito è necessariamente impostata sul nomadismo, cioè sull’inseguimento delle fioriture, che comporta il trasferimento periodico delle api. Due: per un’attività commerciale si parla di almeno un centinaio di alveari o più.

C’è poi tutta la normativa da conoscere: l’attività dell’apicoltore è regolamentata sotto il profilo civilistico, amministrativo e, se si intende dedicarsi anche alla vendita, fiscale. In Italia vi è l’obbligo di denuncia e georeferenziazione degli alveari. Inoltre, per individuare il luogo in cui mettere i favi si devono seguire delle determinate regole. Bisogna poi sapere che la salute delle api ricade sotto la competenza dei veterinari, che devono rilasciare apposita autorizzazione anche in caso di spostamento delle casette. In ogni caso, le diverse associazioni italiane di apicoltura offrono supporto sul fronte legale e burocratico per i neofiti.

Di certo, non ci si può improvvisare. Quello che si deve sapere è che le api sono un essere vivente molto delicato. Quindi, prima di affrontarne l’allevamento, bisogna avere una solida base teorica

La tecnologia in soccorso delle api

Con i cambiamenti climatici in corso, l’inquinamento e le specie aliene in arrivo in Italia, è necessario che anche chi ha già esperienza segua continui corsi di aggiornamento. «La formazione di un apicoltore non è mai finita», ha spiegato il presidente di Toscana Miele, Stefano Fenucci. Soprattutto ora che, con le novità tecnologiche a disposizione, è possibile tutelare con maggiore attenzione la salute delle api. Grazie all’Internet delle cose, i sensori che oggi vengono già usati in agricoltura per monitorare lo stato di salute dei campi, possono anche essere trasferiti sull’apicoltura.

Ogni anno gli apicoltori perdono circa la metà dei propri alveari. Posizionando termometri e sensori nelle arnie, come propone ad esempio la startup italiana 3Bee, è possibile monitorare anche da remoto quello che succede alle api, visualizzando i dati sullo schermo del proprio smartphone. In questo modo l’apicoltore può intervenire tempestivamente, limitando l’utilizzo dei trattamenti come gli antibiotici allo stretto indispensabile. È vero che oggi le api non riuscirebbero più a vivere senza l’intervento umano, ma la tecnologia può far risparmiare sugli interventi superflui e tutelare quindi anche l’ambiente circostante.

E i Big Data potrebbero essere centrali per il futuro prossimo delle api. Se si riuscisse a creare un database mondiale, in cui ogni apicoltore possa condividere le proprie informazioni, si potrebbe addirittura lavorare alla costruzione di algoritmi predittivi per contenere l’effetto delle malattie e dei sempre più frequenti cambiamenti climatici che causano la morte degli insetti.

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